I sogni, i desideri, le speranze, tutto quello che vogliamo e avremmo voluto avere, essere, provare e sentire. Una serie di cose irrealizzate, non accadute, mai esistite. Una buona parte di noi è fatta anche di queste cose. Ce le portiamo dentro come un vecchio bagaglio sdrucito, sempre più pesante, sempre più ingombrante. Non riusciamo a mollarlo all’angolo di una strada o sotto una vecchia panchina, non riusciamo a dimenticarlo dentro la cassapanca o in fondo al buio ripostiglio di casa. Spesso ci ripromettiamo di non pensarci, di concentrarci solo sulla realtà, sui problemi concreti, sulle cose da fare per tirare avanti, ma inevitabilmente ogni qualvolta ci fermiamo, anche per un attimo, a guardarci dentro lo troviamo lì accanto a noi e non possiamo fare a meno di aprirlo, pur sapendo ciò che contiene. È curioso, ma noi siamo anche quello che non siamo mai stati. La nostra vita è fatta di ciò che abbiamo vissuto e di ciò che avremmo voluto vivere: un insieme indistinto di essere e di non essere, un vortice di ricordi e di rimpianti, un album fotografico pieno di vuoti alternati a immagini di ciò che siamo stati. Il flusso del tempo ci lascia il ricordo di gioie e sofferenze, di occasioni perse, di presenze dissolte, di frasi non dette, di errori inconfessati, di dolori inferti, di pentimenti nascosti nel buio delle notti insonni. Ci si accorge, più o meno lentamente, che la vita è sempre una partita persa, persa con noi stessi, persa con chi ci circonda, persa con la Storia, persa con il trascendente. A mano a mano che l’esperienza si accumula si percepisce la nostra unicità, quell’unicità che ci fa sentire soli, incompresi e, spesso, disperati. È un supremo egoismo, il nostro, che ci spinge a voler gridare più forte degli altri, a pretendere di essere capiti e commiserati, ad anteporre la nostra sofferenza a tutto il resto del mondo.
Quei sogni che, nella prima parte della nostra vita, sono stati fonte di speranza e di energia, improvvisamente, dopo aver compiuto il giro di boa, diventano una zavorra insopportabile, fantasmi orrendi che ci perseguitano, incubi incancellabili, segni indelebili di un fallimento. A volte tutto ciò sfocia in una sorta di delirio che porta a proiettare i propri fantasmi su figli, nipoti o figure assimilate producendo danni incalcolabili. Quello che non si è compreso è che ci troviamo di fronte a una vera e propria nemesi dell’essere umano. Non esiste, né è mai esistito, uomo che non abbia avuto il suo bel bagaglio di fallimenti e sogni irrealizzati. Alla nostra morte si aggiunge sempre un corollario di rimpianti e di rimorsi; sul ciglio di quel cratere che ci risucchierà nel nulla perdiamo ogni senso della realtà e, soprattutto, ogni senso dell’humour, che invece dovrebbe trionfare: non riusciamo a realizzare che di lì a poco saremo sottoposti alla legge di Lavoisier e i nostri atomi e le nostre molecole si combineranno in altro modo per finire in cibo per cani, lenticchie, ortica e, perché no, in un bel cheeseburger di McDonald’s. In fondo è proprio questo il senso della vita, un continuo rimescolamento molecolare, un riciclaggio totale, un fantastico destino in base al quale non si può escludere che una infinitesima componente del nostro corpo non sia la stessa di una cozza pescata e mangiata nel diciottesimo secolo. I sogni no, quelli sono esclusiva farina del nostro sacco, essi ci appartengono in modo esclusivo e unico. Dobbiamo quindi tenerceli stretti, anche quando cominciano a far male e a essere pesanti da trascinare. Essi sono la prova che abbiamo vissuto, abbiamo pianto, abbiamo amato, insomma i sogni sono il segno del nostro pensiero pulsante. Peccato che finiscano con noi senza lasciare traccia, qualcuno riesce a metterli per iscritto nella speranza che possano sopravviverci e possano interessare qualcun’altro a venire. A fronte di questi pochi fortunati c’è una folla sterminata di anonimi i cui sogni sono andati perduti insieme alle loro esistenze. Per costoro, umanità senza nome, rimangono i luoghi in cui sono vissuti, il selciato che hanno calpestato, i tramonti e le albe che hanno visto rimanendo per un attimo folgorati dalla bellezza e commossi dalla malinconia. Dalle grandi speranze alle più piccole ambizioni, fanno tutte la stessa fine, hanno tutte lo stesso epilogo. Misterioso e definitivo.
