venerdì 15 maggio 2009

APHRODITE'S CHILD - it's five o' clock

SEGNARE IL TEMPO

MALEDETTA PRIMAVERA



Esiste una vasta categoria di persone, alla quale mi dolgo di appartenere, che non ama la Primavera. Non si tratta di un’avversione di tipo culturale o esistenziale bensì di quel primitivo e incontrollabile istinto di sopravvivenza che caratterizza tutte le specie viventi. Per queste persone la Primavera non è simbolo della rinascita della natura né del trionfo della vita che si rigenera perpetuandosi; per costoro questa stagione, così amata e decantata, così attesa e quasi divinizzata, è il simbolo del martirio, della sofferenza, del prezzo da pagare per la condizione di essere vivi. Questo popolo di disperati stagionali, di condannati a un periodo variabile di overdose di istamina, di finanziatori coatti di case farmaceutiche e produttori di fazzolettini di carta, di zombies periodici che starnutiscono a raffica mostruose meduse e tossiscono come minatori di una cava di amianto, di pazzi melanconici ossessionati dal desiderio dell’avvento di una nuova era glaciale, vengono trattati con troppa sufficienza e cinico menefreghismo da parte del popolo dei sani. L’allergia stagionale ai pollini viene considerata, nel sentire comune, come un raffreddore o un’influenza, come cioè una modesta patologia transitoria. In realtà le cose non stanno per niente così: prima di tutto bisogna ammettere che l’allergia stagionale è una malattia cronica, ovvero una patologia dalla quale non si guarisce e i cui effetti cessano solo al cessare della causa che è la fioritura di alcune specie vegetali. Come secondo elemento va detto che si tratta di una patologia altamente invalidante: grande difficoltà nella concentrazione, gravi problemi nei rapporti col prossimo, inaffidabilità a svolgere mansioni particolarmente delicate, riflessi appannati dalla terapia farmacologica, crollo della libido, insofferenza, irascibilità. Se poi dovessero verificarsi circostanze meteorologiche particolari tipo sole, caldo e vento sostenuto, allora è meglio evitare ogni tipo di rapporto con un allergico a meno che non ci si voglia trovare i vestiti e la faccia imbrattati di muco acquoso e ascoltare tutto il repertorio delle bestemmie più invereconde mai concepite da mente umana. Ovviamente durante la stagione primaverile a questo popolo di disperati è preclusa ogni tipo di attività sociale e ricreativa che abbia a che fare con gite fuori porta e picnic campestri, il tempo libero viene miseramente consumato tappandosi in casa e sigillando le finestre. Accasciati sulla poltrona, all’uopo foderata da rotoloni assorbenti, con spray nasale in una mano e fazzolettone tipo telo da spiaggia nell’altra, si guarda la tivù con gli occhi cisposi e incaccolati semi aperti, anche la bocca è aperta, poiché il naso si apre solo per lasciar schizzare acqua catarrosa con la precisa regolarità di un geyser di Yellowstone. La testa è piegata su un lato sotto il peso del dolore, le facoltà intellettive sono inferiori a quelle di una oloturia, ogni tanto sfugge qualche parola da affetto da sindrome di Tourette conclamata. Un torturatore di desaparecidos non potrebbe far di meglio.
Come ho già detto, anch’io soffro di allergia ai pollini e anch’io, in questi giorni, vivo fra la catalessi e il letargo, con pochi sprazzi di lucidità che però mi hanno consentito di fare due considerazioni. La prima potrebbe essere addirittura una scoperta scientifica: se alla fine di una giornata in cui avete assunto antistaminici e spray nasali cortisonici cenate con peperoni, acciughe e vino rosso (meglio se Nero di Troia, vinificato in purezza) farete un’esperienza allucinogena migliore di qualsiasi peyote messicano (immagini a colori in 3 D e suono stereo). La seconda è una riflessione filosofica: quali potrebbero essere gli effetti positivi di una tale condizione? Nessuno. Il che non è per niente affatto un’ovvietà giacchè sono in tanti a sostenere che il superamento di un’esperienza dolorosa rappresenta un’ulteriore passo avanti nella pratica dell’esistenza. La questione è che a un anno dal superamento di quell’esperienza se ne presenta un’altra, tale e quale. Non c’è morale, non c’è insegnamento, non c’è religione che giustifichino una tale tortura. La questione è puramente biologica, si tratta di una malattia e basta. Una malattia con ricadute sociali, come abbiamo visto, non di poco conto, oltre alla estrema sofferenza fisica e psicologica del soggetto ammalato. Sulla base di ciò e a nome del popolo degli allergici chiedo che la nostra condizione venga riconosciuta dallo Stato, che venga riconosciuta, quindi, la nostra condizione di invalidi stagionali e che ci venga corrisposto un periodo di malattia non inferiore a trenta giorni e un assegno di invalidità che copra le cospicue spese di assistenza. In alternativa, un mese di ferie pagate alle isole del Mare del Nord, a pescare stoccafissi.

venerdì 8 maggio 2009

martedì 5 maggio 2009