Un mio caro, giovane amico ha avuto un incidente stradale. Fortunatamente non gli è accaduto nulla di grave, per un pò di tempo rimarrà bloccato in casa, niente di più. Roberto, questo è il suo nome, è un ragazzo sveglio, pieno di energia, con una voglia travolgente di mordere la vita per strapparle le cose migliori, ma è anche una persona molto sensibile, molto più di quanto egli stesso non creda. Il suo problema principale consiste nel sentirsi completamente insoddisfatto della vita che conduce (cosa molto comune fra i giovani della sua età) e nel sentirsi assolutamente incompreso dalla sua famiglia. Lui si sente deluso dai genitori perché è convinto che loro non capiscano i suoi sentimenti, le sue idee, i suoi dubbi e perplessità. Essenzialmente non li sente in sintonia e, pur amandoli, spesso si pone nei loro confronti con atteggiamenti e discorsi provocatori, cercando di colpirli in quegli aspetti in cui emergono le loro contraddizioni ed i loro errori (cose che tutti i genitori fanno).
Roberto è cresciuto (come tutti i suoi coetanei) nella società dei consumi e ha fatto propria l’idea (ormai irrimediabilmente imperante) che la vita è un alternarsi di fatica e godimento e che il lavoro sia il mezzo per procurarsi i piccoli e i grandi piaceri. Ci tiene molto all’abbigliamento, pensa che l’immagine rifletta il contenuto e che se vesti alla moda e griffato sarai sicuramente benaccetto dappertutto. E’ assolutamente convinto che la bellezza sia strettamente connessa ai canoni estetici dominanti, che il possedere sia simbolo di potere, che il potere scateni il volere, che il volere sia sinonimo di libertà. Egli è convinto che la sua insoddisfazione sia causata dalla dipendenza economica dalla famiglia, che le sue frustrazioni derivino dalle regole assurde e ingiuste imposte dai genitori. Nel tempo si è convinto che l’unico effettivo elemento di crisi nella sua famiglia riguardi la propria carriera scolastica e, quindi, ha deciso di interrompere gli studi e cercarsi un lavoro. La sua grande sensibilità gli fa vivere questa determinazione come una insopportabile lacerazione interiore, lui sa di aver gettato i suoi genitori in uno stato di prostrazione, di dolorosa confusione, di tremendi sensi di colpa. Ma il suo urlo di disperata insoddisfazione, la sua lotta interiore per la ricerca di una propria identità, è troppo forte, è come un torrente in piena che spazza via tutto. In questa furia emozionale, in cui la ragione è difficile da isolare dal sentimento, egli non è capace di soffermarsi sull’unico elemento certo: l’affettività. Non ha riflettuto sul fatto che il proprio stato è in gran parte determinato da quella che lui sente e vive come una carenza affettiva. C’è stato un momento della sua vita in cui si è sentito abbandonato, un momento in cui aveva più bisogno di affetto, che è passato inosservato. Tutto ciò ha innescato un meccanismo per il quale la sua attenzione si è fermata sull’avere, sul suo credito affettivo verso i genitori che pretende assolutamente di incassare. Tutto ciò ha impedito che lui riflettesse sul proprio essere, su quello che vorrà essere negli anni a venire, sulla costruzione della propria personalità e dei valori che vorrà perseguire nella vita. Forse questo riposo forzato potrà indurlo a pensare a se stesso, a riflettere sul fatto che prima di decidere sul fare è necessario decidere sull’essere, come ha scritto Erich Fromm: il principale compito dell’uomo nella vita è dare alla luce se stesso.
Ho grande fiducia in Roberto perché è un uomo sensibile, la sua umanità è la sua forza, e sicuramente nel tempo se ne renderà conto. Lui “sente” la vita. I figli non possono fare a meno di giudicare severamente i genitori, ma perdersi nel giudizio e pretendere di eseguire la condanna è inutile e doloroso, e soprattutto impedisce di evolversi, di costruire un proprio cammino e una propria dimensione esistenziale.
