Una delle prerogative della maturità (che non sopravviene a scadenza fissa ma si conforma e si consolida in un lasso di tempo variabile da persona a persona) è il desiderio di vivere momenti di pausa e di riflessione. Nasce, cioè, la necessità di disporre di un luogo e di un tempo da dedicare a sé stessi, in solitudine. Potrebbe sembrare normale che dopo un periodo di attività lavorativa svolta a ritmo sostenuto, se non addirittura frenetico, si cerchi una pausa rilassante o per lo meno distensiva. Ma non è questo il genere di cosa a cui ci si vuole riferire. Si tratta piuttosto di cercare e trovare un luogo particolare in cui potersi dedicare a riflettere, a osservare la natura, a leggere, o più semplicemente a far nulla.
La necessità è quella di poter operare una sorta di “svuotamento” della testa, degli occhi e delle orecchie da suoni, immagini e pensieri che normalmente albergano nei nostri sensi e per i quali si prova specie di nausea, di fastidiosa assuefazione. Si è giunti a uno stato di autorepulsione, di rifiuto di sé stessi, di negazione affettiva, di ribrezzo relazionale. Questo è il momento in cui si rompe il nostro equilibrio dinamico e bisogna fermarsi per ricostruirlo. Girare per le stradine di campagna, passeggiare lungo la spiaggia o camminare a zonzo sotto la pioggia, non importa, quel che conta è avere la percezione di essere in nessun luogo (rende meglio il vocabolo inglese nowhere), ovvero di fluttuare in una diversa dimensione spazio temporale in cui le cose più semplici e naturali ci appaiono nuove rivelazioni. Il volo di un gabbiano, il frenetico incedere di una formica, la ritmica oscillazione di uno stelo d’erba percosso dalla brezza, l’odore della pioggia, il profumo di un ragù assonnato sopra un’esile fiammella, la dignità di un cane randagio accucciato sul marciapiedi. Tutto ci sembra nuovo, diverso, degno di interesse. In questi momenti riaffiora la curiosità del bambino, assaporiamo lo stupore dell’uscir fuori da sé e sentirsi in comunione col resto del mondo. I pensieri si accumulano affastellati sul ciglio della bocca e vorremmo recitare una vecchia poesia imparata da piccoli, non riusciamo a fermare i ricordi e il formarsi di nuove fantasie. A volte, in questi istanti, si prova la repentina sensazione di sentir scorrere il flusso vitale, di aver toccato per un attimo il volto della Vita. Sono ore preziose che non devono essere corrotte da invasioni telefoniche o altri tipi di contatti con il teatro quotidiano che recitiamo ormai passivamente da troppo tempo. Per l’essere umano è estremamente riduttivo misurarsi esclusivamente con le squallide cose che riguardano la sopravvivenza e i rapporti sociali: l’uomo ha bisogno di confrontarsi con qualcosa di più grande e complesso, con qualcosa di metafisico. Il problema è che la società dei consumi tende a spacciare per metafisico qualsiasi bisogno indotto, per cui acquistare un jeans da centocinquanta euro non è più (come dovrebbe essere) un atto scellerato bensì diventa un passo avanti nella processione degli eletti, per non parlare del delirio di onnipotenza che crea il possesso di una borsa di Vuitton e che dire di chi ha giurato di aver visto la Madonna dopo aver inforcato un paio di mutande di Dolce & Gabbana? Per moltissimi, giovani soprattutto, il nowhere preferito è la televisione e in particolari programmi come Uomini e Donne: davanti al piccolo schermo vedono sfilare allegri e allegre scansafatiche dal vocabolario approssimativo, tutti convinti che la vita consista nello scambiarsi monologhi da cerebrolesi e dibattersi nel dubbio di chi trombare e/o da chi farsi trombare nelle prossime ventiquattr’ore. Questi ragazzi (tra l’altro anche un po’ stagionati) fino a non molti decenni fa avrebbero potuto solo intraprendere le onorate carriere di squillo, impiegate Standa, sciampiste, facchini, fattorino di pizzicagnolo, radiatorista e magliaro. Ora possono finalmente aspirare a divenire ospiti di discoteche e night club, modelli per reclamizzare la nuova pizzeria da Ciro e, solo per i più belli e dotati, fare televendite di pentolame e materassi. Un bel passo avanti non c’è che dire. E i giovani spettatori? A costoro cosa accadrà? Alcuni ingrosseranno le file dei casting televisivi, gli altri, la maggior parte, continuerà la vita di sempre tra tivù e manicaretti di mammà e quando verrà il momento di voler fare una passeggiata romantica sussurreranno: verresti con me a fare un’esterna?
Stando così le cose, a noi maturi pellegrini del nowhere non restano molte speranze. Così se accadesse di trovare un luogo veramente speciale, la tentazione di rimanervi potrebbe essere troppo forte. Lasceremmo una famiglia in preda alla disperazione? Ma no, dopo lo show della De Filippi passerebbero tutti a vedere Chi l'ha Visto?