La vita non è un sogno, ma sono i sogni a dare un senso alla vita.
Quei sogni che, nella prima parte della nostra vita, sono stati fonte di speranza e di energia, improvvisamente, dopo aver compiuto il giro di boa, diventano una zavorra insopportabile, fantasmi orrendi che ci perseguitano, incubi incancellabili, segni indelebili di un fallimento. A volte tutto ciò sfocia in una sorta di delirio che porta a proiettare i propri fantasmi su figli, nipoti o figure assimilate producendo danni incalcolabili. Quello che non si è compreso è che ci troviamo di fronte a una vera e propria nemesi dell’essere umano. Non esiste, né è mai esistito, uomo che non abbia avuto il suo bel bagaglio di fallimenti e sogni irrealizzati. Alla nostra morte si aggiunge sempre un corollario di rimpianti e di rimorsi; sul ciglio di quel cratere che ci risucchierà nel nulla perdiamo ogni senso della realtà e, soprattutto, ogni senso dell’humour, che invece dovrebbe trionfare: non riusciamo a realizzare che di lì a poco saremo sottoposti alla legge di Lavoisier e i nostri atomi e le nostre molecole si combineranno in altro modo per finire in cibo per cani, lenticchie, ortica e, perché no, in un bel cheeseburger di McDonald’s. In fondo è proprio questo il senso della vita, un continuo rimescolamento molecolare, un riciclaggio totale, un fantastico destino in base al quale non si può escludere che una infinitesima componente del nostro corpo non sia la stessa di una cozza pescata e mangiata nel diciottesimo secolo. I sogni no, quelli sono esclusiva farina del nostro sacco, essi ci appartengono in modo esclusivo e unico. Dobbiamo quindi tenerceli stretti, anche quando cominciano a far male e a essere pesanti da trascinare. Essi sono la prova che abbiamo vissuto, abbiamo pianto, abbiamo amato, insomma i sogni sono il segno del nostro pensiero pulsante. Peccato che finiscano con noi senza lasciare traccia, qualcuno riesce a metterli per iscritto nella speranza che possano sopravviverci e possano interessare qualcun’altro a venire. A fronte di questi pochi fortunati c’è una folla sterminata di anonimi i cui sogni sono andati perduti insieme alle loro esistenze. Per costoro, umanità senza nome, rimangono i luoghi in cui sono vissuti, il selciato che hanno calpestato, i tramonti e le albe che hanno visto rimanendo per un attimo folgorati dalla bellezza e commossi dalla malinconia. Dalle grandi speranze alle più piccole ambizioni, fanno tutte la stessa fine, hanno tutte lo stesso epilogo. Misterioso e definitivo.
La vita non è un sogno, ma sono i sogni a dare un senso alla vita.
2 commenti:
.. a volte mi chiedo se è veramente importante avere la consapevolezza di essere vissuto e di avere avuto anche dei sogni quando tutto quello che ci ha appartenuto è destianto nel giro di una manciata di anni ad essere cibo per i vermi. Quindi quale vantaggio ci viene quando noi pensiamo che:(noi siamo anche quello che non siamo mai stati). Grazie, Saverio, per avermi fatto ancora una volta, sognare.......
Io credo di sì. Tutto questo ci fa sentire vivi e ci dà la forza di vivere, nonostante tutto.
Grazie del tuo bel commento.
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