sabato 31 marzo 2007

Mozart Don Giovanni:Madamina il catalogo è questo

DAL FILM DI JOSEPH LOSEY

OMAGGIO A LUCHINO VISCONTI


Il 2006 è stato un anno molto particolare per il cinema: cadevano, contemporaneamente, il centesimo anniversario della nascita e il trentesimo della morte di Luchino Visconti (1906-1976).
Nessun mezzo di comunicazione di massa si è preoccupato di rendere omaggio a uno dei più grandi maestri del cinema mondiale. La televisione (il mezzo più indicato per questo tipo di commemorazione) era troppo occupata con il duello politico-elettorale fra la “mortadella” e il “cavaliere mascarato”, con il gossip più trucido, con gli scandali calcistici e con le fiction da paese sudamericano. I palinsesti ribollivano di fetenzie di ogni genere per rincorrere gli ascolti e fare incetta pubblicitaria, non c’era tempo né spazio da dedicare all’arte.
Bisogna anche dire che Visconti non è mai stato molto gradito all’establishment: snob, omosessuale e decadente, per la sinistra; marxista e omosessuale, per la destra. I suoi film hanno sempre spiazzato la modesta e faziosa critica cinematografica italiana, alla continua ricerca di schemi e stereotipi stilistici in cui inserire il cinema nazionale per poi osannare spudoratamente quello estero. La filmografia di Luchino Visconti è costellata di grandi capolavori non sempre subito riconosciuti dal pubblico ma che, cresciuti nel tempo, sono diventati delle pietre miliari assolute della tecnica e dell’arte cinematografica. Il genio e l’arte di Luchino Visconti sono assolutamente trasversali rispetto ai generi e alle influenze stilistiche che ha sperimentato; la sua è arte suprema del “mettere in scena”, del rappresentare, l’arte del “racconto visionario” quale è il cinema. A cominciare con Ossessione (1943) per proseguire con La Terra Trema (1948), Bellissima (1951), Senso (1954), Le Notti Bianche (1957), Rocco e i suoi Fratelli (1960), Il Gattopardo (1963), Vaghe Stelle dell’Orsa (1965), Lo Straniero (1967), La Caduta degli Dei (1969), Morte a Venezia (1971), Ludwig (1973), Gruppo di Famiglia in un Interno (1974), L’Innocente (1976), egli attraversa la letteratura, la storia, l’amore, i problemi sociali ed esistenziali, con una sensibilità ed un occhio unici, inimitabili, assolutamente originali. Luchino Visconti ha anche firmato regie teatrali e d’opera che sono nella storia e sono ancora oggetto di studio. Visconti è stato colui che ha scoperto le grandi doti drammatiche di Maria Callas, è stato il maestro di Francesco Rosi e Franco Zeffirelli, ha lanciato grandi artisti come Alain Delon e Claudia Cardinale, ha riproposto il melodramma come “opera totale”. La sua meticolosa attenzione per i più minimi particolari ha insegnato che la finzione è il doppio della realtà: la rappresentazione non è imitazione, ma realtà possibile, realtà ipotetica, materializzazione dell’idea e del sogno.
Luchino Visconti è un gigante della cultura, ma è scomodo perché pone interrogativi e tocca le coscienze; a lui, a questo gigante, il potere preferisce i nanetti dello spettacolo volgare e ignorante portabandiera della sottocultura del pettegolezzo e delle chiacchiere da caffè. La celebrazione quotidiana dell’oscenità non può interrompersi, non sarebbe serio.

Eduardo De Filippo: E allora bevo

IL FUTURO NON ESISTE

venerdì 30 marzo 2007

POESIA IN SALUMERIA


La poesia è l’urlo dell’anima. E poiché tutti noi abbiamo un’anima (non in senso religioso, ma intesa come interiorità), tutti noi siamo potenziali poeti. Naturalmente questa potenzialità può rimanere tale o può manifestarsi in modi molto diversi. Il mio salumiere è un poeta, egli non scrive nulla: declama, affabula, seduce il suo pubblico con l’impeto e la passione del racconto, spinge irresistibilmente chi gli è di fronte a cogliere l’essenza profonda del caciocavallo, induce a immaginare la sensuale voluttà che procura la masticazione di una fetta di soppressata, evoca i felici pascoli di ghiande del porco transustanziato in quel profumatissimo San Daniele. Peppino, questo è il suo nome, è un artista, un animo sensibile votato a diffondere il Verbo dei pecorini tipici e l’ineluttabile effimera esistenza della vera ricotta marzotica. Nossignori, non sono prosaico. Che ci vuole a “volare alto” su argomenti come l’amore, la sofferenza, la memoria e l’esistenza? E’ molto più difficile concettualizzare una pezza d’Asiago o esercitare la metafora sul provolone o sulla finocchiona, per non parlare dell’impeto, degno del più autentico Sturm und Drang, assolutamente indispensabile per scoprire la profonda metafisica dell’olezzante e misterico gorgonzola.
“Allora Peppino, quali sono le novità?”, a questa domanda sorride, si raschia la voce, divarica leggermente le gambe, porta le mani all’altezza del petto con le palme rivolte verso di voi e inizia la liturgia ”novità siciliane questa volta, specialità da non perdere” le sue mani ora volteggiano sui formaggi imitando i gesti antichi dei maestri casari “ questo è il “tumazzo modicano”, da vacche podoliche che pascolano sui Monti Iblei, quest’altro è il “maiorchino”, viene direttamente da Novara di Sicilia, nel messinese, latte ovino e caprino, la pasta viene lavorata a lungo e ripetutamente forata da un attrezzo speciale, per ridurre l’acqua al minimo: leggermente piccante e molto aromatico”, io sono lì ma col pensiero vago per la Trinacria osservando paesaggi e greggi al pascolo, riesco persino a sentire i suoni dei campanacci, “ecco a lei, una scheggia d’immenso…” e mi porge un assaggio. Avrete sentito parlare della sindrome di Stendhal, ebbene vi assicuro che non è esclusiva delle arti figurative. Gustare quella “scheggia d’immenso” è un’esperienza sensoriale totale, al limite del mancamento, produce uno stato di estatico stupore che spinge all’uscire dal sé: mi sentivo uno sciamano lappone che vola libero sulla tundra. Ma non è tutto, glielo leggo negli occhi scuri, messi lì a fermare la lunga discesa di quella fronte da sacerdote pitagorico, “Peppino, non tenermi sulle spine, svela l’arcano, mostra la tua potenza!!”, senza parlare mi fa avvicinare al lato del bancone e senza fare gesti, guardandomi fisso negli occhi “prosciutto del preappennino dauno… da maiale nero!!”. Il maiale nero…un suino leggendario per gli intenditori, una razza rustica, selezionata per l’allevamento allo stato brado, il cugino più diretto del cinghiale. Quel piccolo prosciutto con la cotica scura e irta di setole, quella preziosissima reliquia di un nero vorace divoratore di ghiande, tuberi e funghi, quella testimonianza luccicante della lungimiranza e civiltà dei Borboni di Napoli (che vollero e incentivarono l’allevamento dell’antichissimo suino), giaceva davanti a me, disteso languidamente in un cestino su soffici rametti d’alloro. La mia mano sulla spalla di Peppino scatena la sua orazione:”Siamo davanti alla storia e alla geografia, ammiriamo l’arte del norcino e la somma perizia del porcaro, contempliamo la bellezza della natura e l’intelligenza dell’uomo, adoriamo il miracolo che ha trasformato un animale puzzolente in un delicato boccone dal profumo indescrivibilmente inebriante”, la retorica di Peppino era stata veramente ispirata. Ma io, da vecchio inguaribile provocatore, non posso fare a meno di dire”Peppino, quest’opera d’arte ha bisogno della giusta cornice, ci hai pensato?”, e lui, ormai in pieno delirio giaculatorio, “naturalmente, me l’ha insegnato lei. Ecco la cornice ideale: pane di Monte Sant’Angelo cotto in forno di pietra!” e solleva di colpo un grosso canovaccio a quadri rossi e bianchi: ieratica, sul bancone, quella “scanata”(grande pagnotta) da due kg di pane garganico, dominava la scena. Sembrava il Monolito Sacro degli aborigeni, la Montagna di Manitou dei pellerossa; era il grido di gioia del biondo frumento del Tavoliere, il Padre di tutte le mense. A stento mi sono trattenuto dal buttarmi a terra in commossa adorazione, Peppino era raggiante.