“gli uomini non dovrebbero riflettere tanto su ciò che devono fare, dovrebbero piuttosto pensare a quello che devono essere.” Meister Eckhart
Roberto è cresciuto (come tutti i suoi coetanei) nella società dei consumi e ha fatto propria l’idea (ormai irrimediabilmente imperante) che la vita è un alternarsi di fatica e godimento e che il lavoro sia il mezzo per procurarsi i piccoli e i grandi piaceri. Ci tiene molto all’abbigliamento, pensa che l’immagine rifletta il contenuto e che se vesti alla moda e griffato sarai sicuramente benaccetto dappertutto. E’ assolutamente convinto che la bellezza sia strettamente connessa ai canoni estetici dominanti, che il possedere sia simbolo di potere, che il potere scateni il volere, che il volere sia sinonimo di libertà. Egli è convinto che la sua insoddisfazione sia causata dalla dipendenza economica dalla famiglia, che le sue frustrazioni derivino dalle regole assurde e ingiuste imposte dai genitori. Nel tempo si è convinto che l’unico effettivo elemento di crisi nella sua famiglia riguardi la propria carriera scolastica e, quindi, ha deciso di interrompere gli studi e cercarsi un lavoro. La sua grande sensibilità gli fa vivere questa determinazione come una insopportabile lacerazione interiore, lui sa di aver gettato i suoi genitori in uno stato di prostrazione, di dolorosa confusione, di tremendi sensi di colpa. Ma il suo urlo di disperata insoddisfazione, la sua lotta interiore per la ricerca di una propria identità, è troppo forte, è come un torrente in piena che spazza via tutto. In questa furia emozionale, in cui la ragione è difficile da isolare dal sentimento, egli non è capace di soffermarsi sull’unico elemento certo: l’affettività. Non ha riflettuto sul fatto che il proprio stato è in gran parte determinato da quella che lui sente e vive come una carenza affettiva. C’è stato un momento della sua vita in cui si è sentito abbandonato, un momento in cui aveva più bisogno di affetto, che è passato inosservato. Tutto ciò ha innescato un meccanismo per il quale la sua attenzione si è fermata sull’avere, sul suo credito affettivo verso i genitori che pretende assolutamente di incassare. Tutto ciò ha impedito che lui riflettesse sul proprio essere, su quello che vorrà essere negli anni a venire, sulla costruzione della propria personalità e dei valori che vorrà perseguire nella vita. Forse questo riposo forzato potrà indurlo a pensare a se stesso, a riflettere sul fatto che prima di decidere sul fare è necessario decidere sull’essere, come ha scritto Erich Fromm: il principale compito dell’uomo nella vita è dare alla luce se stesso.
Ho grande fiducia in Roberto perché è un uomo sensibile, la sua umanità è la sua forza, e sicuramente nel tempo se ne renderà conto. Lui “sente” la vita. I figli non possono fare a meno di giudicare severamente i genitori, ma perdersi nel giudizio e pretendere di eseguire la condanna è inutile e doloroso, e soprattutto impedisce di evolversi, di costruire un proprio cammino e una propria dimensione esistenziale.
“gli uomini non dovrebbero riflettere tanto su ciò che devono fare, dovrebbero piuttosto pensare a quello che devono essere.” Meister Eckhart
2 commenti:
Concordo da mamma, concordo da figlia. Alla mente ritornano vecchi episodi, antiche ribellioni, contrasti che avrebbero portato a gesti estremi. Mi ero sentita abbandonata anch'io, e forse, per questo, sono cresciuta male. Adesso devo stare bene attenta ad evitare il perpetuarsi di un antico errore, di una disfunzione nell'erogazione dell'affetto da parte dei miei genitori. Essendo cosciente di questo, posso evitare altre vittime.
Grazie per lo spunto, Saverio.
Forza Roberto ce la farai!!!
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