lunedì 31 dicembre 2007

domenica 30 dicembre 2007

Ernesto 'a Foria - 'E Fravole

TRAGEDIE UMANE

QUINTO POTERE

PREPARIAMOCI AD UN ALTRO ANNO DI CAZZATE.

W.A. MOZART - Concert for clarinet, 2.nd mov

QUANDO LA FORMA SONATA E' FORMA MENTIS.

BADEN POWELL - Samba Triste

CHIUDERE IN BELLEZZA

sabato 29 dicembre 2007

FINE DELL'ANNO


Giorni freddi e vuoti,
ore malinconiche dure a morire,
cariche di lamenti, sospiri
e speranze sofferenti.
Le cose cambiano senza perché.
I ricordi torturano il cuore stanco.
I sogni affliggono la coscienza torbida.
Un volo d’uccello è lieve.
Un raggio di sole conforta i colori.
Una mano tesa ferma il pianto.
L’ anno si è trascinato a morire qui,
come un vecchio cane randagio,
come un insetto colpito dal freddo.
L’umana coscienza non può fare a meno
di nuove speranze che la memoria censura,
riduce e scalpella in piccole forme.
Non c’è tempo per i grandi disegni,
coraggiosi ed entusiastici sogni.
Solo miniature sono concesse.
Desideri di piccole, pure perfezioni.
Palle di vetro che racchiudono l’eternità.

IL PENSIERO SCOMODO DI GAETANO SALVEMINI


Cinquant’anni fa, il 6 Settembre 1957, si spegneva a Sorrento Gaetano Salvemini, storico, meridionalista e antifascista pugliese. La sua influenza sugli studi storici, sul pensiero politico laico e socialista democratico è stata fondamentale; il suo esempio di intellettuale e politico trasparente e coerente ha rappresentato un punto di riferimento basilare per il pensiero democratico e meridionalista. La sua intransigenza sulla salvaguardia dei principi e il suo pragmatismo sulla necessità di rispondere ai bisogni reali della società sono gli aspetti più importanti del suo concetto di analisi e azione politica, è stato ispiratore e fondatore con i fratelli Rosselli, suoi allievi, del movimento Giustizia e Libertà. La lucida rilettura del pensiero di Carlo Cattaneo lo ha portato, per primo in assoluto, a sostenere la validità in Italia di un sistema federalista che, decentrando il potere, avrebbe consentito al Sud di evolvere socialmente ed economicamente. Gaetano Salvemini è un fulgido esempio di intellettuale profondamente libero da ogni condizionamento dogmatico, convinto nell’assoluta necessità di uno stato laico e democratico il cui scopo principale deve essere la giustizia sociale e il progresso dei cittadini attraverso un’istruzione valida garantita per tutti.
Il pensiero di Gaetano Salvemini, per coerenza e libertà, è sempre stato molto scomodo sia per gli avversari politici che per i suoi compagni di schieramento; la sua onestà intellettuale non è mai arrivata a patti con qualsiasi convenienza politica o disciplina di partito. E forse per questo motivo la sua figura non gode della riconoscenza che meriterebbe.
Seguono alcune lucidissime frasi ,selezionate da opere e discorsi, per dare l’idea dell’originalità del suo pensiero e per stimolare il lettore ad approfondire la conoscenza di uno storico e un politico che ha lasciato un segno indelebile nella cultura e nella coscienza democratica del nostro paese.

“Signori, io non parlo con preoccupazioni politiche né elettorali… Parlo per l’affetto che è nato nel mio cuore dai lunghi dolori della mia terra e dallo studio che vi ho dedicato fin da quando ho cominciato a ragionare.”

“Io non prometto favori personali perché non ne farò. Non ho denari. Non ho altro patrimonio fuori di quello delle mie idee. Se scorrettezze si commettessero mi ritirerei immediatamente dal ballottaggio, e ove fossi eletto, darei immediatamente le dimissioni.. Dunque gli avversari possono essere perfettamente tranquilli. Ma li avverto che al primo tentativo di “pastetta” da parte loro, io capitanerò quegli elettori e cittadini risoluti che vorranno seguirmi per impedirla, a costo di qualunque cosa, anche della vita. E tanto peggio se la forza pubblica si renderà complice o protettrice dei pastettari.”

“ Si può essere liberali convinti eppure non sentirsi obbligati a considerare sacrosanta ogni istituzione libera e democratica. Quando furono create, le istituzioni democratiche si basavano sull’assunto che gli elettori avrebbero scelto come rappresentanti i migliori fra di loro, e che coloro che fossero stati eletti avrebbero fatto leggi e controllato l’operato dell’esecutivo nell’interesse della comunità. L’esperienza ha dimostrato che gli elettori raramente scelgono i migliori. Di fatto, essi scelgono normalmente i mediocri, a volte scelgono perfino i peggiori individui della comunità. Questo è il primo punto debole delle istituzioni libere e democratiche.”

“ La libertà significa il diritto di essere eretici, non conformisti di fronte alla cultura ufficiale e che la cultura, in quanto creatività, sconvolge la tradizione ufficiale.”

“Caro Fortunato, mi sento diventare ogni giorno più regionalista e più antiunitario. Peccato che non abbia nessuna stima delle classi dirigenti meridionali! Ma se un giorno queste classi dirigenti diventassero meno ignobili e meno somare di quel che sono oggi, non so se sarebbe un male una lotta bene risoluta per rivendicare ai nostri paesi il diritto di vivere da sé, come meglio ci conviene.”

“ Finchè vi sarà un potere centrale incaricato di distribuire strade, ponti, acquedotti, istituti d’istruzione, tribunali, reggimenti ecc. vi saranno sempre sperequazioni artificiali e ingiuste fra le parti dello Stato.”

“I principi di Diritto e di Giustizia esistono nella coscienza morale, e vi agiscono e reagiscono come forze effettive; ed è un grave errore ignorarli e deriderli.”

“Ho letto il progetto della nuova costituzione. E’ una vera alluvione di scempiaggine. I soli articoli che meriterebbero di essere approvati sono quelli che rendono possibile di emendare prima o poi quel mostro di bestialità.”

“I comunisti hanno per molti anni insegnato che libertà, verità, giustizia sono pregiudizi borghesi. Come possono allora sottrarsi alla necessità di non essere creduti, e come possiamo noi sottrarci alla necessità di non crederli? Allora io continuo e continuerò a ripetere: terza via, terza via, terza via, anche se mi vedo solo in mezzo alla via, in attesa che i totalitari di sinistra mi facciano fuori, o i totalitari di destra mi mettano dentro.”