MUSICA E CONFINI



L’idea che sottende alla definizione di “musica di confine” merita di esser presa in considerazione se non altro per cercare di chiarire meglio l’uso e l’abuso che tutt’oggi se ne fa.
Un primo elemento da chiarire consiste nel fatto che di solito chi scrive e chi parla di “musica di confine” ha come riferimento quella che viene definita musica pop, popular music, cioè tutta quella pratica musicale che non può essere pienamente ricondotta né al folklore né alla tradizione colta occidentale ed orientale. La popular music rappresenta quell’immenso bacino di ibridazione di esperienze e pratiche musicali messe a confronto dalla storia e dal caso, in un primo tempo, dalle leggi dell’economia e dalle dinamiche dei mezzi di comunicazione di massa, in un secondo tempo. La musica folklorica e le grandi tradizioni colte d’oriente e d’occidente non hanno mai espresso concetti e definizioni assimilabili a quello di “musica di confine” per il semplice fatto che la tradizione vive e si perpetua solo attraverso il suo rinnovamento ed adeguamento alle nuove esigenze di espressione artistica, ovvero la tradizione si riconosce nella premessa, nel punto di partenza, certamente non in quello d’arrivo. L’idea stessa di “contaminazione musicale”, che tanto doviziosamente viene spacciata dalla peggiore pubblicistica musicale, è una tautologia, una grossolana ovvietà facilmente verificabile in tutta la storia della musica, sia in ambito colto che nel folklore. Probabilmente tutta questa confusione nasce proprio nell’ambito della popular music, dove la definizione stilistica rappresenta anche un’etichetta per la vendita del prodotto. Anzi possiamo dire senz’altro che senza un’etichetta non si vende alcun prodotto, e che quindi la definizione di un genere musicale più è precisa e meglio si articola in sottodefinizioni tanto più ne è garantito il successo commerciale. Tutto ciò ha funzionato benissimo fino alla seconda metà degli anni ’80, fino a quando cioè i prodotti musicali di una esigua minoranza di artisti ha incominciato ad essere richiesta in modo più pressante e diffuso, grazie alla propagazione delle tecnologie di comunicazione di massa. A questo punto l’industria musicale ha incominciato a coniare nuove definizioni che riuscissero in qualche modo ad “etichettare” facilmente questi prodotti, agevolandone la promozione e la vendita. E così abbiamo assistito al battesimo di veri e propri strafalcioni lessicali e musicali come “world music” o addirittura come “acoustic music”, che, ad onta della subcultura del marketing discografico che li ha generati, hanno trovato piena ed entusiastica accoglienza presso quasi tutta la pubblicistica musicale. Probabilmente anche per molti giornalisti è molto più facile adottare una nuova, vuota definizione che non cercare di fornire al lettore utili elementi di interpretazione e di analisi.
La riflessione critica che vogliamo proporre trova il suo significato più autentico proprio nel fatto che tutti i grandi protagonisti della musica, anzi delle musiche, hanno operato in situazioni di “confine” culturale e stilistico, sia quando essi sono stati esponenti della elaborazione di uno stile (vedi Mozart e la forma-sonata) sia quando hanno rappresentato nel modo più pienamente espressivo la crisi di uno stile e l’emersione di nuove tendenze (vedi Miles Davis tra la fine del bebop e la rivelazione del cool). Diventa difficile a questo punto continuare ad ammettere l’esistenza di una categoria estetica di “musica di confine” nella quale poter porre musicisti, esperienze e, addirittura, manifesti artistici . E’ chiaro inoltre il ruolo della categoria commerciale denominata “musica di confine”, dobbiamo abituarci a vedere la cosa come una sorta di espositore da supermercato sul quale trovano spazio tutti quei prodotti che per essere venduti meglio hanno bisogno di una particolare visibilità, di un appropriato contesto e di un adeguato rilievo.
Per completare l’operazione non può mancare il depliant o il catalogo pubblicitario con la funzione di pubblicizzare l’esistenza di questi nuovi prodotti; ad assolvere a questo compito ci pensano i giornali e le riviste specializzate, le quali più sono specializzate più assomigliano a cataloghi pubblicitari scritti in un linguaggio discutibile, ricco di termini impropri e spesso dispensatore di veri e propri deliri letterario-musicali-filosofici, i quali almeno ci confermano le teorie sulle grandi capacità psicotrope della musica.

Chaplin Tempi Moderni (1936)

