sabato 29 marzo 2008

venerdì 28 marzo 2008

GIANCARLO GIANNINI - Il Golem

A VOLTE E'MEGLIO NON RICORDARE

SO WHAT

GREAT BLACK MUSIC

MAN RAY - L'Etoile De Mer (1928)

MAGIA DELLE STELLE DI MARE

RYUICHI SAKAMOTO

LA PRIMAVERA

venerdì 21 marzo 2008

VACANZE PASQUALI

SETTIMANA DI PASQUA IN AFRICA, DARFUR.

PRECETTO PASQUALE


NON FESTEGGIARE LA PACE SGOZZANDO MIGLIAIA DI CUCCIOLI

mercoledì 19 marzo 2008

LA COERENZA


La coerenza è una qualità del fare, è intimamente collegata all’etica ed è elemento di riconoscimento di un rapporto ottimale fra etica e morale. In sostanza, la coerenza è la misura del rapporto fra il pensare (e il dire) e il fare. Una persona coerente è colei che applica al proprio comportamento le proprie convinzioni, indipendentemente dal giudizio che si possa dare su di esse. Coerente è il sacerdote che vive rispettando attivamente le sacre scritture e tenendo fede al proprio giuramento senza cedere alle tentazioni; coerente è il mafioso che vive e agisce secondo il proprio codice sanguinario e omertoso senza cedere di fronte alla possibilità di migliorare la propria condizione carceraria o addirittura di evitare completamente la pena inflitta. Eppure questi due casi sono completamente diversi: nel primo la coerenza identifica il bene, nel secondo il male. Ne consegue che la coerenza, in sé, non è rivelatrice di doti morali bensì di un comportamento etico lineare e non contraddittorio. Ma siccome nel linguaggio comune il termine “coerenza” ha assunto un’accezione positiva, nel primo esempio usiamo questo termine, nel secondo preferiamo parlare di ostinazione, di cieca perseveranza, di disumanità, di rifiuto del pentimento. Naturalmente fra questi due estremi si pone tutto il resto dell’umanità: persone normali, né santi né delinquenti. In questo spazio piuttosto ampio possiamo trovare gli elementi della lotta perenne tra la linearità e la contraddizione. Ed eccoci all’antitesi della coerenza: la contraddizione. A ben guardare, la contraddizione è una delle caratteristiche peculiari dell’essere umano, sia che lo si consideri da solo, sia in gruppo. Anzi, sotto un certo aspetto, potremmo dire che l’uomo è per definizione l’unico essere vivente contraddittorio. Questa condizione schizoide lo ha spinto nell’evoluzione della civiltà a darsi delle regole, delle leggi, dei tabù, dei codici di comportamento sociale che neutralizzassero almeno le contraddizioni più evidenti. L’animale uomo, capace di ardite elaborazioni del pensiero astratto e complesse speculazioni trascendentali, è l’unico essere vivente che uccide e tortura, che pratica l’odio e la vendetta. Questa è la somma contraddizione umana. Ed ecco perché noi umani ammiriamo la coerenza. La amiamo talmente da ritenere negativamente comportamenti come il cambiare opinione, modificare il proprio punto di vista, rivedere il proprio pensiero. Molto spesso coloro che cambiano idea vengono considerati voltagabbana, ipocriti, doppiogiochisti. In realtà non sopportiamo quel piccolo tarlo che ronza nel nostro cervello creando una fastidiosissima insicurezza, una incapacità ad aderire completamente alle nostre stesse convinzioni. Le nostre certezze, i nostri valori, la fede in qualcosa o in qualcuno, non sono mai assolute (anche quando crediamo sinceramente che sia così) e una parte di noi è sempre impegnata a verificarle, a riconsiderarle e rimisurarle. Il problema nasce quando dobbiamo agire, quando cioè dobbiamo testimoniare pubblicamente delle nostre convinzioni; in questo caso entrano in gioco diversi elementi molto spesso in attrito fra loro: seguire l’istinto, temere il giudizio, paura di danneggiare persone vicine e lontane, terrore di apparire contraddittori, rischiare di danneggiare se stessi. L’estrema e tragica complessità che ci distingue fra i viventi invoca ad alta voce un comportamento semplice e lineare, una presa di posizione inequivocabile, una scelta di campo precisa. E quando ciò si verifica ecco che ci troviamo al cospetto di una persona coerente, tanto di cappello. Attenzione però, poiché la coerenza ha due facce: quella libera e coraggiosa di chi non vuole nascondersi e quella mummificata e immobile di chi sfida, presuntuoso, gli eventi della vita. Sul primo caso è stato scritto da Paul Bourget:”Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto.” Per il secondo, Boris Pasternak scriverà:”Bisogna essere di un’ irrimediabile nullità per sostenere un solo ruolo nella vita, per occupare un solo e medesimo posto nella società, per significare sempre la stessa cosa.” La coerenza può essere orientata, indifferentemente, verso il cambiamento o verso la conservazione; essa, in sé, non è una qualità ma solo un segnale del comportamento. Anche nelle arti, la coerenza non è una qualità, essa definisce meglio uno stile, chiarisce il rapporto fra forma e comunicazione, ma non è il luogo magico in cui si verifica il “corto circuito” dei sensi. Ciò che colpisce, che affascina, è una coerente contraddizione. Un naturale accostamento di contrari, uno stupefacente ossimoro dei sensi, un segno di ineffabile umanità.