“Io appartengo a quella religione stoica che non ha nessun dogma e nessuna speranza di vita futura, ma ha in comune col Cristianesimo il rispetto della libertà, il bisogno della giustizia, l’istinto della carità umana”

“I giovani debbono aver fede in se stessi, e cioè non debbono cercare di mettersi al seguito di uomini vecchi o nuovi; essi debbono lasciarsi guidare dalla loro ragione, non debbono prender nulla alla leggera, e debbono studiare, studiare, studiare.”

"Si è discusso di socialismo, marxismo e generi simili. Io ho detto francamente che ormai credo solo nel Critone di Platone e nel discorso della Montagna. Questo è il mio socialismo, e lo tengo inespresso nel mio pensiero, perché a esprimerlo mi pare di profanarlo. Cerco di esprimerlo meglio che posso nelle opere. Affrontare problemi concreti immediati, seguendo le direttive di marcia dettate dalla morale cristiana, e non perdere tempo in disquisizioni teoriche su che cosa è, cosa dovrebbe essere, che cosa sarà la democrazia, il marxismo, il socialismo, l’anarchia, il liberalismo...che se ne vadano tutti a casa del diavolo. Perdere tempo a pestare l’acqua nel mortaio delle astrazioni è vigliaccheria; è evadere ai doveri dell’azione immediata; è rendersi complici della conservazione dello statu-quo.”


lunedì 24 dicembre 2007

domenica 23 dicembre 2007

L'UOMO CHE SUSSURRAVA ALLE SEPPIE


Corrado discendeva da una dinastia del ramo cadetto di pescatori: coloro che vivevano pescando sottocosta a bordo di piccoli gozzi (chiamati in dialetto varcheceddàre). La vita di questi uomini era piuttosto grama, utilizzavano il palamito per il pesce più nobile (saraghi, orate, branzini, ricciole, piccoli tonni), una piccola rete a sacco per il pesce azzurro, il rampone per i ricci e la lenza per polpi e seppie. In ogni caso la quantità di pescato (anche nei giorni più fortunati) era appena sufficiente a sfamare la famiglia giorno per giorno, considerando i periodi di cattivo tempo e di malattia. Corrado era piuttosto piccolo di statura, ma muscoloso e ben proporzionato, il viso, cotto dal sole e segnato dalla salsedine mostrava lineamenti fini e regolari, occhi neri, fronte spaziosa, capelli crespi tenuti a bada da un cappello di lana grigio. A malapena sapeva leggere e scrivere ma era uomo intelligente, giudizioso e con un notevole senso degli affari; aveva capito che il successo commerciale dipendeva dalla sua capacità di offrire sempre il prodotto più richiesto. Così la sua attenzione si andava concentrando sulla “reginetta” della tradizione culinaria cittadina: la seppia.
A cominciare dalle seppioline (gli allievi) da consumare crude, a quelle da fare ripiene al forno con le patate, a quelle da friggere, alle magiche seppie da ragù, una specialità per tutte le stagioni.
Doveva studiare, approfondire l’argomento, voleva sapere tutto su quello strano mollusco che sarebbe stato la sua fortuna. Don Ditino era il vecchio farmacista, la sua “spezieria” era sempre aperta nella piazzetta che si affacciava sul porto. Don Ditino era appassionato di scienze naturali e nel suo retrobottega ospitava una nutrita biblioteca scientifica e un piccolo museo di fossili, uccelli e animali imbalsamati, reperti vari in boccioni di vetro immersi nella formalina. “Caro Corrado…la seppia è un nobile mollusco, noi in paese la chiamiamo “la seccia”, un termine brutto e prosaico…invece il dotto Linneo la battezzò Sepia Officinalis, un nome poetico e molto esplicito sulla grande utilità di questa creatura marina….non pensare solo al cibo, ma anche all’inchiostro, al grandioso contributo della seppia alla cultura dell’umanità!!” Continuò parlando della fisiologia, dell’anatomia e delle particolarità del nobilissimo mollusco. Due serate consecutive con Don Ditino lo avevano completamente rimbambito, per non parlare di Roccuccio, il figlio di cinque anni che la moglie gli aveva appioppato per avere un po’ di tranquillità, che di nascosto si era rimpinzato di cioccolatini purgativi e che ora piangeva per il mal di pancia. Ignazio “lo sgagnato” era un vecchio pescatore che aveva perso tutti i denti all’età di trent’anni a causa di un colpo di remi in pieno volto mentre nuotava per recuperare una nassa dispersa. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto svelargli i più piccoli segreti della pesca della seppia; purtroppo, a causa della mancanza dei denti, parlava farfugliando e schizzando saliva dappertutto, era impossibile stare fermi ad ascoltarlo senza ritrovarsi il viso e gli indumenti ricoperti di sputazzi. Ma Ignazio era una fonte inesauribile di scienza della pesca e di psicologia ittica. Avete capito bene, psicologia ittica, perché ogni specie marina ha il suo carattere e un bravo pescatore deve saper prendere ognuno dal verso giusto. La seppia è molto intelligente e ha un carattere molto deciso; “è incazzosa”, diceva Ignazio caricando sulla doppia zeta una raffica micidiale di saliva, “la seccia è come nà vaiassa, se ti fai scoprire che la vuoi prendere prima ti schizza lo ‘gnostro (l’inchiostro) poi non la vedi più, è fusciuta(fuggita) e tu ha puste ‘mbaccie ‘o nase (ti ha fottuto)”. Come ogni comara che si rispetti, la seppia ama le storie, fatti e fatterelli: “la seccia vol sentì le cùnte”, vuole ascoltare i racconti; questo era il grande segreto di Ignazio. Ora Corrado era pronto, sapeva tutto sulle seppie: dove cercarle, il periodo degli amori, della riproduzione, come e quando cacciava, quali fondali prediligeva. Ma soprattutto sapeva che la lenza sarebbe stata inutile se non avesse saputo cosa dire e come incantarle parlando.
Dopo una settimana di prove raggiunse il suo scopo: le seppie accorrevano a frotte ad ascoltare le storie del Guarracino che voleva sposare, le avventure di Ulisse e le vicende dell’Orlando Innamorato. Corrado passava le notti sulla sua barchetta a sussurrare sul pelo dell’acqua. Quando rientrava le sue seppie andavano a ruba, erano eccezionali, freschissime, saporite ma soprattutto tenerissime. Una tenerezza speciale dovuta ad una morte dolce e indolore, come il sonno in cui si abbandona il fanciullo mentre ascolta, assorto, una fiaba.