IL GRAMELOT DELL'ANIMA

giovedì 29 marzo 2007

L'ORCO E L'ESPERIENZA DELLA PERFEZIONE


Era stato carrettiere fino a quando erano sopravvissuti i carri. Poi si era arrangiato facendo il bracciante a giornata. Del carrettiere aveva mantenuto il cipiglio, le bestemmie, il cappello nero a larghe tese e la fascia nera che gli cingeva il ventre prominente. Di prominente aveva anche qualcos’altro: i denti inferiori. Aveva una mandibola quasi mostruosa, quei denti inferiori sempre scoperti, gialli e puntuti, gli conferivano un aspetto terrificante; a questo si aggiungevano gli occhi sporgenti e la totale calvizie, in un cranio piccolo innestato su un corpo grande e grosso: sembrava un orco. Ad onta di un tale aspetto, lo chiamavano Pòlùdde, ovvero Paolino, come se pronunciando quel nome, in una sorta di laico esorcismo, si riuscisse ad annullare quelle spaventevoli sembianze ammettendolo nel civile consesso e riconoscendogli spirito e dignità umani.
A me, pur non essendo più un bambino, quell’uomo faceva paura, era unico nel suo genere e parlava pochissimo; quando apriva bocca lo faceva solo per mangiare, bere e bestemmiare. Era stato assoldato da mia zia per zappare il piccolo agrumeto alle spalle della villa ed io ero stato incaricato di essere presente nei dintorni per eventuali necessità o piccoli problemi. Mi ero sistemato all’ombra, distante giusto lo spazio utile per non dargli noia e, allo stesso tempo, avere la situazione sotto controllo. Mi ero portato un libro da leggere ma il lavoro di Pòlùdde catturava tutta la mia curiosità. Ero affascinato da come brandiva quella grande zappa pesante, i suoi gesti erano forti ed eleganti, mi faceva venire in mente Orlando con la sua Durlindana. Il giardino silenzioso, il sibilo del suo respiro, il suono della zappa che fende e sconquassa la terra, il tubare discreto di una tortora appollaiata sul corbezzolo, ero immerso in questi suoni, una sorta di liquido amniotico acustico mi infondeva una strana sensazione di sospesa serena tranquillità. Forse mi ero assopito, ma a un certo punto ripresi coscienza e vidi quella grande ombra seduta sotto un arancio che masticava lentamente: nella mia mente poteva essere quella l’immagine del conte Ugolino che si nutriva dei corpi senza vita dei suoi giovani figli. E infatti di lì a qualche istante, volgendo lentamente il capo dalla mia parte e stringendo nella mano callosa “il fiero pasto” (pane e pomodoro) disse: “favorìsscc…” e io, subitamente, “no, grazie..buonappetito!”. Ero al corrente di questo “galateo popolare”, in sostanza era ritenuto disdicevole mangiare senza manifestare la propria disponibilità a condividere il cibo con chiunque fosse presente in quel momento. Nella cultura popolare il senso della condivisione e della mutua assistenza rappresenta un modello di convivenza: gli umili possono sopravvivere solo se si aiutano a vicenda. Mi ero pentito di non aver accettato il suo pane, ma era stato istintivo pensare che era già così poco per lui solo. Decisi di rimediare e corsi sotto il grande fico che dominava un angolo dell’appezzamento, raccolsi dei fichi appena maturati mettendoli nel mio cappellino e facendo attenzione di far sgocciolare il latice urticante che fuoriesce dal picciòlo, il sangue bianco del grande fico. Mi sedetti di fronte a lui e sul terreno che ci divideva posai il mio cappello rosso ricolmo di verdi fichi maturi. In silenzio, mi guardava e sorrideva (nel senso che ora oltre ai denti inferiori si potevano vedere quelli superiori), io ,per rompere il mio nascente imbarazzo, presi un fico e cominciai a sbucciarlo. In quel momento smise di sorridere e strinse i suoi occhi bovini in una specie di piccola smorfia di disgusto, si raschiò la voce e con tono serissimo disse “Uannà” (che sarebbe a dire uagliò), “la fica si mangia con la buccia!!” (nel dialetto locale fico sta per albero di fichi, mentre fica sta per frutto). “Come con la buccia…?”, risposi sorpreso, “gnorsì…la fica con la buccia è assai più meglio!!”, e per darmi una dimostrazione prese un fico e lo addentò, buccia e tutto. Non sapevo se in quel momento mi stesse facendo uno scherzo, quegli scherzi atroci di cui sono vittima i ragazzini figli di papà da parte dei compagni di origine proletaria. In pochi secondi decisi di stare al gioco e, se era uno scherzo, che non avrei dovuto mai dargli la soddisfazione di sputare il boccone con fare disgustato. Scelsi il fico più grosso, per dimostrargli che non avevo paura, lentamente lo portai alla bocca e diedi un bel morso. Mentre facevo tutto questo Pòlùdde annuiva col capo e quando ebbi il boccone in bocca riprese a sorridere. E’ molto difficile descrivere efficacemente una sensazione olfattiva e gustativa, è una di quelle classiche esperienze sensoriali che ci appartengono intimamente e che variano moltissimo da persona a persona. Io rimasi fulminato da quel gusto e da quelle sensazioni: la freschezza croccante della buccia verde si fondeva miracolosamente con la dolcezza e il profumo della polpa, era pura perfezione. Non parlai e continuai a mangiare con lui. Se un uomo così brutto e scostante era capace di comprendere e, addirittura, di insegnare la strada verso la perfezione voleva dire che aveva un grande cuore. Pòlùdde il carrettiere, il bracciante, il bestemmiatore, il brutto orco, era un uomo buono e sincero. E’ morto da tantissimi anni ma a me capita di ricordarlo ogni volta che mangio un fico, naturalmente con tutta la buccia. Ogni volta che quel sapore unico si diffonde nella mia bocca penso allo stupore di quella scoperta, al mio “maestro di iniziazione” a un piccolo grande mistero di esperienza della perfezione.

Dean Martin - Mambo Italiano

INTERMEZZO MUSICALE

mercoledì 28 marzo 2007

MORTE DI UN FRIGORIFERO


Il frigorifero non è un elettrodomestico qualsiasi. Esso ricopre molteplici ruoli nella nostra vita: da quello di dispensa tecnologica a quello di consolatore, da segnalatore della nostra condizione economica a muto ascoltatore dei nostri incubi notturni. In tutte le abitazioni, a tutte le latitudini, due sono gli oggetti-simbolo che rappresentano nel nostro immaginario la sicurezza della casa, il riparo della tana, il luogo del buon ritiro e della gioia privata: il letto e il frigorifero. Persino quando si prende una camera in hotel, solitamente siamo portati a verificare subito la bontà del letto e il contenuto del piccolo frigobar (dal quale probabilmente non prederemo nulla a causa dei prezzi da usura che praticano gli alberghi). Il frigorifero è un gigante buono dispensatore di bontà, non dice mai no, la sua porta è sempre pronta ad aprirsi al nostro desiderio più recondito e alla nostra golosità più vana. Per questo quando un frigorifero muore è una tragedia. Perché al dolore immenso per la scomparsa di un sì fedele e discreto compagno di allegri convivi e di deliranti ingozzamenti, si accompagna, istantaneo, il problema di gestire le immediate conseguenze della sua rapida decomposizione. Mettere in salvo i surgelati, consumare in fretta i diversi cibi che custodiva: mezze scamorze, vasetti di yogurth, burro, latte fresco, minestrone avanzato, verdure fresche assortite e soprattutto quella maledetta fetta di gorgonzola acquistata il giorno prima. Il modo più rapido e radicale è quello di organizzare una donazione alimentare a favore di amici e vicini di casa; naturalmente questo è valido solo per cose tipo surgelati, frutta e verdura e tutto quanto non sia stato mai usato. Per gli alimenti avanzati è prassi organizzare piccolo rinfresco “funerario-commemorativo” riservato ai pochi intimi che vorranno darvi una mano. Dopo aver risolto questi problemi si passa agli obblighi “pietosi” della preparazione della salma per l’ultimo viaggio: asciugatura del ghiaccio disciolto e pulizia accurata sia interna che esterna, rimozione (operazione toccante) di adesivi e oggetti calamitati che ricoprivano la porta rendendolo unico e inimitabile. Il vostro fedele amico non c’è più, vi ha lasciati all’improvviso, un colpo apoplettico lo ha stroncato dopo tanti anni di felice convivenza. Col cuore stretto e una discreta dose di rabbia, per dover far fronte ad una spesa non preventivata, vi accingete a cercare un degno sostituto. Quello spazio vuoto in cucina è causa di ansia indicibile nonché di piccoli bruciori allo stomaco per due giorni di alimentazione forzata a base di pizza, panzarotti fritti e orrendi panini trasudanti trigliceridi, per non parlare della birra a temperatura ambiente.
Quando si è costretti ad acquistare un frigorifero in tutta fretta non si deve commettere l’errore di scegliere prima la marca e il modello: quello che cercate non lo troverete mai. Altro errore da evitare è quello di girare per negozi ed ipermercati confrontando prezzi e caratteristiche: si entra in un tunnel lungo e buio in cui regna la totale indecisione. Né risulta utile il consiglio di amici e parenti, scoprirete presto che lo stesso modello di frigorifero è durato più di vent’anni a casa di vostro cugino ma meno di venti mesi in quella del vostro miglior amico. L’unica strada da percorrere è quella di scegliere un negozio molto fornito e decidere fra i frigoriferi presenti: seguite il vostro istinto, la simpatia e il feeling sono gli unici criteri validi (anche il prezzo, ovviamente). Ricordate che non state acquistando un oggetto, state scegliendo un nuovo amico al quale affidare il vostro cibo, la vostra fiducia, la vostra intimità più sacra ed inviolabile. Esso sarà custode irreprensibile della salubrità dei vostri pasti e generoso dispensatore di piccole grandi gioie quotidiane. E se dovesse accadere (ahimè succede) che per i casi della vita lo lascerete vuoto per troppo tempo, non disperate: confezionerà per voi dei gustosissimi cubetti di ghiaccio che trasformeranno, con un po’ di fantasia, un bicchier d’acqua in vodka on the rocks.