lunedì 17 marzo 2008

ABEL GANCE - La Folie du Docteur Tube [1915]

SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

domenica 16 marzo 2008

mercoledì 12 marzo 2008

SACHER QUARTET - I ricordi della sera

OMAGGIO ALL'ELEGANZA DEL QUARTETTO CETRA

PERIGEO - Torre del Lago

ISPIRATA

LAUREL And HARDY - Lonesome Pine

GENIALI

ZORBA IL GRECO

APPARTENERE AL MEDITERRANEO

TANYA TAGAQ

ASSOLUTAMENTE UNICA

AL PACINO - Scent of Woman

UN TRIBUTO ENTUSIASTICO

domenica 9 marzo 2008

L'UOMO ELEGANTE


Ancora una volta sono rimasto affascinato da un vecchio film con Fred Astaire e Ginger Rogers (Cappello a Cilindro, 1935), eppure l’avrò visto almeno una mezza dozzina di volte. Quale sarà stata la dote di Fred Astaire (al secolo Frederick Austerlitz, 1899-1987) che immancabilmente riesce a colpire lo spettatore? L’eleganza, senza dubbio. Astaire non è elegante solo quando danza, egli fa dell’eleganza uno stile che non si limita al personaggio sulla scena ma investe tutta la sua persona. Fred Astaire è il prototipo del moderno uomo elegante: sensibile, autoironico, di grande forza interiore, leale, pacato ma ricco di guizzi fisici e di intuizioni sottili. Egli, più che un ballerino sempre pronto a “fisicizzare” le tensioni emotive, è un danzatore, sempre in intima sintonia col ritmo della vita che lo circonda, egli passa dalla vita alla danza e dalla danza alla vita con una naturalezza strabiliante, egli non “invade” lo spazio con le sue figurazioni, piuttosto lo attraversa, lo abbraccia, lo avvolge, lo curva, sempre con quell’ironica leggerezza e sobria follia che solo lui riesce a manifestare così bene con il corpo. La danza di Fred Astaire è una metafora della vita, per vivere pienamente è necessario “entrare” nel ritmo vitale e seguirlo fino in fondo senza remore né perplessità, solo così si diventa parte della pulsazione dell’esistenza e si è in grado svolgere un ruolo nella rappresentazione umana. Oserei dire che il suo approccio alla danza è zen, ovvero entrare in intima sintonia col flusso vitale per cogliere l’essenza più profonda dell’esistenza. Questa tesi è confortata dall’analisi della coppia Astaire/Rogers: sebbene il ballo di coppia, storicamente e antropologicamente, abbia un’indiscussa valenza sessuale, i nostri due protagonisti in azione sono quasi asessuati. La loro danza di coppia perde la sensualità potenziale per approdare a un confronto “energetico”. Fred e Ginger non trasmettono tensione erotica bensì tensione energetica. Loro incarnano i due poli energetici vitali, il mascolino e il femminino, lo Yin e lo Yang, il positivo e il negativo. Anche in questo caso, la coppia è una metafora dello scontro/incontro fra le due diverse energie che sono alla base della vita. Astaire e Rogers riescono a rappresentare con irripetibile eleganza il movimento e la pulsazione della vita, sia biologica che sociale.