RYUICHI SAKAMOTO - Merry Christmas Mr. Lawrence (Trio Tour)

CHRISTMAS COMPILATION N.1

sabato 22 dicembre 2007

QUINTO POTERE

SONO INCAZZATO NERO

PINO DANIELE - Che Soddisfazione - Live Cava Dei Tirreni

SATISFACTION GUARRANTEED

QUANTO COSTA LA FELICITA'


Essere felici è uno degli scopi principali dell’essere umano. Buona parte della vita dell’uomo è caratterizzata dall’affannosa ricerca della felicità, ricerca che, molto spesso, è fonte di grande infelicità. Il motivo è chiaro: la felicità non può essere perseguita con ogni mezzo, perché un mezzo eticamente sbagliato rende vano lo scopo. La violenza, il sopruso, la truffa, il furto, possono consentire di raggiungere determinati obiettivi ma fra questi non ci sarà mai la felicità; così come l’impiego di sostanze che alterano la nostra coscienza e la percezione della realtà possono indurre a un temporaneo stato di felicità, ma il ritorno alla realtà vanifica quell’esperienza artificiale lasciando un senso di profonda disperazione e danni più o meno permanenti nel corpo e nella psiche. La felicità è un senso di profonda soddisfazione che accompagna il raggiungimento di determinati obiettivi personali ottenuti attraverso il lavoro, l’impegno, la costanza e la disciplina. La felicità è lo stupendo corollario di un teorema la cui legge afferma l’assoluta necessità che la vita sia vissuta pienamente ma con equilibrio. Riuscire ad agire saggiamente dosando le risorse individuali e le qualità positive quali il desiderio di conoscenza, la generosità, il coraggio e la misericordia, conduce al conseguimento dei propri obiettivi e alla conquista di uno stato di benessere interiore. E’ di Sofocle la frase: ”la felicità dipende dalla saggezza”. La grande cultura classica ci ha insegnato che la felicità è la possibilità di godere della salute, degli affetti sinceri, delle bellezze della natura e dell’arte, in tutte le sue manifestazioni. Essere felici non è possedere qualcosa ma essere posseduti dalla capacità di riconoscere la bellezza, la bontà e la solidarietà. Tutto ciò non ha prezzo, non può essere comprato, ma solo conquistato attraverso un cammino personale impegnativo e, a volte, doloroso e lungo.
La società contemporanea, guidata dal demone del profitto e dello sfruttamento integrale, ha elaborato nel tempo una sottocultura che ha perniciosamente invaso il pianeta, il messaggio fondamentale è che la felicità è alla portata di chiunque abbia denaro da spendere; la felicità consiste nel possesso di beni, nell’ostentazione di oggetti-simbolo, nella rincorsa della giovinezza, nella notorietà ad ogni costo. La televisione ha fabbricato una nuova realtà in cui tutti possano credere, una sorta di second life in cui è tutto possibile. Nel giro di cinquant’anni la società dei consumi ha convinto l’umanità che la vita reale è un brutto sogno e che verità e realtà positiva provengono solo dalla televisione. Le atrocità delle guerre, la follia della gente comune che massacra i propri simili, la violenza oscena del fanatismo, sono tutte storie da raccontare con i particolari più raccapriccianti, diventano oggetto della curiosità più volgare e cinica. Le famiglie riunite intorno al desco, abbondante di ogni tipo di cibo, ascoltano ipnotizzate le omelie dei falsi sacerdoti della televisione e poi discutono fra loro sui fatti di Perugia e di Garlasco senza rendersi conto che tutti loro sono potenziali assassini e massacratori. Genitori che credono nella felicità del possesso di un fuoristrada, figli che praticano l’oblio temporaneo e devastante dello sballo e il felice conformismo delle griffes. Tutta roba che si può avere col denaro. La felicità è una merce, la soddisfazione è alla portata di mano di tutti, senza sforzi né sacrifici. La rinuncia è sinonimo di fallimento, di piacere negato, di frustrazione incombente; la negazione, il rifiuto, sono un’onta intollerabile capace di generare furore cieco e violenza incontrollata. La falsa mitologia di una vita felice grazie all’uso e al possesso delle merci più disparate annienta il pensiero creativo e deprime la riflessione ponderata, la felicità è riflessa dagli oggetti, essa non è più uno stato mentale, un trasporto emotivo, una dimensione della coscienza. Così, mentre si è risucchiati nel vortice del consumo credendo ciecamente agli slogan (satisfaction guarranteed), si precipita nel buco nero dell’insoddisfazione e dell’ossessione spasmodica che spinge a cercare e a ottenere sempre di più. Anche il denaro passa in secondo piano, c’è chi lo presta allegramente pretendendo solo piccole rate a tassi “veramente interessanti”. Non ci vorrà molto per scoprire di essere caduti nell’infelicità più profonda e di avere accumulato debiti secolari. Non resta che piangere in compagnia della famiglia di fronte al televisore al plasma che sarà vostro tra soli tre anni di comode rate.

venerdì 21 dicembre 2007

TELEMANN: Trumpet Concert

DUE SECOLI PRIMA DI FABRIZIO DE ANDRE'