RUMORI


La crescita incontrollata del rumore, propria della società moderna e contemporanea, ne ha generato una innegabile modificazione del suo concetto e della sua definizione.
La stessa musica del XX secolo ha allargato al massimo quei confini che delimitano le due aree dei suoni “armonici” e di quelli “non armonici”.
Attualmente il termine rumore comprende una gran varietà di significati e di sfumature, Murray Schafer nel suo libro “Il Paesaggio Sonoro” riassume le accezioni più significative e più diffuse:
Suono non desiderato. La letteratura europea, sin dal ‘200 è ricca di citazioni in cui i termini “Noise” e “Romore” vengono usati in questo senso.
Suono non musicale. Il contributo fornito dal fisico Helmholtz nel XIX secolo è determinante nella definizione del suono non musicale, composto da vibrazioni aperiodiche, a differenza del suono musicale, composto da vibrazioni periodiche.
Tutti i suoni di forte intensità. E’ questo l’uso più diffuso del termine, ed è proprio questo che ha ispirato i vari regolamenti e leggi vigenti sul controllo del rumore, fissando dei limiti espressi in decibel.
Disturbo all’interno di un qualsiasi sistema di comunicazione. Il termine rumore usato in questa accezione indica ogni tipo di disturbo che non faccia parte del segnale, trova uso frequente soprattutto in meccanica e in elettronica.
Di queste quattro definizioni, la prima è quella sicuramente più condivisa nonostante sia quella meno definibile e soprattutto assolutamente non misurabile: ciò produce un concetto di rumore estremamente soggettivo, legato a modelli culturali e a contingenze umorali.
Legato ai modelli culturali e alla loro evoluzione è anche l’aspetto sociologico della problematica del rumore: l’archetipo RUMORE=POTENZA ha, nel corso dei millenni, modificato la sua struttura ma non si è estinto. Da quando l’uomo è stato in grado di sostituire culturalmente la voce del Tuono con quella della Campana, del Cannone, della Sirena, fino al boato della Bomba Atomica e dei Razzi Vettori delle navicelle spaziali, si è innescato un meccanismo irreversibile attraverso il quale il rumore tecnologico ha sconfitto quello della natura celebrando l’onnipotenza dell’uomo sulla Terra. Leggendo gli scritti di Luigi Russolo e di altri Futuristi si trova un’ampia conferma di come quest’idea abbia potuto incidere sulla cultura e sull’arte.
Nella società contemporanea la produzione di rumore è talmente sviluppata nello spazio e nel tempo da impedire la sopravvivenza, a qualsiasi latitudine del Pianeta, di oasi sonore, di luoghi cioè privi di inquinamento acustico. Si può dire, senza temere di essere smentiti, che ormai non esistano più posti acusticamente incontaminati considerando oltretutto il fatto che vi sono “onde sonore inquinanti” con frequenze non percettibili dall’uomo ma assolutamente nocive per moltissime specie viventi.
In questo quadro fatto di stratificazioni e di intrecci di rumore si configura l’evoluzione della patologia acustica: si è passati dal “morbo del calderaio”, chiamato così perché le prime vittime accertate furono dei lavoratori di fabbriche in cui venivano prodotte caldaie di metallo, alla “socioacusia”, ovvero una patologia non legata al lavoro industriale bensì alla vita quotidiana e al tempo libero. Un’esposizione prolungata e ripetuta nel tempo a dosi quantitativamente alte di qualsiasi suono può portare a diminuzioni dell’udito fino al 40% e a uno stress psico-fisico che può raggiungere i livelli critici del collasso. Non è una leggenda metropolitana che molta gente che lavora in discoteca (discjockey, addetti alla sicurezza, animatori) sia diventata sorda, abbia problemi cardiocircolatori e soffra un precario equilibrio psicologico.
Sarebbe comunque inesatto affermare che nella società contemporanea non ci si preoccupa dell’inquinamento acustico così come sarebbe altrettanto inesatto affermare che nel campo della difesa dal rumore si è sulla buona strada. Consideriamo, ad esempio, il motivo che spinge alla diffusione negli ambienti pubblici e privati della musica di sottofondo: mascherare un rumore con un altro rumore. Se pensiamo al rumore prodotto dagli impianti di vario tipo (condizionatori, illuminazione, scale mobili, ecc.) , dal traffico esterno, dal movimento di oggetti e persone, ci rendiamo conto facilmente che un luogo come un grande magazzino non rappresenti certamente il posto ideale dove poter fare acquisti in tutta tranquillità. La musica di sottofondo costituisce quel “rumore bianco” che impedisce al nostro orecchio di ricevere fastidiose sollecitazioni e permette al nostro cervello (grazie alle caratteristiche di totale “asetticità” della musica trasmessa a un volume ben calibrato) di non concentrarsi sul prodotto musicale favorendo così la realizzazione di quel bisogno che ci ha portati in quel luogo. Questa soluzione di mascheramento del rumore è sicuramente più economica rispetto a quella di un efficace isolamento acustico degli ambienti, ma rappresenta per l’uomo la ulteriore prosecuzione di quel processo di intossicazione acustica dagli effetti estremamente perniciosi.
A questo punto è necessario introdurre una riflessione su quelli che potrebbero essere gli effetti dell’inquinamento acustico sulla fruizione musicale: effetti di ordine sia quantitativo che qualitativo.
Da un punto di vista quantitativo è possibile che il paesaggio sonoro in cui si vive e si lavora condizioni la percezione di determinati suoni diminuendola verso alcuni ed esaltandola verso altri; così come da un punto di vista qualitativo può sopravvenire una modificazione nella risposta ad un determinato stimolo sonoro (alterando il rapporto suono-evocazione simbolica) condizionando inevitabilmente la fruizione ed il giudizio del prodotto musicale.
A questo proposito vale la pena citare il caso del successo discografico della “Ambient Music” realizzata da Brian Eno, dove il pubblico ha di fatto promosso a musica d’ascolto un prodotto musicale concepito con tutti i criteri del suono-maschera, originariamente destinato ad un mero ascolto subliminale (le sale d’aspetto di un aeroporto).
Il passo successivo rispetto alle riflessioni fatte non può non riguardare il desiderio di operare per una inversione di tendenza del degrado acustico. La proposta lanciata da parecchi studiosi di acustica e qualche illustre ambientalista sembra effettivamente e immediatamente realizzabile: formulare una pratica di rieducazione dell’orecchio che mira a ripulire il magma sonoro che ci circonda riabituando il senso dell’udito a riconoscere e isolare i suoni, per raggiungere la coscienza di quanto e di cosa udiamo in ogni istante della nostra vita.
Poter trasferire quella curiosità visiva che da Gutenberg in poi ha caratterizzato la nostra cultura, ad una dimensione sonora vuol dire riuscire a imparare a “vedere” i suoni e a discernere fra le vibrazioni che continuamente raggiungono il nostro orecchio, essere consapevoli del valore simbolico del suono, avere rispetto per l’orecchio e per la voce.

