giovedì 26 novembre 2009

LA FELICITA'


Che cos’è la felicità? Eppure la risposta dovrebbe essere facile, l’uomo parla sempre della felicità e agisce sempre per poterla ottenere. Ma siamo sicuri di conoscerla? Descrivere la felicità non è una cosa semplice poiché essa è uno stato dell’animo, è una condizione della mente, è la sommatoria di diverse intense sensazioni. Partendo da queste ultime affermazioni potremmo dire che non è il ragionamento a condurci verso la felicità, infatti l’uomo felice non sa di esserlo quanto piuttosto sente di esserlo. Una sensazione, quindi, è quella che ci dà il segnale di averla colta o, meglio, di essere stati colti da essa. E, proprio per questo, non riusciamo a definire la felicità e siamo in grado solo di viverla. Essa, a differenza del suo opposto: il dolore, non investe alcuna problematica, non suscita alcun interrogativo, non coinvolge alcuna riflessione, non induce alcuna separazione tra il sé e il fuori dal sé, non crea alcun muro tra noi e la realtà che ci circonda. La felicità, così come il dolore, non è un sentimento etico, essa non è appannaggio del giusto come il dolore non è punizione per il colpevole. Queste due sensazioni sono assolutamente aleatorie ed entrambe sono dominate e consumate dal tempo. Quel tempo che ci fa sopravvivere al dolore e che dissolve la felicità.
Per il pensiero greco antico la felicità consisteva nella capacità, data dalla sorte e coltivata dall’uomo attraverso l’etica, di controllare il proprio destino. Per il pensiero giudaico-cristiano, invece, la felicità non è di questo mondo e viene promessa da Dio a tutti coloro che, in questo mondo, saranno capaci di guadagnarla attraverso l’esperienza del dolore.
Nella società contemporanea la felicità assume un senso individualistico legato al godimento privato, al raggiungimento di uno stato di benessere vincolato alla disponibilità di denaro, di merci e di rapporti umani affettivamente e fisicamente appaganti. Questo concetto si presta molto ad attribuire alle circostanze e al mondo esterno la responsabilità di un eventuale fallimento: fattori come l’amore, la salute, il denaro, l’età e l’aspetto fisico, non sono sotto il nostro totale controllo. E quindi il fallimento diventa causa esterna a noi, indipendente dalla nostra volontà. In sostanza abbiamo assunto modelli e stereotipi imposti dalla società di massa e li abbiamo introiettati a tal punto da ritenerli elementi fondamentali su cui costruire il nostro traguardo di felicità. Ma siccome si tratta di modelli difficili da raggiungere per la maggioranza degli uomini, ecco che subentra il dolore, la frustrazione, l’ansia, insomma uno stato permanente di sconfitta che arriva ad intaccare persino la salute psico-fisica.
Eppure se è vero che la felicità è una sensazione di comunione, di armonia, di non dualismo tra noi e ciò che ci circonda, appare piuttosto chiaro che questa dimensione passa attraverso il nostro stato di equilibrio e di accettazione di quello che siamo. Il primo passo verso la felicità dovrebbe proprio essere quello verso la conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti e delle nostre qualità. Il passo successivo dovrà riguardare l’affermazione e la realizzazione di sé, quello che vuol dire Nietsche quando scrive:”Diventa ciò che sei”. Seguendo questa strada ci accorgeremo che raggiungere l’armonia fra noi stessi e ciò che ci circonda è possibile, così come è possibile vivere bene se adottiamo la misura dei nostri limiti e delle nostre capacità. Il giusto mezzo si trova fra il disprezzo del mondo del pensiero giudaico-cristiano e l’edonismo senza limiti del pensiero contemporaneo. Se, da una parte, saremo capaci di amare questo mondo (perché nell’eternità ci annulliamo) e dall’altra riusciremo a rifiutare i feticci della società dei consumi, forse risulterà più facile rivalutare noi stessi per quello che siamo e per quello che possiamo fare e immaginare. Raggiungeremo la felicità? Non lo so, ma certamente avremo costruito un percorso di vita con un senso, senza rimpianti né frustrazioni, aperto ad accogliere tutte le opportunità che il Caso ci vorrà offrire. E se capiterà di sentirci felici vivremo quegli istanti con tutta la pienezza che ci sarà consentito di avere, così un giorno, quel gran giorno, potremo dire: sono stato felice.

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