giovedì 20 dicembre 2007

TRIPPERIA - La Casana Genova

PICCOLI FRAMMENTI D'ASSOLUTO

ELIA KAZAN - Ultimi Fuochi

LE PICCOLE COSE CHE FANNO CINEMA

LE PICCOLE COSE


Le piccole cose hanno a che fare con la nostra quotidianità, riguardano oggetti, persone, atti ed eventi che normalmente scandiscono la nostra vita con una certa regolarità. Spesso accade che il ritmo che imprimiamo alle nostre ore o le priorità che scegliamo nei nostri atti quotidiani non ci consentono di considerare nel giusto modo tutto quello che facciamo e tutte le cose che ci capita di incrociare con lo sguardo e con i gesti. Viviamo immersi nei nostri pensieri, ci concentriamo sulle nostre preoccupazioni e solo quando la straordinarietà attraversa il nostro cammino distogliamo lo sguardo da noi stessi per capire ed interpretare la novità o l’eccezionalità. Da un certo punto di vista è normale che ciò avvenga, il nostro cervello non può perdere tempo ed energie a reinterpretare ogni giorno una realtà molto simile a quella del giorno prima; da un altro punto di vista questo comportamento ci preclude la possibilità di avvertire ed analizzare le piccole, ma concrete, differenze fra cose simili e ripetitive. Eppure le piccole cose sono quelle che sostanziano la nostra vita, la rendono unica, diversa da quella degli altri. Prendiamo come esempio il caffè o il cappuccino che siamo soliti sorbire allo stesso bar alla stessa ora: le solite frasi, la solita ordinazione, ma la bevanda non può essere la stessa poiché ci sono delle variabili indipendenti da noi e dal barista che influiscono sul suo gusto (la temperatura, micro variazioni nella dose e nella pressione del caffè macinato, piccolissime differenze nella concentrazione di cloro nell’acqua, ecc.). E infatti se ci concentriamo sul gusto saremo in grado di apprezzare le pur piccole differenze da un giorno all’altro. Se un giorno capita di sorbire una bevanda particolarmente buona e, contemporaneamente, di incontrare un conoscente o un amico particolarmente simpatico accade che quella piccola pausa ristoratrice si trasforma in una grande carica di buon umore che potrebbe influenzare positivamente tutto il resto della giornata. Naturalmente può accadere l’esatto contrario, un piccolo evento capace di rovinare tutto e spingere a progetti di strage familiare. Esempio, da due giorni avete un pensiero stupendo che è fonte di buon umore e sensuale pregustare: in un angolo del frigorifero giace, come una preziosissima reliquia, una porzione abbondante di trippa alla romana preparata con tutti i crismi da zia Brigida (che Dio la guardi), sacerdotessa ottuagenaria delle pietanze in via di estinzione; avete progettato il giorno, la circostanza (a causa di eventuali turbe da lenta digestione), il contorno (cavolfiori lessati con olio e aceto) e persino il vino adatto (Lambrusco di Salamina di Santa Croce secco). In casa non ci sarà nessuno, avete finanziato il resto della famiglia per una gita all’outlet inaugurato da poco nei dintorni. Le mura domestiche rimbombano i vostri passi come in una cattedrale romanica, il momento è grave, denso di religioso significato, l’agognata liturgia sta per iniziare, l’altare è apparecchiato, il vino appena stappato emette segnali di eccitazione con migliaia di bollicine che affiorano alla superficie…il forno è caldo, non resta che riportare la trippa alla temperatura ideale. Aprite il frigorifero con la stessa ieratica postura del sacerdote che apre il tabernacolo…Sacrilegio!! La divina preparazione non c’è più!! In bella vista un biglietto: “caro micione, per ringraziarti della bella gita ti ho comprato una vera specialità, Quattro Salti in Padella di Linguine allo Scoglio, buon appetito e..pensami.
La tua miciona.
P.S. Ho provveduto io alla pappa di Oscar, quella carnaccia di tua zia gli è molto piaciuta.”
Inebetito, incredulo, col cuore spezzato e il fegato di un’oca all’ingrasso, vi scolate la bottiglia in silenzio, il pensiero va alle amorevoli mani di zia Brigida, un senso di vuoto vi pervade, tutto tace tranne Oscar, sdraiato sulla sua cuccia rutta come un tirolese all’Oktoberfest.

mercoledì 19 dicembre 2007

Execution, Chinese Style

LA CINA NON HA LIMITI

CNN - Saddam Hussein - Hanging - Death Penalty

FINE DEL DIRITTO

LE VACANZE DEL BOIA


Ieri, 18 Dicembre 2007, è stato il giorno della risoluzione dell’ONU sulla moratoria universale della pena di morte. Una grande conquista di civiltà nel lento, ma inesorabile, cammino della tutela dei diritti umani e civili. Questo grande evento è fonte di ulteriore soddisfazione per noi italiani in quanto concepito e progettato da quel piccolo grande movimento politico dei Radicali Italiani, da sempre impegnati nella difesa della legalità e dei diritti umani.
La pena di morte è strettamente connessa ad un concetto di giustizia che non riconosce nei diritti umani il suo fondamento e che giustifica pratiche punitive come la riduzione in schiavitù e la tortura. Secondo questa idea primitiva della giustizia chi infrange la legge non solo si pone al di fuori della comunità ma, soprattutto, perde automaticamente la propria dignità umana e ogni diritto ad essere trattato come essere umano. Al reo viene espropriata non solo la libertà ma soprattutto la vita e il suo “sentire”, il suo essere una persona. In altre parole, la comunità (ovvero lo Stato) rivendica il pieno diritto di decidere fino a che punto si è esseri umani ma soprattutto quando negare i diritti dell’uomo e del cittadino. E’ stata questa idea ad aprire la strada che ha portato alle deportazioni di massa, al genocidio organizzato e ai campi di sterminio. Fino a quando si continuerà a pensare che non esistono diritti inalienabili direttamente connessi all’essere vivente, ci sarà sempre qualcuno disposto a calpestarli nel nome di un bene superiore. Sicuramente sono stati moltissimi coloro che hanno applaudito all’impiccagione di Saddam Hussein senza rendersi conto che in quel momento le loro mani grondavano dello stesso sangue che imbrattava quelle del dittatore iracheno. La frase, ormai celebre, “nessuno tocchi Caino” rappresenta la consapevolezza che non ci possono essere deroghe all’esercizio dei diritti umani e che, al di là delle fedi religiose, la vita è un diritto innegabile che non può, in nessun caso, essere barattato con la pretesa di giustizia.
Sono moltissimi i paesi in cui tuttora si pratica quest’omicidio di stato utilizzando le tecniche più disparate: fucilazione, impiccagione, taglio della testa, sedia elettrica, camera a gas, iniezione letale. Nonostante ciò non c’è prova che i reati per i quali viene comminata la pena di morte siano in diminuzione. Invece sono sempre maggiori i casi in cui, ad esecuzione avvenuta, spuntano fuori prove inoppugnabili dell’innocenza dei giustiziati. Pare che anche da un mero punto di vista economico la pena di morte sia troppo gravosa per la comunità; qualche giorno prima della risoluzione ONU, lo Stato del New Jersey ha abolito la pena capitale in seguito ad una approfondita analisi costi-benefici da cui è emerso l’assoluto svantaggio economico del mantenere in uso la pena di morte. La moratoria universale ha lo scopo di mandare in vacanza i boia e di consentire lo sviluppo di un dibattito serio e produttivo che possa portare alla totale abolizione della pena capitale, un obiettivo non facile ma indispensabile per tutti coloro che credono fermamente nella possibilità di migliorare la condizione delle persone attraverso il rispetto dei fondamentali diritti umani. Ancora un volta la perseveranza e il disinteressato impegno di poche persone come Marco Pannella, Emma Bonino, tutti i radicali italiani e transnazionali, l’associazione “Nessuno Tocchi Caino”, hanno dimostrato che è possibile contribuire attivamente per lo sviluppo della civiltà mettendo in luce il lato più nobile dell’impegno politico.


sabato 15 dicembre 2007

RYUICHI SAKAMOTO - Rain (live)

ENERGIA FECONDA

GENE KELLY -Singing in the Rain

IL GENIO DELL'OTTIMISMO

PINO DANIELE - Quanno Chiove

TANTO L'ARIA S'HA DD'A' CAGNA'