“Il silenzio non esiste. C’è sempre un qualcosa che produce un suono.”
John Cage

lunedì 26 marzo 2007

IL CAFFE' DEL COMMERCIALISTA



La giornata era incominciata male. Sveglia con batterie esaurite, caffè esaurito, carta igienica esaurita, credito del cellulare esaurito, portinaio esaurito (affacciato alla guardiola fissava ebete le formiche che pascolavano sui resti dei suoi disgustosi panini maionese-prosciuttocotto), anche la benzina era esaurita, giusto il fondo del serbatoio sufficiente per raggiungere lo studio del mio commercialista. “Finalmente!! La stavamo aspettando..”, questo fu il saluto di Agata, attempata segretaria del mio commercialista, una donna normale fino a quando non sorride: in quel momento potreste sentirvi male. I suoi denti finti sono la prova evidente di come un dentista maldestro possa terrorizzare l’umanità, guardare il sorriso di Agata è un’inquietante esperienza nell’incertezza cromatica dello smalto dentale: dentoni variamente colorati di tutte le sfumature del beige si rincorrono e si accavallano quasi per uscir fuori da quella bocca sfortunata e porre fine alla loro esistenza di mostri generati da un epigono del dott. Frankenstein e da un odontotecnico pluriripetente, miope e daltonico. Mi infilo subito nello studio. Giovanni (il mio commercialista) sta cercando di inzuppare un enorme maritozzo zuccherato in una tazzina di caffè. Per non assistere all’indegno stupro di quella povera tazzina di caffè volgo lo sguardo verso la parete su cui campeggiano a monito perenne per aver scelto un simile commercialista: una foto della “magica Bari” autografata da Cassano, un quadro d’argento sbalzato raffigurante uno scorcio della “vecchia Bari”, un’icona da bancarella del santissimo “Nicola da Bari”, una gigantografia dello stadio “San Nicola”. Mi viene spontaneo “Giovà, ma tu non sei nato a Bitonto?”, biascicando mentre sugge il maritozzo nero e mezzo spappolato dal caffè “ma tu stai guardando il muro barese…di fronte, dall’altra parte ci sta il muro bitontino” ed emette un suono raccapricciante dovuto al risucchio di un mollicone in bilico sulle sue labbra. “ Ah, capisco…il muro bitontino…allora quello alle tue spalle è il muro del pianto!!!” Non l’avessi mai detto…istantaneamente una risata convulsa lo assale a tradimento proprio mentre stava per sorbire il fondo della tazzina deflorata, denso di poltiglia marrone; per evitare il sicuro soffocamento sputazza sulla scrivania i poveri umori di quella violenza contronatura che aveva perpetrato. “Hai visto? Accidenti a te!! La dichiarazione del commendatore, madonna mia..e quello viene fra poco per firmarla”, “Giovanni! Me ne frego del tuo commendatore, fammi firmare la mia..ho fretta”, “la tua? E osi chiamarla dichiarazione dei redditi la tua? Dichiarazione di fallimento…questo è il nome della tua dichiarazione, fai schifo!” “Vabbè, chiamala come vuoi..dammela che firmo” “e non si può..”, facendo di no col capo e manifestando uno strano ghigno ”non l’hai fatta ancora? E perché mi hai mandato a chiamare urgentemente? Sei scemo?” “Caro il mio scribacchino, devo comunicarti che tu guadagni troppo poco…” “e c’era bisogno che me lo dicessi tu? So benissimo che guadagno poco…” “non hai capito, tu guadagni troppo poco, il fisco non ci crede, dice che non è possibile” “mi fa piacere che il fisco si interessi della mia situazione…è vero, io guadagno troppo poco, sono sulla soglia della povertà..” “Francè…sei scemo? Il fisco dice che tu evadi, gli studi di settore sui redditi dei giornalisti sono molto più alti e quindi sei un evasore”. “Io evasore? Ma se non ho neanche i soldi per la benzina! Benzina? Che dico, per la carta igienica…ti sei mai pulito il culo con la carta dei giornali?” “Francesco mi dispiace, ma per la legge tu guadagni di più e quindi pagherai le tasse sul minimo consentito”. Quest’ultima frase mi fece salire il sangue alla testa…non capivo più nulla, le bestemmie si accavallavano impazzite nel mio cervello impedendo il regolare deflusso verso la bocca, emettevo suoni senza senso, gli occhi roteavano impazziti da un lato all’altro della stanza, dal muro barese a quello bitontino. Lui, Giovanni, mi fissava esterrefatto con la bocca aperta, era repellente: aveva un baffo di zucchero del maritozzo e il labbro inferiore imperlato di molliche marroni. Ad un tratto mi calmai: “Giovanni, prepara la mia dichiarazione, quella vera, e fammela firmare, è un ordine!” “Francè, ti metti nei guai…faranno un controllo!” “Benissimo!! Che controllino, vengano a casa mia , non c’è nulla…persino il frigorifero si lamenta di notte, non ha nulla da raffreddare!!” Mi alzai e guadagnai l’uscita, Agata mi osservò preoccupata…”non mi sorrida!!La prego..potrei diventare violento!!” “Si calmi Francesco..ecco un pensiero per lei”.
In auto scartai il pacco: quattro rotoli di carta igienica extra morbida… Grazie Agata, sei una donna sensibile. Anche la carta da culo può essere messaggera di qualcosa, meglio non indagare…

PANTA REI ovvero DURA MINGA


Tutto scorre, le cose cambiano, niente è eterno: dura minga, niente dura, nulla può durare.La filosofia, l'osservazione della realtà, l'acuta morale spicciola del sapere popolare, la religione, la biologia, l'economia, tutte queste cose ci dicono che il mondo che ci circonda, dentro e fuori di noi, è dinamico, cangiante, in continuo movimento: tutto è relativo, non dura, non può durare, dura minga. E non veniteci a parlare delle piramidi, del colosseo e altre vestigia del passato; certo, sono giunte fino a noi e allora? Siete sicuri che le vedranno anche i nostri discendenti? Impossibile! Dura minga , non durano, non possono durare. E noi stessi, l'umanità...non crederete che esisterà in eterno? Anche l'umanità dura minga, non dura, non può durare. In questa prospettiva di nichilistico scetticismo, di relativismo totale, di tragica pacata rassegnazione, si fa largo un pensiero positivo, una sottile brezza di fresco ottimismo: tutto passa, niente è eterno, neanche il dolore, la sofferenza e la miseria. E' un istinto di conservazione atavico, una molla biologica verso la vita, è la fenomenologia della sopravvivenza che si esprime, uguale, a tutte le latitudini, da nord a sud. Cos'è dura minga se non, in buona sostanza, il corrispettivo del colorato partenopeo: a da passà 'a nuttata?. Cambiano i punti di vista della questione, si passa dalla proclamazione perentoria di una negazione (dura minga), al sussurrare il credo fideistico in un futuro certamente migliore (a da passà 'a nuttata); ma comune e incrollabile è la consapevolezza che la Vita non è mai nè troppo buona nè troppo cattiva e che sempre ci riserva un piccolo spazio, una radura, una breve pausa del corpo e dello spirito durante la quale ognuno trova conferma delle proprie ragioni per continuare a vivere e a lottare. L'importante è non voler strafare, non avere la presunzione di lasciare tracce eterne del proprio passaggio: fatica inutile, tempo sprecato. Ma come? Dove li mettiamo i padri del pensiero, delle arti e delle scienze? Ognuno li metta dove vuole, seguendo le proprie idee e il proprio cuore, ma ricordiamo che anche il sentimento dura minga, non dura, non può durare.