Ma tutto ciò ha ancora un senso? Qual è il valore dell’eleganza, dell’ironia, dell’autocontrollo e della discrezione in una società come la nostra, basata sull’eccesso e sull’arroganza ignorante ad ogni costo? Vogliono farci credere che l’eleganza sia qualcosa che riguardi solo la moda, invece l’eleganza è la manifestazione (e qui entra l’estetica) di uno stato interiore, di una dimensione profonda dell’essere. L’eleganza è emanazione di interiorità, è lo specchio percepibile di un atteggiamento culturale dove il fare e l’apparire corrisponde all’essere. A questo proposito forse la definizione più riuscita di eleganza ci viene da Jean-Paul Sartre:”L’eleganza è quella qualità del comportamento che trasforma la massima quantità di essere in apparire”. E nonostante si tratti di una qualità riconosciuta e definita sin dall’antichità (si pensi a Petronio, definito da Tacito:”arbiter elegantiae”), essa raramente è stata oggetto di significative riflessioni filosofiche, almeno fino a giungere ai pensatori romantici. La società contemporanea impone, per ragioni di mercato, l’ideologia dell’omologazione in cui l’immagine non è, e non deve essere, il riflesso del sé bensì la supina accettazione di schemi imposti dall’estetica dominante (le griffes, ad esempio); l’immagine è una maschera, un topos mimetico, firmata dai padroni del pensiero dietro la quale nascondere la propria autentica identità. In questa situazione è sempre più difficile essere eleganti e, sempre più spesso, si diventa molto simili ai fantocci esposti nelle vetrine, ieraticamente fasulli, quando non penosamente ridicoli. Con ciò non si vuole rispolverare l’epopea del dandy, così perfettamente rappresentata da Oscar Wilde, ma solo proporre una riflessione sulla reale consistenza degli odierni luoghi comuni: vi sembra elegante l’immagine di un bel tomo in mutande griffate steso in una barca? Guardando con attenzione, l’immagine rievoca quella di un aspirante suicida in attesa della tempesta marina. Forse si tratta di una proiezione inconscia di una tragedia contemporanea: se sono qualcuno solo perché indosso queste mutande allora è meglio farla finita, mutatis mutandis, meglio morire ora che aspettare l’epoca dei cloni umani griffati. Addio Fred, ultimo baluardo dell’autentico gusto di vivere, eroe epico della guerra perduta contro l’omologazione.

