domenica 22 novembre 2009

CASA DI CURA "LA TEMPESTA"


Ancora un allestimento de “La Tempesta” per il Teatro Stabile di Napoli e la regia di Andrea De Rosa. Una compagnia solida, con elementi di spicco come Rolando Ravello, rinforzata dalla presenza di Umberto Orsini, uno degli ultimi “principi” del teatro italiano.
“La Tempesta” è forse l’unica opera di Shakespeare che si presta “naturalmente” ad operazioni di revisione drammaturgica e di modernizzazione. Le storiche revisioni di Strelher e di Peter Brook ne sono un valido esempio, per non parlare delle versioni cinematografiche che nel film di Greenaway (Prospero’s Book) trovano l’apice di ogni verosimile astrazione.
De Rosa opera due alterazioni fondamentali: da un lato riduce e quasi annulla l’aura di magico mistero che avvolge la figura di Prospero/Orsini e dall’altro modifica il ruolo di Calibrano/Ravello sottraendogli ogni elemento di cruda e quasi disumana naturalezza per consegnarlo a un destino di semi demente ossessionato dal sesso. In questa nuova ottica Prospero, vestito di un grigio cappottino da pensionato, perde ogni alone di potenza sovrannaturale per apparire come una sorta di eminenza grigia incapace di esercitare il suo dominio totale neanche su Ariel, il quale, a sua volta, ci viene presentato non come un vitalissimo elfo bensì come una sorta di Genio della lampada di Aladino, anziano, calvo, col pizzetto imbiancato e tanta voglia di tornare a russare nella sua comoda lampada. L’isola diventa così una sorta di gerontocomio e clinica per malati di mente, cosa scenograficamente confermata dalla presenza del solito lettino ospedaliero a rotelle, al centro della scena. Cosa rimane allora del dramma labirintico, della ricerca dell’uomo di dominare la natura, della brama del potere, dell’oppressione dell’uomo sull’uomo, del rischio che le colpe dei vecchi possano ricadere sulle nuove generazioni, del pentimento e dell’esercizio del perdono? Cosa resta di un dramma che conclude la visione rinascimentale dell’uomo protagonista del proprio destino per aprire il nuovo scenario barocco in cui il mistero e l’incertezza della propria identità si misura con l’illusione dei sensi e l’imprevedibilità della natura? Proprio un bel niente.
Il mitico monologo di Prospero sull’illusione della realtà, sulla vita che è teatro e vana rappresentazione, diventa un biascicante delirio di un vecchio claudicante sull’orlo di una crisi prostatica.
In ogni caso la Compagnia merita un voto di plauso, se non altro per aver reso alla perfezione il punto di vista del regista. Una menzione speciale per il suono: la trovata di investire gli spettatori con tuoni inaspettati e assolutamente esagerati (roba da crakkare pacemaker e apparecchi Amplifon) ha evitato parecchi sonni placidi in platea.

3 commenti:

ap ha detto...

Scusa Saverio, ma di questa recensione sulla TEMPESTA di Shakespeare non ci ho capito una "H".

Anonimo ha detto...

torno, come promesso, per lasciarti un commento sulla Tempesta vista una settimana fa...
mentre per la rappresentazione di Otello il mio giudizio era tutto sommato benevolo, stavolta non posso che sottoscrivere la tua recensione...
con le attenuanti che La tempesta è sicuramente difficile da rappresentare per l'intreccio magia/sogno/realtà trovo difficile trovare qualche elemento da salvare (parlando ovviamente da non esperta!)...
c'è da dire che la parte in dialetto (sopratutto quella cantata) non l'ho LETTERALMENTE capita (figurati, a mala pena comprendo il dialetto della mia città!). Bellissimo la tua menzione speciale per il suono...ho fatto certi salti sulla poltroncina!
a questo punto rivaluto la versione (in inglese) per la scuola che avevo visto al liceo.
(e spero di rifarmi con Amleto tra un mese)

Saverio ha detto...

Grazie per la puntualità, mi fa piacere che tu condivida il mio giudizio. La questione è che i grandi autori non hanno bisogno di essere rivisitati e attualizzati ad ogni costo. La loro grandezza, che è poi la loro eterna attualità,è tale da risparmiare la fatica di trovare nuove chiavi di lettura e nuove soluzioni drammaturgiche. Se non si hanno idee veramente nuove e pertinenti, è meglio rimanere nell'alveo della tradizione.
Grazie, alla prossima.