CAROSELLO-China Martini

DURA MINGA

domenica 25 marzo 2007

DAL SUONO DELL'IMMAGINE ALL'IMMAGINE DEL SUONO


Sono passati quasi settant’anni da quando Sergei Ejsenstejn, per il suo Aleksandr Nevskij (1938, primo film sonoro del grande regista sovietico), impiegò una colonna sonora scritta appositamente da Prokofev allo scopo di interagire intimamente con il ritmo e l’estetica del montaggio.
In tutto questo tempo abbiamo assistito al lento ma inarrestabile mutamento del complesso e articolato rapporto fra musica e immagine; passando attraverso i contributi determinanti della commedia musicale, dei cartoni animati, delle avanguardie del cinema, della pubblicità cinematografica e televisiva e dell’universo estetico delle “fiction” televisive, il rapporto musica/immagine giunge ad un punto nodale nel 1975, quando entra in scena il videoclip. Naturalmente già in passato, a partire dagli anni ’40, l’industria discografica aveva utilizzato il cinema e la televisione per veicolare i propri prodotti, nel 1959, ad esempio, due italiani (Angelo Bottani ed Emilio Nistri) inventarono una sorta di juke-box cinematografico chiamato Cinebox e il primo artista ad esservi ospitato fu Renato Carosone. Ma se ci riferiamo al videoclip inteso come prodotto di pubblicità musicale con una precisa estetica ed un chiaro codice comunicativo, possiamo dire che esso appare in tv nel 1975 per reclamizzare la canzone Bohemian Rhapsody dei Queen.
Pur nascendo dalla semplice esigenza di creare un supporto pubblicitario ad un brano musicale sfruttando appieno il medium televisivo, il videoclip si è sviluppato elaborando un’estetica polimorfica che ingloba tutto: arte, tecnologia, mercato, spettacolo, moda, pubblicità. La possibilità di applicare sempre con successo quest’estetica in settori diversi della comunicazione si spiega, prima di tutto, con l’estrema adattabilità del mezzo alle esigenze più disparate e, soprattutto, col fatto che il video rappresenta (in contraddizione col termine) la sopraffazione della dimensione sonora su quella visiva.
Nel videoclip l’immagine e la sua funzione rappresentativa vengono compresse dall’evento musicale, che è l’unico e vero generatore di comunicazione: l’immagine “fa vedere” ciò che la musica sta raccontando. La tecnica di montaggio delle immagini segue fedelmente la struttura musicale, le sequenze ed il ritmo di montaggio sono in perfetta sincronia con lo sviluppo dell’evento musicale: la musica passa da una condizione di pura e semplice auto-rappresentazione ad una condizione di iper-rappresentazione. In altri termini, l’informazione musicale da essere unicamente di tipo “digitale” diviene anche di tipo “analogico”, utilizzando un altro medium (cinema/televisione) basato sull’informazione analogica (immagine).
Si apre così una nuova dimensione percettiva: l’orecchio che “guarda” e l’occhio che “ascolta”; questa dilatazione sensoriale consente di fissare nella memoria in modo più efficace l’informazione e risulta, tra l’altro, estremamente gradevole a causa dell’indubbio effetto di straniamento che comporta la “visione della musica”. Che si tratti di bieca pubblicità o di produzione artistica conta poco, l’effetto sulla mente è il medesimo e la fruizione del messaggio è assicurata.

sabato 24 marzo 2007

PASOLINI PIER PAOLO CHE COSA SONO LE NUVOLE DOMENICO MODUGNO

CHE COSA SONO LE NUVOLE

L'ARTE DELLA GUERRA



Reso famoso dal film di Oliver Stone "Wall Street", il testo attribuito a Sunzi (Maestro Sun) è il primo trattato conosciuto sulla guerra e sulle sue tecniche. Scritto da ignoti tra il 400 e il 320 avanti Cristo, il BINGFA (questo il suo titolo originale) riporta la complessa teoria della guerra elaborata da Sunzi, attivo nel sud della Cina alla fine del VI secolo a.C.
Lo scopo del trattato non è filosofico, bensì vuole tracciare linee certe e inequivocabili nell'educazione e nell'istruzione dei militari e dei burocrati. Naturalmente alla base di tutto c'è il pensiero taoista, il perseguimento del Dao, della Via verso la virtù e la perfezione. Ma nonostante tutto, il trattato è di una modernità sconcertante ed è talmente profondo nell'analisi del concetto di nemico (inteso come avversario) e di vittoria (inteso come obiettivi concreti da raggiungere), da essere stato impiegato negli studi di management e di marketing finanziario e aziendale.
Tutto deve essere finalizzato alla vittoria vincendo nel più breve tempo possibile e col minor numero possibile di perdite. Lo scopo finale non è annientare il nemico, ma portarlo dalla propria parte, non è distruggere tutto, ma fare in modo che avvenga la minima distruzione indispensabile. Il paragone fra la guerra e la sopravvivenza dell'individuo nella complessa e spietata società contemporanea viene naturale: la vittoria, ovvero il raggiungimento dei propri scopi, si ottiene attivando la dissimulazione e soprattutto la conoscenza. "Conoscendo gli altri e conoscendo se stessi, in cento battaglie non si correranno rischi; non conoscendo gli altri, ma conoscendo se stessi, una volta si vincerà e una volta si perderà; non conoscendo nè gli altri nè se stessi, si sarà inevitabilmente in pericolo ad ogni scontro." Spesso la nostra vita è una guerra, attrezziamoci per vincerla con l'aiuto di Sunzi.

SQUIRTING CHAT



Ada vive a 50 km da me, è mia coetanea, separata con tre figli in età universitaria e lavora come impiegata INPS. I primi contatti in chat e via mail sono serviti ad instaurare un rapporto simpatico ma molto superficiale. Dopo due giorni, in chat, comincio ad osare facendole domande su come porta le unghie, su come sono i suoi lobi delle orecchie, le caviglie e l'ombelico. Giunto in zona ombelicale l'ambiente si riscalda ma io non vado oltre, preferisco insistere su quel finto buco che mi è tanto simpatico. Ben presto l'indagine sulla cavità ombelicale diventa una d'annunziana metafora sulle misteriose e magiche cavità femminili e a quel punto Ada mi offre (non petita) il suo numero di telefono ed il recapito MSN Messenger. Io mi guardo bene dall'usare il telefono e proseguo la chat in ambiente Messenger dove ho la sorpresa di poterla vedere: Ada è un'esperta di webcam!!
Devo dire che è proprio una bella donna, giunonica (io amo le donne giunoniche), con degli occhi molto magnetici. Il passaggio da una chat all'altra ha raffreddato un pò la conversazione, così decidiamo di risentirci più tardi. E' puntualissima all'appuntamento e noto con piacere che le sue spalle sono nude, tranne due sottilissime spalline bianche. La mia modesta ma consolidata esperienza mi dice che sono spalline di reggiseno......Avanti Savoia!!!! Senza più alcun genere di indugio o di doppio senso le impongo di farmi vedere come lo calza scoprendo con estatico stupore che si tratta di una quinta misura tendente a strabordare...Confesso che la vista di quelle superbe, morbide colline mi ha fatto un effetto che andava al di là di ogni immaginazione. E non stava ferma, si metteva di profilo, davanti, avvicinava ed allontanava la cam appoggiava i tettoni sulla scrivania, muoveva il busto come fanno le danzatrici del ventre....Uno spettacolo, insomma. A quel punto non potevo fermarmi e l'ho pregata di toglierlo (non riuscivo a digitare correttamente così è venuto fuori: toglietetelo!) ma lei ha capito lo stesso accontentandomi immediatamente. La mia posizione era a metà strada tra il guardone onanista e lo spettatore di una finale di calcio: "dai muoviti! non di là non si vede niente, gira a destra, sbatacchiati le tette, ora sei fuori fuoco!!! Parlavo con il monitor...All'improvviso, finisce tutto:"scusa, scusa è rientrato mio figlio". Ma come..porco giuda! E ora? "ci vediamo domani alla stessa ora, avrò una sorpresa per te..." E chiude il collegamento.
E' stata un'esperienza unica, la prima di questo genere: ho passato il resto della giornata a parlare con me stesso.

