giovedì 13 settembre 2007

PERDERE



Dov’è la vita che abbiamo persa vivendo?
Dov’è la saggezza che abbiamo persa nel sapere?
Dov’è il sapere che abbiamo perso mettendo insieme nozioni?
Thomas Stearns Eliot


Pare che la vita umana sia un susseguirsi di perdite, si perde l’innocenza, la verginità, la fiducia nel prossimo, l’efficienza psico-fisica, le persone, gli affetti, le chiavi di casa e, a volte, anche il portafoglio. A fronte di tutto ciò si guadagna l’esperienza, la disillusione, le rughe, l’artrosi, i ricordi e la certezza che il nostro tempo è limitato. Non è un gran guadagno in confronto a ciò che si è irrimediabilmente perduto. Arrivati ad una certa età si ha la sensazione di essere come la bottiglia di una bibita vuota per tre quarti: si è persa molta effervescenza, molta freschezza e soprattutto ci si accorge di essere un vuoto a perdere. La tanto decantata saggezza si rivela per quella che è: la paura di perdere la vita e la conseguente reazione di cercare di viverla con maggiore consapevolezza e profondità. Il paradosso tragico dell’esistenza sta proprio nell’accorgersi dell’importanza delle cose dopo che le si è perse definitivamente. Il ricordo, la rabbia, il rimpianto, diventano sempre di più compagni inseparabili della nostra esistenza, condizionandola molto di più di quanto non si possa pensare. La vita assume le sembianze di una tavola riccamente imbandita di cibi prelibati di ogni genere, noi commensali non riusciremo mai ad assaggiarli tutti perché mentre ne gustiamo uno arriva il cameriere a portar via un piatto, e poi un altro, finchè non ci ritroviamo solo con quello che abbiamo davanti, se sarà pasta in bianco o sartù di riso dipenderà da noi, dalle nostre scelte. In ogni caso sarà bene non eccedere, crepare di indigestione fulminante non è bello né decoroso.
Gli ottimisti e i credenti sostengono che la vita è un dono che bisogna saper apprezzare fino in fondo, altri invece dicono che è una fregatura colossale in quanto finisce proprio quando incominci a prenderci gusto, altri ancora riconoscono che si tratta di un dono ma che spesso è riciclato, in origine non era destinato a te, di questo parere sono, ad esempio, i transessuali, i commercialisti, i mendicanti e gli artisti incompresi. Di fronte a questa esistenza che si configura come uno scippo continuo senza speranza è inutile tentare di difendersi, ostinarsi a combattere contro un destino che è ineluttabile, è molto più proficuo adattarsi alla situazione e coltivare la certezza che anche se ci blindiamo in casa, arriverà il momento in cui ci taglieranno il gas e la corrente elettrica. Dobbiamo convincerci che siamo destinati a perdere e che l’unica cosa da fare è fare di tutto per non perderci, evitare cioè che insieme a quello che lasceremo per strada non rimangano parti essenziali di noi stessi. Certo non è cosa semplice, quando si perdono le persone e gli affetti è impossibile non cedere una parte di noi stessi ed è impossibile pretendere di continuare a vivere senza un senso di vuoto incolmabile. Ma questo capita a tutti, prima o poi, senza eccezioni. Ci consoliamo sapendo che ciò accade anche fra gli animali: le balene, i delfini, le tortore, i primati, i mafiosi, e lasciamo spazio a quell’istinto di sopravvivenza che è comune a tutte le specie viventi, persino agli assicuratori. Perdere (che deriva da per e dare) è una dimensione passiva dell’aver avuto, è una condizione esclusiva solo di chi ha; quando perdiamo qualcosa è perché abbiamo qualcosa da perdere e quindi possiamo provare a vedere la vita come un processo di, più o meno, lenta sottrazione di parti di noi stessi per giungere ad uno stato di essenzialità: uno stato in cui saremo soli con noi stessi di fronte all’ enigma eterno. Sarà puramente casuale se arriveremo a quel momento vecchi e malati o a causa di un piatto di funghi con Amanita Phalloides, c’è solo da sperare che non accada il giorno dopo aver pagato un abbonamento annuale a teatro.

2 commenti:

Dyo ha detto...

Come sempre ti leggo con attenzione, perchè quello che scrivi è estremamente serio, e come sempre, all'improvviso, scoppio a ridere per le tue gustosissime similitudini. Vuoi che io non condivida il senso di quello che hai scritto? E' proprio come dici: lo scorrere della vita è un lento processo di deprivazione. Checchè ne pensino gli ottimisti e gli assicuratori più disonesti.

Anonimo ha detto...

L'importante è non perdere la vita in breve tempo.