La necessità è quella di poter operare una sorta di “svuotamento” della testa, degli occhi e delle orecchie da suoni, immagini e pensieri che normalmente albergano nei nostri sensi e per i quali si prova specie di nausea, di fastidiosa assuefazione. Si è giunti a uno stato di autorepulsione, di rifiuto di sé stessi, di negazione affettiva, di ribrezzo relazionale. Questo è il momento in cui si rompe il nostro equilibrio dinamico e bisogna fermarsi per ricostruirlo. Girare per le stradine di campagna, passeggiare lungo la spiaggia o camminare a zonzo sotto la pioggia, non importa, quel che conta è avere la percezione di essere in nessun luogo (rende meglio il vocabolo inglese nowhere), ovvero di fluttuare in una diversa dimensione spazio temporale in cui le cose più semplici e naturali ci appaiono nuove rivelazioni. Il volo di un gabbiano, il frenetico incedere di una formica, la ritmica oscillazione di uno stelo d’erba percosso dalla brezza, l’odore della pioggia, il profumo di un ragù assonnato sopra un’esile fiammella, la dignità di un cane randagio accucciato sul marciapiedi. Tutto ci sembra nuovo, diverso, degno di interesse. In questi momenti riaffiora la curiosità del bambino, assaporiamo lo stupore dell’uscir fuori da sé e sentirsi in comunione col resto del mondo. I pensieri si accumulano affastellati sul ciglio della bocca e vorremmo recitare una vecchia poesia imparata da piccoli, non riusciamo a fermare i ricordi e il formarsi di nuove fantasie. A volte, in questi istanti, si prova la repentina sensazione di sentir scorrere il flusso vitale, di aver toccato per un attimo il volto della Vita. Sono ore preziose che non devono essere corrotte da invasioni telefoniche o altri tipi di contatti con il teatro quotidiano che recitiamo ormai passivamente da troppo tempo. Per l’essere umano è estremamente riduttivo misurarsi esclusivamente con le squallide cose che riguardano la sopravvivenza e i rapporti sociali: l’uomo ha bisogno di confrontarsi con qualcosa di più grande e complesso, con qualcosa di metafisico. Il problema è che la società dei consumi tende a spacciare per metafisico qualsiasi bisogno indotto, per cui acquistare un jeans da centocinquanta euro non è più (come dovrebbe essere) un atto scellerato bensì diventa un passo avanti nella processione degli eletti, per non parlare del delirio di onnipotenza che crea il possesso di una borsa di Vuitton e che dire di chi ha giurato di aver visto la Madonna dopo aver inforcato un paio di mutande di Dolce & Gabbana? Per moltissimi, giovani soprattutto, il nowhere preferito è la televisione e in particolari programmi come Uomini e Donne: davanti al piccolo schermo vedono sfilare allegri e allegre scansafatiche dal vocabolario approssimativo, tutti convinti che la vita consista nello scambiarsi monologhi da cerebrolesi e dibattersi nel dubbio di chi trombare e/o da chi farsi trombare nelle prossime ventiquattr’ore. Questi ragazzi (tra l’altro anche un po’ stagionati) fino a non molti decenni fa avrebbero potuto solo intraprendere le onorate carriere di squillo, impiegate Standa, sciampiste, facchini, fattorino di pizzicagnolo, radiatorista e magliaro. Ora possono finalmente aspirare a divenire ospiti di discoteche e night club, modelli per reclamizzare la nuova pizzeria da Ciro e, solo per i più belli e dotati, fare televendite di pentolame e materassi. Un bel passo avanti non c’è che dire. E i giovani spettatori? A costoro cosa accadrà? Alcuni ingrosseranno le file dei casting televisivi, gli altri, la maggior parte, continuerà la vita di sempre tra tivù e manicaretti di mammà e quando verrà il momento di voler fare una passeggiata romantica sussurreranno: verresti con me a fare un’esterna?
Stando così le cose, a noi maturi pellegrini del nowhere non restano molte speranze. Così se accadesse di trovare un luogo veramente speciale, la tentazione di rimanervi potrebbe essere troppo forte. Lasceremmo una famiglia in preda alla disperazione? Ma no, dopo lo show della De Filippi passerebbero tutti a vedere Chi l'ha Visto?
4 commenti:
Come al solito hai descritto perfettamente certi momenti della nostra vita e con saggia ironia quello che passa sotto i nostri occhi e le nostre paure su ciò che saranno i nostri figli se questi sono i loro punti di riferimento. Posso ricopiare sul mio Fb almeno parte dei tuoi commenti chiaramente dichiarando da dove e da chi è stato scritto? un caro saluto
Ma certo che puoi, ne sono lusingato.
Grazie per il commento. A presto.
Una impeccabile disamina del disagio giovanile all'insegna più dell'apparire che dell'essere, con tutte le conseguenze negative che gravano sul futuro dell'unanità. Confido nella perseveranza degli educatori per incanalarli nei veri VALORI della vita. Grazie ancora per aver dato voce ai miei numerosi silenzi rigeneratori.
Purtroppo non è affare degli educatori. La società dei consumi penetra nelle menti dei bambini ancora in età prescolare trasformandoli in piccoli ma scatenati consumatori.La mercificazione di ogni loro bisogno è un processo implacabile e ineluttabile. La televisione è il veicolo di ogni valore e di ogni modello. L'apparire ha preso il sopravvento sull'essere. Il denaro e il successo sono gli unici scopi da perseguire. Non c'è soluzione, ci aspetta un futuro estremamente drammatico.
Grazie, a presto.
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