Sono le 15,30 e Ada non si fa vedere, e dire che questa volta mi sono attrezzato per bene: bicchiere di limoncello con ghiaccio, portacenere pulito, penna nuova e carta, fazzoletti di carta formato famiglia e asciugamani pulito. Il caldo pomeridiano mi invade di un torpore strano, cado in uno stato di dormiveglia per me del tutto inconsueto. Un trillo, due trilli...e ripiombo rincoglionito nella realtà, sono le 15,45 e Ada è lì che mi aspetta. Una scarica potente di adrenalina attraversa tutto il mio corpo e con movimenti inconsulti cerco di accedere al collegamento, non so quali tasti pigiare...sul monitor si susseguono in rapida successione files d'archivio di ogni genere, per cercare di connettere ho la pessima idea di ingurgitare il bicchiere sulla scrivania. Un consiglio: quando preparate il limoncello con ghiaccio bevetelo subito altrimenti si trasforma in un liquame gelido color pipì con effetti vasodilatatori devastanti. Finalmente sono collegato con Ada! Mentre ammiro soddisfatto il suo bel viso rubensiano comincio a sudare come un turista in una sauna finlandese, dalla nuca cola abbondante il sudore incanalandosi lungo la schiena verso mete posteriori fino a fermarsi e a tracimare in una zona ad alto rischio pruriginoso. Ma l'entusiasmo è troppo forte ed incomincio a chattare noncurante degli strafalcioni che scrivo:"fikalmente (lapsus freudiano) ti aspettao, erro (altro lapsus) in penzziero!!". Evidentemente Ada è in una situazione di grazia ormonale e non ci fa caso:"ho aspettato di essere sola in casa, ho un regalo per te". L'immagine sul monitor non è più la stessa, penso ci siano problemi di collegamento e intanto lei scrive:"ti piace?". Ma cosa dovrebbe piacermi? L'immagine è rossa e nera e non sta mai ferma! Poi all'improvviso vedo il suo dito indice che vaga ritmicamente su e giù per l'immagine...Ma allora sto assistendo ad un ditalino in diretta con zoom macro! Mi sforzo di ricordare (con una certa difficoltà, considerato il tempo trascorso dall'ultima incursione ravvicinata in quella zona) l'anatomia topografica dell'unica cosa per cui ogni uomo sarebbe disposto a tutto. Mi sembra di essere Piero Angela in quei viaggi impossibili nel corpo umano. E lei continua:"dimmi ti piace?", in quel momento mi viene spontaneo di digitare:"URCA! Ma tutti quei peli disturbano un pò", l'immagine cambia repentinamente, vedo i suoi occhi liquidi pervasi di divertito stupore:"ti piace rasata?". Non mi aspettavo questa domanda così rispondo sinceramente senza riflettere:"sì mi piace tantissimo", "aspetta allora...", la sua immagine scompare e viene sostituita da una clip dove due grosse labbra femminili sono impegnate in una frenetica fellatio di un membro di dimensioni sovrumane. Passano dieci minuti, io nel frattempo do fondo ai fazzoletti e all'asciugamano, l'immagine cambia, ha posizionato la webcam nel modo migliore, ora vedo la sua metà inferiore allargata sulla poltrona con le gambe divaricate e le mani che spalmano il pube di sapone... E' tutto chiaro, sto per assistere, per la prima volta, e in diretta, ad una rasatura pubica. Si alza, si avvicina alla tastiera e mi chiede:"ti piace così, francesco?", ed io, al settimo cielo, le rispondo:"si,si, procedi, chiamami Figaro..."
"Figaro? ma non sei Francesco?", io allucinato rispondo"volevo dire Figaro, il barbiere di Siviglia, sai l'opera", "bugiardone!, ti chiami Figaro o Francesco?" a questo punto ho realizzato che se voglio vedere lo show bisogna chiudere questa patetica parentesi "scherzavo, non Figaro ma Sigaro, ora ce l'ho duro come un sigaro cubano!", "caro, ora ti faccio vedere". Riprende il suo posto e ricomincia a smanettare col sapone. Nel ritornare in postazione ho la possibilità di vederle il culo, ragazzi...quello non è un culo è una cattedrale romanica, un'architettura biologica, è una prova dell'esistenza di Dio, è un urlo di gioia....Con le sue mani di donna matura, ma ancora memori della passata leggiadra incoscienza, si rade completamente. Si alza scomparendo dal video per qualche minuto, già io fremente sto pensando ad un interminabile bidet...Invece no, prende la camera e ricomincia lo zoom macro show. Osservando penso: il lavoro è proprio perfetto! L'immagine più poetica che in quel momento è giunta alla mia mente è stata quella di un'ostrica, la regina del mare che conserva, serrato, nel proprio scrigno una promessa di inebriante e succulenta felicità. L'immagine cambia, lei ritorna alla tastiera e mi sussurra:"ora mi devi chiamare", confuso per quel cambio di fronte improvviso, le rispondo senza pensare: "sì, ti voglio chiavare tutta!", "no, no, mi devi chiamare" e io "sì,sì, ti chiavo fin nel cervello!" e lei stizzita "francè prendi il telefono!". Ancora una volta mi sento un totale imbecille, non avrei mai pensato ad una boccaccesca accoppiata audio-video!! Cerco il numero.. ma quale sarà? Davanti a me sul foglio pieno di appunti di ogni genere ci sono diversi numeri, in fondo si staglia una magica successione cabalistica con l'annotazione "YUM!!", è quello.
"Francè, finalmente...cosa vuoi farmi?" mentre nella mia mente si susseguono vorticose immagini di posizioni improbabili, balbetto "vorrei leccarti tutta..", "io ti succhio… come vuoi scoparmi?" con una voce roca ma chiara, mentre la guardo smanettarsi la passera sorridente (per la prima volta ho visto una passera sorridere), ed io "cosa vuoi che ti faccia?", "mi piace tanto prenderlo..in culo" Quell'opera d'arte, quel baule rococò si agita davanti ai miei occhi con movimenti ritmici ma sinuosi, il mio stato marmoreo si sta tramutando in un inno ascensionale alle bellezze del creato...Sono stupefatto, sembra che il mio attributo abbia il turbo..continua a crescere al di là di ogni mia segreta immaginazione. Come ha scritto Oscar Wilde: "Posso resistere a tutto tranne che alla tentazione", a quel punto il nostro luogo di incontro virtuale si è trasformato in un'alcova segreta dedicata alla pratica del più sfrenato autoerotismo. Giunti all'apice del parossismo, tra sbuffi, lamenti, parolacce e ululati compare dal nulla Briciola, la mia gatta, che mi fissa con curiosità, come solo i gatti sanno fare.
Io stravolto e preso da una certa vergogna le ordino "giù, scendi giù, gattaccia!" e Ada col telefono in una mano e l'ostrica ormai scardinata e grondante nell'altra sussurra "miaooooo, vengo porcoooo", quell'equivoco mi procura una contemporanea risata e scarica liberatoria. E come disse il Sommo Poeta: "caddi come corpo morto cade".