sabato 8 marzo 2008

ODORI


L’olfatto è un senso estremamente delicato e complesso. Esso ci consente di assumere informazioni sulla realtà estremamente preziose e insostituibili da parte degli altri sensi. Il cervello non solo elabora le informazioni ma le classifica e le archivia formando, nel tempo, una vera e propria memoria degli odori, la quale si rivela indispensabile nella vita quotidiana. Ma c’è qualcosa di più, la memoria degli odori ha una funzione evocativa molto sviluppata e attiva un canale di comunicazione estremamente efficiente con la nostra sfera affettiva. Capita a tutti di imbattersi, magari dopo tanto tempo, in odori che ricordano esperienze del passato, ebbene, quest’incontro non attiva solo l’emersione di vecchi ricordi strettamente legati all’odore, accade che il rinnovo dell’esperienza olfattiva inneschi un meccanismo di evocazione dell’affettività vissuta in quelle circostanze. Ad esempio il profumo dei biscotti appena sfornati dalla nonna non solo rinnova quella passata esperienza ma ci fa rivivere il sentimento di gioia che provavamo da bambini e, magari, quel senso di profonda letizia e complicità che lega per sempre nonni e nipoti. La stessa cosa si può dire di un profumo usato da una persona che abbiamo molto amato, la rievocazione olfattiva dà un senso di materializzazione non solo della persona amata quanto, soprattutto, del sentimento stesso che ci legava a lei. Naturalmente tutto ciò vale anche nel senso contrario, ovvero quando certi odori sono collegati ad esperienze negative e dolorose; indipendentemente dalla qualità dell’odore, la sofferenza ad esso collegata ci fa rivivere quei brutti momenti che vorremmo dimenticare per sempre. Se, da una parte, il progresso scientifico e tecnologico è riuscito a sintetizzare artificialmente qualsiasi tipo di odore, dall’altra, è ancora molto lontano dall’impiegarlo nei sistemi di riproduzione della realtà. Proviamo ad immaginare che effetto avrebbe su di noi la visione di un film in cui si potesse fruire in egual misura di immagine, suono e odori. Sicuramente sarebbe un’esperienza travolgente. La classificazione degli odori è subordinata alla soggettività (dove per soggettività intendiamo il gusto personale e le passate esperienze olfattive), per taluni l’odore di vernice fresca è molto piacevole, per altri l’odore del sigaro toscano è abominevole. Poi c’è il sacro mistero di alcuni deliziosi formaggi: entrando in una cantina dove sono conservate forme di gorgonzola o di taleggio avrete la stessa sensazione olfattiva di uno spogliatoio di militari dopo una marcia forzata di dieci chilometri. Degustare, invece, una fetta dei suddetti formaggi è un’esperienza trascendentale. Per quanto riguarda la pelle umana, la questione è piuttosto complessa; ogni persona ha un suo odore particolare che, solitamente, è determinato dalla risultante di diverse componenti: profumo del sapone, eventuale deodorante e/o eau de toilette, odore personale causato da ereditarietà, stato ormonale e umorale, pratiche igieniche e tipo di alimentazione (molte sostanze assunte col cibo vengono eliminate insieme alla traspirazione della pelle). Poi ci sono gli odori-simbolo che appartengono a intere comunità, odori che rappresentano attività umane primarie per l’identificazione della comunità stessa: per le strade ci è ancora concesso di poter riconoscere l’odore dei panifici, quello dei frantoi oleari, delle cantine, dei forni che cuociono conto terzi, dei mercati, ecc. Nel privato è inconfondibile l’odore di borotalco che ci ricorda i neonati, il caldo profumo della minestra domestica, la provocazione domenicale del ragù, le lenzuola pulite del proprio letto, l’odore di inchiostro del quotidiano appena sfogliato, la lettiera del gatto da ripulire, il tabacco, il caffè domestico, l’odore di agrumi che ricorda il periodo natalizio e quello di mandorle tostate così largamente impiegate nei dolci del sud.
Fortunatamente ancora oggi, passeggiando per i centri storici dalle vie strette e tortuose, è possibile cogliere odori inconfondibili che testimoniano della continuità nel tempo di atti, preparazioni e consuetudini che ci fanno sentire profondamente legati ad un’antica civiltà materiale da riscoprire e valorizzare: dal profumo del bucato appena steso a quello della frittatina per imbottire il panino; dalla zuppa di pesce serale alla carbonella del braciere condita da bucce d’arancio per “deodorare” l’ambiente; dai taralli e focaccia appena sfornati all’intenso odore di legno della bottega del falegname. Tutto ciò non durerà a lungo, queste preziose tracce olfattive sono destinate a scomparire per sempre lasciando spazio alla puzza del traffico e dell’immondizia sempre più abbondante.

venerdì 7 marzo 2008

DESTINO


L’ho visto in una goccia di pioggia.
Pendula, grassa, smargiassa.
Grigia di cielo e fredda di marzo,
limpida di riflesso lucente.
Mentre guardavo il mio futuro
è gocciolata sul muro colando
ed io bestemmiando ho visto il destino
finir lentamente di cader nel tombino.
Aspetterò di nuovo la pioggia.
Rivedrò la perfida goccia.
Le dirò “hai finito, liquida strega
di menar la mia sorte al tombino,
d’ora in poi sono figlio di Bacco
e la sorte scrutare potrò
nella rossa goccia di vino”.