METEOPATICO BLUES


Per la maggior parte della gente, anche per coloro che non soffrono di meteopatia conclamata, il cattivo tempo è fonte di disagio psicologico. Naturalmente escludiamo da queste considerazioni gli agricoltori, i venditori di ombrelli e impermeabili, ma soprattutto coloro che per svariati motivi non possono uscire di casa e vedono nella buriana una sottile vendetta privata. La pioggia è una tremenda nemica dei pedoni, di ciclisti e motociclisti, ma anche chi usa l’automobile sa che la pioggia fa triplicare il traffico e rende mitica la ricerca di un parcheggio. Ma, al di là di queste concrete considerazioni, esiste qualcos’altro che turba profondamente i pensieri e l’umore ogni qualvolta capita di subire il cattivo tempo. Potrebbe trattarsi di un atavico terrore che risale fino al Diluvio Universale, il quale certamente non è stato un bel momento nella storia dell’umanità. Potrebbe trattarsi di una particolare sensibilità del corpo umano alla bassa pressione atmosferica con conseguente riflesso psicologico. Ma potrebbe anche essere l’innato desiderio dell’uomo di dominare la natura con conseguente frustrazione quando si trova costretto a subirla. In ogni caso, indipendentemente dalle cause, una giornata di pioggia produce effetti molto fastidiosi e, in certi casi, devastanti. Ci si sveglia ipocondriaci, con un gran desiderio di rimanere a letto, sotto le coperte. Le abluzioni del mattino perdono la loro funzione energetica, la camera da bagno è fredda, inospitale, l’acqua dei rubinetti sembra che arrivi direttamente dalla nuvola che incombe sulla nostra casa mentre piccoli brividi salgono rapidamente dal fondo schiena su per la colonna vertebrale. È indispensabile rivedere completamente l’abbigliamento, un evento catastrofico: le donne hanno bisogno di molto più tempo del previsto, gli uomini no, perché comunque il risultato sarà un disgustoso abbinamento cromatico. Un altro stravolgimento è il menu del pranzo: il grigio pessimismo cosmico che sta invadendo la nostra povera anima non può sopportare altro che non sia una squallida minestrina. In questo caso il diminutivo non ha valore affettivo o quantitativo (ovvero la buona minestra che adorano i fanciulli o una piccola minestra) ma esclusivamente riduttivo: un misero surrogato di minestra, quel piatto in cui affogano disperate trafile di pastina dal nome fiabesco (stelline, semini,anellini, quadrettini) in una pozzanghera torbida di brodo artificiale. Ebbene sì, la minestrina è una forma di autopunizione, una specie di penitenza scaramantica: prima la prendiamo prima il cattivo tempo cesserà di torturare le nostre latitudini. Un altro “topos” del meteopatico è l’aspirina. Naturalmente viene assunta nelle sue forme più disparate: compressa, compressa sub linguale, compressa effervescente, bustina e supposta; nelle sue varie versioni commerciali, e relative diverse concentrazioni. Il potere curativo dell’acido acetilsalicilico è però limitato al senso di disagio fisico, non è sufficiente a debellare il pessimismo cosmico che mantiene l’umore a livelli bassissimi. Il problema principale del meteopatico è che in lui sopravvive l’archetipo della divinità che parla e comunica attraverso gli elementi della natura. Egli vive inconsciamente il cattivo tempo come una punizione divina al proprio comportamento e a quello della comunità di appartenenza. Egli arriva a toccare livelli maniacali quando non può fare a meno di vivere senza le previsioni del tempo sia sui giornali che in televisione, la meteorologia è la nuova dimensione oracolare in grado di rivelare il livello di apprezzamento divino sulla sua vita. Il meteopatico ama l’estate, il sole, il caldo, la sua meta d’elezione è il mare, il suo sogno proibito è una villa alle Mauritius, il cibo preferito è la grigliata di pesce e crostacei, le notti afose e l’ipersudorazione sono indispensabili corollari al teorema dell’estate permanente. Si può guarire dalla meteopatia? Sì, è possibile, attivando diverse tecniche: adottare come colonna sonora della propria vita la celeberrima “Singing in the Rain”; praticare la dieta “Delikatessen Storm” che consiste nel mangiare specialità ogni volta che il tempo si fa cattivo; organizzare con il proprio partner ameni giochetti piccanti tipo “Passioni nella Pozzanghera” o “Tsunami dei Sensi”; avere sempre sul proprio comodino libri come “Cime Tempestose”. La terapia sarà completa dopo una settimana a Trieste durante la Bora. Solo allora saremo in grado di udire le fiabe che racconta il ticchettio delle gocce di pioggia sui vetri.

giovedì 13 dicembre 2007

EDUARDO - Natale in casa Cupiello

NATALE IN LETIZIA

CINQUANTA NATALI SONO TROPPI


È sempre la solita solfa: dobbiamo essere buoni, dobbiamo stare in famiglia, dobbiamo scambiarci i regali, dobbiamo abbuffarci, dobbiamo passare serate e notti intere a giocare a carte, dobbiamo tornare ad essere sereni e gioiosi fanciulli. Ogni anno a Natale è sempre la solita storia e chi non perpetua le varie tradizioni alimentari, sociali e religiose è un malvagio senza cuore.
Sono arrivato al mio cinquantesimo natale e ne ho fin sopra i capelli di tutto questo putrido cinismo. Non riesco più a sopportare questa volgare fiera del consumo che viene spacciata come festa della Speranza e della Buona Volontà. Fino a quando si è bambini, il Natale viene recepito come una reale possibilità che si possa vivere tutti insieme all’insegna della bontà e dell’amore universale; in seguito, crescendo, vengono meno i piccoli grandi misteri che rendevano così magica l’atmosfera di quei giorni. Durante il Natale (da sempre e per sempre) si continua a morire di fame e di malattie curabili, si continua ad uccidere e a massacrare nel nome di qualcosa, si continua a speculare sulla pelle della povera gente; insomma a Natale l’umanità non cessa neanche per un secondo di essere quella che è da sempre: “disumanata”. In realtà il Natale è una delle più grandi illusioni dell’uomo cristiano (oltre ad essere una delle più redditizie occasioni d’affari), in cui troneggia il mito della famiglia e dell’affettività, in cui primeggiano i più stinti luoghi comuni della storia umana, in cui la menzogna più nera diventa così credibile da sembrare verità. Quello che accade nella maggior parte delle nostre case è molto simile a “Natale in casa Cupiello”, dove su uno sfondo di una vita difficile, dura e amara si rappresentano scene di falsa letizia e ostinato e disperato ottimismo. Ogni volta a Natale stendiamo un velo scintillante sulle nostre miserie e sul nostro sordido egoismo scaricando sui buoni proponimenti infantili il fardello opprimente che portiamo nella nostra anima nera. Le nostre famiglie sono diventate fabbriche di bulletti seriali e di precoci consumatori di alcool e altre droghe, eppure a Natale si trasformano in un caldo e morbido nido in cui la prole cresce serena e ricca di valori positivi. Dietro quei balconi intermittenti addobbati in stile Las Vegas vivono disperati e illusi, menefreghisti e conformisti, pseudo credenti e nuovi integralisti. Nella nostra società la festa del Natale, tra le feste religiose, è sicuramente la più ricca e sfarzosa e la più contraddittoria rispetto alla sua origine storica e simbolica; il figlio di Dio nasce in una stalla, in un contesto di estrema frugalità; eppure nel tempo l’uomo e la chiesa stessa hanno costruito la celebrazione di quell’evento con manifestazioni e tradizioni sempre più fastose. La scelta simbolica di un Dio che si manifesta nella debole sembianza umana e in un’umile condizione sociale è passata in secondo piano e non costituisce oggetto simbolico da imitare e sul quale riflettere eticamente. Ci si affanna a decorare la casa, ad acquistare doni e cibi tradizionali ed esotici, a pianificare gli inviti da fare e quelli da accettare: pensieri, azioni e discorsi che si ripetono anno dopo anno. C’è anche chi parte per mete esotiche e chi per località montane, c’è chi ritorna nel luogo natio per ricongiungersi con la famiglia d’origine. In ogni caso la gente è presa dall’euforia natalizia, dalla ricerca spasmodica di passare dei giorni felici. Mai come a Natale si pensa a se stessi, al proprio nucleo famigliare, alla propria cerchia di amici. I pranzi interminabili e le abbondanti bevute anestetizzano le coscienze e inducono sonnolenza, la realtà fatta di orrore, violenza e miseria viene tenuta fuori, viene cancellata.
Questa ipocrita pantomima mi è diventata insopportabile, mi procura angoscia e profonda tristezza. Non voglio distrarmi, non voglio pensare ad altro, non voglio far finta di niente. Mi vergogno profondamente di essere un umano, quest’anno a Natale voglio finalmente piangere e bestemmiare.