Vi è mai capitato di trovarvi in uno stato di assorto stupore, sudato, con un gatto sul petto che fa le fusa, i pantaloni scaduti, un telefonino che manda a ripetizione messaggi di credito esaurito, una donna nuda che vi guarda dal monitor salutando con la mano e mandando bacini?? Posso assicurare che non è una bella situazione. Non so cosa fare per prima e pensandoci non faccio nulla...Poi l'unica cosa che mi viene è ricambiare i saluti, ma chi saluto, il monitor?? Ci pensa la fedele Briciola a darmi una mossa, infilandomi le unghie nel basso ventre! Proprio in una zona che, dopo certi momenti, per un uomo è sacra, è tabù inviolabile, è desertica pianura arroventata dal sole, desiderosa solo di essere inondata da fresche acque ristoratrici. Mi alzo, stacco ogni collegamento con l'esterno e rimango sotto la doccia per venti minuti...Ripensando a tutto, con l'acqua che ridona la perduta coscienza, mi sale lentamente ma implacabile un moto dell'animo che presto diventa una fragorosa inarrestabile risata. Ora sono calmo, mi dico" è stato un sogno, un'esperienza unica, ormai conclusa..." Ritorno nello studio per ripulire tutti i resti di quella folle avventura, il cellulare, che ora può solo ricevere, mi segnala un sms: "ciao porchissimo, come stai??". Non posso rispondere al messaggio, posso provare a vedere se è in linea col pc, ma devo farlo? Mi chiedo e intanto osservo la gatta che si è adagiata sulla tastiera, sembra che dica "lascia stare, sei stato già abbastanza penoso per oggi". Ad essere sincero è quel "porchissimo" che mi intriga, sono curioso di sapere cosa sta pensando di fare la mia dea cibernetica, la vestale di misterici riti orgiastici virtuali, colei che, prima ed unica, mi ha dimostrato che anche il computer ha il culo... Briciola capisce subito ed abbandona la stanza con malcelato disgusto. Mi rimetto all'opera e stabilisco la connessione, riprendo a volare verso il paradiso di Eros... Il collegamento video è istantaneo ma non vedo la mia nave scuola, la generosa dispensatrice di quel sedere che meriterebbe di diventare parco nazionale. Dopo qualche secondo di perplessità mi accorgo che è lei, ora ha i capelli raccolti ed inforca un paio di occhiali da vista, "ci sei, uccellone?", "si, si,sono qui" digito ancora sorpreso dal nuovo look. "Ora che si fa?", "potremmo incontrarci, se la cosa ti va" ,azzardo io, pregustando una pantaguelica scopata reale. Non risponde, mi guarda enigmatica, sembra la Pizia di Delfi prima di emettere un tremendo presagio. Sorride e da quel momento esibisce un repertorio linguo-labiale da oscar del sesso orale, io, preso alla sprovvista come al solito, con gli occhi strabuzzati e mano tremante le dico "non ora, più in là, quando lo vorrai". Lei mi risponde, dopo aver ricomposto le labbra ed inghiottito il linguone che pareva un'anguilla paonazza, "no, non faccio queste cose, io"...."Ma come!! Stai scherzando, vero? Vuoi tenermi sulle spine..". Ora il suo viso non è più lo stesso, i tratti del suo volto si sono irrigiditi, lo sguardo ha assunto un aspetto severo, le labbra si sono assottigliate. Accidenti! ma non sta scherzando, dice sul serio! "Francesco, non mi piace scherzare su queste cose. Abbiamo giocato, ci siamo divertiti, se vuoi potremo rifarlo, sappi che sei il primo ad avere la seconda possibilità. Ma non mi chiedere più di vederci per andare a letto!!". Io, senza alcuna remora, ho replicato "ma certo! Ti prego scusami, avevo frainteso, sono stato maldestro a pensare che se una porcona si smenazza davanti a te agitando il suo culo a tempo di samba, vuol dire che è pronta a scopare! Per non parlare del pelo e contropelo, non ho capito che mi stavi dando lezione di estetista!". "Francesco, basta! Il gioco è finito! Chiudi, e non mi richiamare, sarò io a farlo." Fine del collegamento. Fisso il monitor senza vita, penso ad una pazza schizofrenica e ad un intelletuale credulone sempre arrapato, mi assalgono dei tremendi sensi di colpa, insorgo contro il perbenismo e l'ipocrisia, mi riprometto un futuro da duro e senza pietà, d'ora in poi non ci casco più. Mentre fumo boccate virili alla Humphrey Bogart, nell'angolo destro del monitor si apre una finestina colorata piena di farfalle: "ciao, sono Bruna, vuoi chattare con me?". Fisso quel piccolo rettangolo con fredda determinazione, "sì Bruna, ma figurati, vai a vedere e scopri che si chiama Sofonisba, un'altra alienata!", all'improvviso compare un secondo rettangolo colorato "ciao, sono Sara55, vuoi chattare con me?". Sara55, la ricordo, voleva a tutti costi darmi la ricetta del pasticciotto di Lecce, bè simpatica, ruspante direi. I due rettangoli tremano all'unisono, pare si siano messe daccordo per mandarmi un trillo simultaneamente. Simultaneamente...e perchè no? Potrei provare a pescare due cernie con un'esca sola...Nel monitor mi guardo riflesso, il vecchio satiro ricomincia la caccia: BANZAI!!!

venerdì 23 marzo 2007

BEPPE GRILLO HA RAGIONE

Siamo tutti borbonici
E se il Borbone fosse in realtà il Savoia? E i veri patrioti i briganti? Il Regno delle due Sicilie esisteva, in modo assolutamente legittimo, da secoli. Napoli era la terza capitale d’Europa. Napoli aveva istituito la prima cattedra di economia in Europa. La prima linea ferroviaria: Napoli-Portici. Poi arrivarono i Savoia. La resistenza durò dieci anni. Qualcuno pensa che sia attiva ancora oggi. Dopo l’occupazione piemontese i capitali si trasferirono al Nord e, grazie alla tassa sul macinato, i meridionali nelle Americhe. Il Sud non fu liberato, ma consegnato al sottosviluppo. La Questione Meridionale deriva da un esproprio.Tutto è stato oggetto di revisionismo in Italia tranne il Risorgimento. Garibaldi è l’eroe dei due mondi e Francesco II un miserabile. Le piazze nel Meridione sono intitolate agli occupanti e allo stesso tempo si dice ancora ‘cattivo come un piemontese’. Nulla contro i piemontesi, molto contro la feroce repressione del generale Cialdini. Alla guida di un esercito di più di 100.000 uomini. Un po’ come la guerra di liberazione in Iraq. Molto contro paesi incendiati e massacri. Contro deportazioni. E decine di migliaia di morti.A scuola il Borbone è il cattivo e il Savoia il buono. Stato borbonico è sinonimo di degrado delle istituzioni. Brigante di protomafioso. Forse vanno cambiati i testi di scuola oltre al significato delle parole. Rivalutati i patrioti che persero la vita contro l’esercito piemontese. Forse dobbiamo raccontarci un’altra storia. In cui il Risorgimento è stato in parte, in gran parte, espansionismo di una dinastia. Che ci ha lasciato in eredità l’emigrazione di milioni di persone che fuggivano dalla fame, due guerre mondiali, il fascismo. E uno stato savoiardo. Quello che ci ostiniamo a chiamare borbonico.Lo so, dopo il populismo, sto scivolando nel revisionismo.
Postato da Beppe Grillo il 25.11.06 20:14 Scrivi Trackback

giovedì 22 marzo 2007

Udite Udite


UDITE UDITE
Che cos'è un blog? E' il desiderio di comunicare, è una sorta di bando virtuale che annuncia la nostra esistenza e rivendica il nostro diritto ad esprimere le nostre opinioni.
Il banditore attraversa la città di sera, quando tutti sono in casa e le strade sono vuote e silenziose, il suono del tamburo attira l'attenzione, le persiane e le porte si schiudono per far entrare nelle case le parole che annunciano la novità. La notizia, il giorno seguente, sarà oggetto di conversazione delle donne ferme davanti alla fontana in attesa che arrivi il loro turno. Sarà oggetto di derisione e bestemmie degli uomini seduti all'osteria in attesa che il vino anestetizzi la fatica e trasformi la rabbia in momentanea rassegnazione.
Si è aggiunta una voce al coro dei "clamantes in deserto". Non è un evento, è un segnale di una comunità che cresce aggregandosi attraverso le parole, parole a diverso peso specifico ma parole vere, tutte, parole di persone che rivendicano la propria umanità e autonomia di pensiero.
" La parola fa l'uomo libero. Chi non si può esprimere è uno schiavo. Parlare è un atto di libertà; la parola è in se stessa libertà. " Ludwig Feuerbach