IL DESINARE DELL'8 MARZO


A chi volesse festeggiare la Giornata della Donna propongo un menu semplice, veloce, ma intenso di sapori e ricco di effetti collaterali particolarmente tonificanti del corpo e dello spirito.


Linguine alla Dea Madre


Preparare una salsa fredda in frullatore con: due pomodori da insalata e due da salsa, 50 gr. di capperi sciacquati, un peperone giallo, un cuore di sedano bianco, 100 gr di ricotta vaccina, 1/3 di peperoncino piccante, basilico, prezzemolo, una presa d’origano, sale, 1 scalogno piccolo, almeno 100 gr di olio extravergine d’oliva. Lasciar riposare in frigorifero per almeno mezz’ora in una capiente zuppiera. Versare le linguine al dente e bollenti, amalgamare il tutto e servire.



Alici nel Paese delle Meraviglie


Disporre in una teglia da forno olio extravergine e 500 gr di alici freschissime, aperte, pulite e spinate. Condite con succo di un limone, due dita di Falanghina, sale, pepe, prezzemolo e barba di finocchio tritati. Cospargete il tutto con un velo sottile di pan grattato. Cuocere al grill a temperatura massima. A parte stufare 500 gr di zucca con olio extravergine, un cipollotto e poco peperoncino. A cottura ultimata ridurla in crema col mixer o in frullatore. Coprire il fondo dei piatti con la crema di zucca calda guarnita di uno strato sottile di mandorle tritate e foglioline di maggiorana fresca, quindi disporre sulla crema le alici e servire.



Insalata Neoplatonica


In una insalatiera tagliate a tocchetti due patate di Bologna lessate e, a rondelle, due zucchine lessate. Aggiungere il solo frutto di un kg di cozze aperte sul fuoco, 250 gr di gamberetti lessi e sgusciati, un cuore di sedano crudo a pezzetti. Condire con prezzemolo tritato, il succo di un limone fresco, olio extravergine d’oliva, tre dita abbondanti di Trebbiano o Verdicchio, sale, pepe e zafferano. Lasciar riposare per almeno un’ora prima di servire.



L’Impero dei Sensi


Inglobare in ogni 100 gr di crema pasticcera 25 gr di uva sultanina macerata per mezz’ora in Moscato di Pantelleria e 20 gr di mandorle tostate tritate. Lasciar riposare per un’ora in frigorifero, quindi servire in una coppa da macedonia sul cui fondo avrete disposto un biscotto amaretto ammorbidito con liquore DiSaronno.

martedì 4 marzo 2008

ROSSINI - Duetto Buffo di Due Gatti

GENIALE

JETHRO TULL - La Bourreé

IL FASCINO INDISCRETO DI BACH.

AMAZING BLONDEL - Alleluia

RIMINISCENZE

ALAN SORRENTI - Aria

PRIMO (1972)ALBUM DI SORRENTI.UNA GRANDE PROVA RIMASTA UNICA. AL VIOLINO IL MAGICO JEAN LUC PONTY. PURTROPPO MANCA IL FINALE.