sabato 8 dicembre 2007

GLENN GOULD - Bach Goldberg Variations: Aria

A STATE OF WONDER

UNA NOTTE CON GLENN GOULD

Fuori, il vento freddo cristallizza la notte, solo le stelle insensibili continuano a brillare nel cielo d’inchiostro. E’ un’atmosfera cupa in cui regna il suono algido di rami e di foglie sbattuti dal vento che spira dalle colline. La mente ritorna alle descrizioni della natura del settentrione del mondo, a Jack London, a Bruce Chatwin, a certe pagine di Puskin, al mitico Dersu Uzala raccontato da Kurosawa. Alla rappresentazione dell’Idea del Nord. Questo termine, Idea del Nord, fu coniato dal pianista canadese Glenn Gould in occasione della messa in onda di un suo programma radiofonico dedicato ad una ipotetica visione del mondo e dell’arte in genere attraverso un’ottica e una sensibilità settentrionale. Secondo Gould esiste un modo di sentire e di vedere tipico di coloro che vivono al Nord del mondo. La trovo un’intuizione estremamente interessante che è analoga a quell’Idea del Sud che possiamo sperimentare girando attorno alle sponde del Mediterraneo.
Questa notte così speciale non può passare come una notte qualsiasi, quest’atmosfera merita di essere arricchita da Johann Sebastian Bach. Ritengo che la musica di Bach abbia, in modo unico rispetto ad altri compositori, la magica caratteristica di contenere lo spazio nel quale si manifesta e di donare all’ascoltatore una sorta di lucida estasi. Le architetture sonore di Bach sono come una grande cornice barocca, contengono e mettono in risalto lo spazio e le nostre “costruzioni mentali” conferendo al tutto una luce scintillante dalla quale sgorgano emozioni contraddittorie, intense e rarefatte. Scelgo le Variazioni Goldberg, la seconda versione di Glenn Gould, registrata poco tempo prima della sua prematura scomparsa. La composizione è strutturata in un’Aria e 30 Variazioni con ripetizione in coda dell’Aria. Il progetto di Bach era quello di sottoporre al suo allievo Goldberg le varie possibilità improvvisative e contrappuntistiche che offre il tema dell’Aria.
Mentre le magiche dita di Gould liberano nell’aria il superbo fluido tematico, la mente entra in una dimensione emozionale, sembra quasi di riuscire a leggere la propria anima: affiorano, vive, nella memoria sensazioni ed immagini di un passato remoto privo d’angoscia e denso di serenità. Lentamente lo spazio si dilata e la piccola stanza si è metamorfosata in un’architettura ampia con volte altissime e colonne risonanti, l’atmosfera è estatica, sospesa, la potenza evocativa del suono genera una dimensione atemporale, uno stato di veglia onirica. Il genio musicale di Gould affronta la prima Variazione con l’impeto e l’entusiasmo dinamico dell’improvvisatore passando al registro Forte. L’aumento del volume e della velocità d’esecuzione generano un turbine sonoro che avvolge l’ascoltatore come una tromba d’aria: l’architettura s’innalza ancora di più e la sensazione spaziale è quella che si prova all’interno di una cattedrale gotica. Questa meravigliosa e inaspettata spinta ascensionale moltiplica l’effetto evocativo e il suono genera colori ed immagini vorticosamente verticali: sembra di salire rapidamente verso l’alto spinti da un’energia irresistibile.
Fuori, il vento soffia più forte, fischia, ulula, la vegetazione grida il dolore del legno piegato e delle radici disperatamente abbracciate alla terra; le 30 Variazioni si susseguono senza soluzione di continuo e i suoni dall’esterno si fondono miracolosamente alle note di Bach. La sensazione è nuova ed entusiasmante: lo spazio diventa quello di una foresta, le colonne sono i tronchi di alberi secolari, le volte sono rami nodosi e fronzuti, l’aria profuma di muschio, il pavimento è uno strato di foglie secche da cui spuntano verdi cespugli di felci odorose. E’ incredibile come l’energia sonora riesca ad intrecciare così sottilmente percezioni sensoriali e stimoli mentali, come riesca a quasi materializzare la fantasia e contemporaneamente a spingere la percezione in una dimensione quasi extracorporea. E’ uno di quei rari momenti in cui è possibile cogliere il mistero della musica, in cui si comprende pienamente il senso del mito di Orfeo.
La breve ripetizione dell’Aria, in coda, ristabilisce il perfetto equilibrio iniziale e conferisce al tutto un perfetto segno di senso compiuto. La notte è a metà del suo cammino. Miracolosamente, il vento si placa, il corpo è pervaso da un languido senso di fatica e un lucido stupore ingombra la mente. La sensazione, viva e indimenticabile, è quella che ha descritto lo stesso Gould: A State of Wonder.