sabato 1 marzo 2008

ADRIANO CELENTANO - Stai Lontana Da Me

DEFINITIVO

KINGS SINGERS - Arcadelt - Il bianco e dolce cigno

ONLY FOR AMATEURS

MADREDEUS - O Pastor

MAGICI

AL JARREAU - Mas Que Nada

FORMIDABILE

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI SANREMO


Sono anni ormai che il Festival di Sanremo non riesce più a registrare ascolti e consensi enormi, come nel passato più remoto. Ogni anno, quindi, in questo periodo, fioccano polemiche varie e critiche molto pesanti sull’organizzazione e sulla stessa sopravvivenza di quest’ultimo. In realtà la crisi commerciale della musica leggera italiana, che viene fedelmente riflessa dal palcoscenico di Sanremo, ha cause diverse e piuttosto profonde. Prima di tutto c’è un’industria discografica che ha raggiunto livelli di incompetenza semplicemente paurosa. Il mercato è in mano a poche etichette multinazionali gestite da manager che trattano la musica come se trattassero detersivi o prosciutto cotto. Questi manager non hanno alcuna conoscenza musicale né alcuna esperienza specifica in settori di marketing di prodotti d’arte. Costoro ritengono ancora che il successo musicale sia roba da tormentoni estivi e che il Festival sia ancora in grado di sfornare il successo dell’anno. Il mercato musicale italiano non è molto diverso da quello degli altri paesi industrializzati: un mercato estremamente segmentato a causa di un pubblico molto diversificato. Ormai per ogni fascia d’età esiste un diverso consumo musicale, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. La scelta fallimentare dei discografici di mantenere piuttosto alto il prezzo del disco ha, inoltre, incentivato la pratica di accedere alla musica tramite internet e/o di ricorrere alla pirateria musicale. In questo panorama caleidoscopico troviamo di tutto, da Einaudi e Allevi a Caparezza e Sud Sound System, dalla Pausini e Zucchero a Gigi D’Alessio e Andrea Bocelli, dai neomelodici napoletani a Tiziano Ferro. Oltre, naturalmente, a cantanti e gruppi stranieri, quasi tutti anglosassoni. In realtà non esiste più il disco boom, il fenomeno musicale dell’anno che ogni italiano deve assolutamente acquistare. Questo quadro, seppur appena abbozzato, esprime una realtà ormai consolidata e manifesta segni di una tendenza verso la creazione di segmenti di consumo ancora più piccoli e specializzati. In un contesto del genere è praticamente impossibile pretendere che una manifestazione ancora ottusamente monolitica come il Festival di Sanremo possa riscuotere i successi e i consensi del passato. E infatti alle delusioni degli ascolti televisivi si aggiungono, puntualmente, le delusioni delle vendite delle relative compilations immesse sul mercato. Anzi, da un punto di vista strettamente economico, se fossero resi pubblici i conti del Festival scopriremmo che, nonostante tutto, grazie alla pubblicità e ai tantissimi sponsor la kermesse televisiva non è affatto in perdita. Cosa che non si può dire, invece, dei conti delle case discografiche, le quali continuano ostinatamente a perdere quattrini sfornando raccolte che rimangono invendute negli scaffali dei negozi. E’ difficile credere che il Festival possa ritornare agli antichi fasti solo ad opera del direttore artistico. Solo operando una riforma radicale della manifestazione si potrebbe sperare in un suo reale rilancio. Sicuramente il primo provvedimento da prendere sarebbe quello di mettere da parte lo squallido carrozzone dei discografici nazionali che pretendono di dettar legge ad ogni costo. Poi bisognerebbe avere il coraggio di trasformare la manifestazione da Festival della Canzone Italiana a Festival della Musica Italiana, aprendo così le porte ad artisti che si esprimono in forme diverse (musica strumentale, canzoni in lingua straniera, ecc) ma che sono comunque rappresentativi del panorama musicale nazionale. In questo modo il Festival potrebbe effettivamente diventare uno specchio della realtà artistica e del mercato musicale italiano nel quale si riconoscerebbero tutte le diverse fasce di consumo. Non dobbiamo dimenticare che il Festival di Sanremo nacque dalla necessità di dare alla musica leggera italiana una vetrina massmediale (prima radio, poi tivù) che potesse rilanciare il mercato musicale sui nuovi supporti (disco 45 giri). Non dobbiamo dimenticare che la rivoluzione estetica della canzone italiana è stata celebrata dal Festival (Domenico Modugno, Luigi Tenco, ecc.), ma ora dobbiamo prendere atto che la sua funzione, così come era stata concepita, si è completamente esaurita. Avere il coraggio di cambiare è l’unico modo per mantenere viva una tradizione importante e continuare a sostenere la musica italiana.