venerdì 7 dicembre 2007

CAROSELLO Parmigiano Reggiano anni 60

I CASI SONO SEMPRE DUE

LA LINEA D'OMBRA

La nostra vita, le nostre scelte, i nostri comportamenti, riflettono le nostre idee e i nostri convincimenti; in altre parole, tutto quello che facciamo si basa sulla convinzione che è giusto e buono e che è fondato su ottime e robuste ragioni. La consapevolezza di avere ragione dei propri valori ed opinioni costituisce la spinta, il motore, delle nostre azioni, del nostro stile di vita. La nostra cultura e il nostro giudizio sono quindi alla base di tutto quello che facciamo e della quantità e qualità dei rapporti che andiamo costruendo con il prossimo. Che si tratti di rapporti affettivi, lavorativi, sociali o altro, in ogni caso, normalmente, abbiamo la certezza di avere ragione nel viverli così come li viviamo. Avere ragione è la convinzione sulla quale basiamo la nostra esistenza e quanto più questa convinzione è condivisa con altri, tanto più è radicata e profonda in noi. La causa principale di rapporti conflittuali con il prossimo consiste proprio nello scontro fra due o più ragioni. In sostanza, siamo portati, naturalmente, a ritenere che le nostre ragioni siano valide anche per gli altri e che il nostro punto di vista sia “esatto”, ovvero estendibile al resto dell’umanità. Fortunatamente, se siamo capaci di esercitare con equilibrio il nostro raziocinio, attiviamo anche quella caratteristica che viene definita “comprensione” e “immedesimazione”, cioè quella serie di processi mentali ed affettivi che ci mettono in condizione di estraniarci per un certo tempo e provare a condividere il punto di vista e il sentire dell’altro. Questo processo, anche se limitato, rappresenta l’unica nostra possibilità di instaurare un rapporto dialettico realmente produttivo, il cui esito positivo è non solo la reciproca comprensione, ma anche il superamento delle reciproche barriere culturali, caratteriali ed affettive. Tutto ciò, quasi sempre, costa molta fatica, richiede molto impegno e pazienza, nonché un notevole impiego di tempo e noi, sempre di più, non siamo propensi a “regalare” il nostro tempo e il nostro impegno. Così sfoderiamo le armi del conflitto e ci lanciamo nella lotta all’ultimo sangue: mors tua, vita mea. Le nostre ragioni diventano la bandiera per la quale siamo disposti al massacro e alla morte. È come se nel nostro animo vi fosse una zona illuminata, quella della razionalità e del buon senso e un’altra buia, in cui prevale un animalesco istinto di conservazione e una cieca aggressività. Il problema è tutto lì: come e quando attraversare quella linea d’ombra che divide il nostro animo. Le due motivazioni principali per cui una persona decide di attraversare la linea d’ombra sono l’arroganza, la certezza assoluta di essere dalla parte della ragione, e il rifiuto del compromesso, vedere nella parziale accettazione dell’altro una perniciosa forma di debolezza. In ogni caso la scelta della nostra parte buia comporta delle conseguenze che si riflettono anche contro di noi, è come se indossassimo un’armatura: da una parte siamo protetti dagli attacchi dell’avversario, ma dall’altra siamo molto impacciati nei movimenti. Diventiamo statici, bloccati sulla nostra posizione, siamo impediti persino alla fuga, a cambiare idea sulla necessità dello scontro. Rimaniamo fermi, imbottiti delle nostre ragioni, ad affrontare il nemico, come dei pupi siciliani. E l’esperienza? Possibile che la vita passata, gli anni, la consapevolezza di quanto abbiamo già vissuto, non servano a determinare un comportamento riflessivo e ponderato? Forse la risposta consiste nel fatto che al giorno d’oggi siamo assuefatti, grazie ai mezzi di comunicazione di massa, a sentirci raccontare una gran quantità di stronzate e ci troviamo in grande difficoltà nel distinguerle dalle menzogne. E mentre la menzogna merita di essere combattuta con ogni mezzo, alla stronzata dobbiamo solo dedicare la derisione che emerge dalla sua stessa affermazione. La menzogna, in quanto doppio della verità, merita di essere svelata, la stronzata va solo evidenziata irridendone l’autore. Quindi la capacità di distinguere una menzogna da una stronzata restringe molto le circostanze in cui ci troviamo a decidere se oltrepassare la linea d’ombra. E’ opportuno rispolverare la ridefinizione del “problema di Orwell” operata da Noam Chomsky: la manipolazione delle notizie (ovvero le stronzate) da parte dei media è tanto più efficace quanto più riescono ad inscenare un pluralismo di opinioni e punti di vista assolutamente simulati e non corrispondenti alla realtà dei fatti. Viviamo in una società in cui trionfa la stronzata (giornali, televisione, internet) e non essere in grado di riconoscerla potrebbe crearci molti problemi oltre al fatto di poter addirittura diventarne dei divulgatori. Varcare la linea d’ombra per entrare nell’agone delle fesserie fa di noi un totale imbecille e trasforma le nostre ragioni in un mucchio di letame. Gli “opinionisti” televisivi vengono pagati per dire stronzate, dirle gratis è grottesco.

martedì 4 dicembre 2007

NON AVRAI ALTRO DIO ALL'INFUORI DI ME




La prima delle dieci leggi consegnate direttamente da Dio a Mosè è da ritenersi la più importante. Essa non solo definisce il rapporto di assoluta esclusività tra Dio e il suo popolo ma stabilisce il concetto che non vi è nulla di più importante da considerare nella vita se non il culto e la devozione divina. Tutto il resto sono solo idoli, ovvero false rappresentazioni di un qualcosa che è solo il prodotto della cieca superstizione, dell’egoismo e dell’ipocrisia. In buona sostanza, fra gli idoli non vi sono solo i falsi dei ma anche, e direi soprattutto, i falsi valori, cose tipo il denaro, il potere, il piacere. In aggiunta a ciò possiamo senz’altro dire che anche la fede nella scienza, ovvero la profonda fiducia nella capacità dell’uomo di saper rispondere attraverso l’esercizio della razionalità a tutti gli interrogativi sulla vita e sulla morte, è da ritenersi un falso idolo. Il solo pensare che l’uomo possa essere in grado di svelare quello che è un mistero eterno è una grandiosa bestemmia.
Appare evidente che questo primo comandamento, che è il più importante in assoluto, è in piena contraddizione con i valori propugnati dalla società contemporanea dei paesi più sviluppati. I simboli più diffusi sono il denaro, il successo, il sesso e il piacere in senso lato, per non parlare della fede nella scienza e nella tecnologia. Persino le chiese, che dovrebbero attenersi strettamente a questa legge, manifestano delle contraddizioni stridenti fra la dottrina e la pratica: gestiscono con criteri del massimo profitto (idolatrando il denaro) i propri beni, organizzano battaglie planetarie contro la ricerca scientifica genetica lasciando in secondo piano lo scandalo più insopportabile del pianeta, cioè il fatto che nel Terzo Mondo ogni due secondi e mezzo muoia un bambino ucciso dalla fame o da malattie curabili. Nel nome della religione, nel nome di Dio, vengono uccise e imprigionate persone, si praticano mutilazioni, si insegna la violenza e l’odio. Non è blasfemo sostituirsi alla giustizia divina? E l’idea di Patria e di Nazione non è anch’essa un falso idolo?
Se ci fermiamo a riflettere a fondo non possiamo che ammettere che ormai in ogni casa è presente un altare dove quotidianamente si celebra un culto osceno: attraverso la televisione siamo obbligati a subire il nuovo catechismo del dio Consumo; ogni giorno ascoltiamo la sua parola, ogni giorno pratichiamo i suoi insegnamenti, ogni giorno dedichiamo la nostra vita al suo culto. Acquistare qualcosa non è più soddisfare un bisogno reale, è un atto eucaristico, è il momento più sacro della giornata. Chiunque parli attraverso la televisione non è più un normale essere umano, è un sacerdote, è una presenza epifanica, i suoi discorsi sono un’omelia. Ogni nostra domanda troverà una risposta, grazie alla televisione ora sappiamo cosa mangiare, come vestire, come divertirci, cosa pensare. Passare una giornata intera senza vedere la tv ci fa star male, ci si sente tagliati fuori, esclusi dalla vita, privati dalla “luce” della grazia divina. Nonostante questi sentimenti siano forti, viviamo senza una piena consapevolezza del nostro nuovo credo, anzi, continuiamo a credere di essere fedeli al Dio del Vecchio e Nuovo Testamento e magari a praticarne il culto. Il fatto è che il dio Consumo non è esclusivista come Geova, esso è un dio democratico che permette e addirittura incentiva altre pratiche parallele prestando la tv alla diffusione delle altre liturgie. Noi siamo felici di poter assistere alla Messa televisiva o all’Angelus domenicale e con la stessa serena compunzione ascoltiamo la Parola di Isaia e quella di Dolce & Gabbana.
Il nostro immaginario metafisico si arricchisce così di nuove indiscrete presenze: San Giovanni Battista e Giovanni Rana, San Giorgio e Giorgio Armani, l’Agnus Dei e i Sofficini Findus. Siamo i nuovi politeisti, animati da fede profonda e conoscitori del nuovo catechismo: “Non avrai altro ammorbidente all’infuori di me”, parola di san Coccolino. Amen.

sabato 1 dicembre 2007

PROLEGOMENI ALL'ESERCIZIO DELLA SOLITUDINE


Scegliere deliberatamente di vivere in solitudine può avere tantissime spiegazioni: misantropia, cocenti delusioni sentimentali, meteorismo incontrollabile, tentazioni ascetiche, abitudine irrinunciabile a lavarsi una volta al mese, collezionare ostinatamente l’alluminio del gorgonzola, non potersi permettere che un monolocale di dieci metri quadri, bagno incluso. In ogni caso, indipendentemente dalle motivazioni, quel che conta è riuscire ad organizzare la propria vita nel modo più soddisfacente possibile. La cosa non è per niente facile, anzi, è piuttosto complessa perché bisogna fare i conti con il peggior soggetto mai conosciuto: se stessi. Non è una battuta, ma la cruda verità. Vivere da soli comporta la completa emersione del proprio Io più profondo, la totale manifestazione di noi stessi, delle nostre miserie, dei nostri difetti e delle cattive abitudini. L’assenza fisica e psicologica di un convivente (di qualsiasi natura esso sia) comporta l’inutilità di molte regole di vita che sono invece necessarie per esercitare il rispetto verso un’altra persona. Per esempio, per quanto ci si sforzi di mantenere un certo decoro avendo cura dell’igiene del bagno ci sono delle cose assolutamente fastidiose ed irritanti: le macchie di dentifricio nel lavandino, i peli di varia origine che ci danno la sensazione di essere un olmo in perenne stato autunnale, per non parlare di quelle fottutissime schegge prodotte dal pedicure che scopriamo, dopo giorni, nei posti più improbabili. Vivere da soli comporta anche imparare a gestire quei momenti inevitabili di crisi esistenziale, momenti in cui non si vorrebbe esser soli e ci si interroga angosciati sulla bontà della propria scelta; in questi momenti si manifesta l’importanza di una bella agenda piena di frizzanti numeri telefonici, ma spesso non è questa la realtà e succede di finire la serata stravaccato sul divano a fare zapping e a mangiare pizza surgelata. L’alternativa più consueta è una passeggiata con un amico più sfigato di noi (questo particolare è fondamentale) e fine dicitore di barzellette osè. Durante la crisi i pensieri vanno a coloro che dicono”beato te, che sei libero..”, vorresti rispondere che fino ad ora l’unica vera libertà di cui disponi è quella di scoreggiare senza paura di essere scoperto; intanto cominciano a montare strane paure e singolari elucubrazioni: “se morissi improvvisamente mentre mi faccio il bidè? Ritroverebbero il mio cadavere dopo giorni, putrefatto e con l’uccello in mano….che cosa orrenda! “ Oppure: “se mi accadesse un incidente nessuno saprebbe chi informare per primo, già..ma chi informare per primo? “ e qui incomincia la classifica degli affetti che, come ogni classifica, si rivelerebbe sicuramente sbagliata. Una bella doccia forse schiarirà le idee, sì la doccia è la miglior amica della solitudine, è rigenerante, è catartica, l’acqua che scorre dall’alto sembra una sorta di pioggia divina, d’acqua benedetta. E’ bello indugiare sotto i suoi sacri zampilli, dopo, alla fine, scopriamo di aver dimenticato l’accappatoio e nudi e tremanti, lasciando una scia per terra come una schifosa limaccia, precipitiamo nel delirio che credevamo di aver dimenticato. A questo punto non resta che tuffarci nel trionfo dei sensi per buttarci alle spalle tanta malinconia, ma attenzione, è assolutamente indispensabile che non ci si metta nella condizione di subire un rifiuto, perché sarebbe la classica goccia che ci farebbe cadere nella depressione più profonda. Per il momento lasciamo stare la carne viva, è meglio andare sul sicuro e un pollo allo spiedo non ha mai detto di no a nessuno.
Satolli e moderatamente ebbri, ora consideriamo la vita con il giusto grado di condiscendenza e un discreto ottimismo si affaccia nei nostri pensieri. Siamo al sicuro nella nostra tana in compagnia degli oggetti più cari e dei ricordi più lieti, l’atmosfera è perfetta, tutto è al suo posto, anche quel gigantesco fottuto mucchio maleodorante di mutande e calze sporche.