I COSIDDETTI "MINORI" 5
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" Il racconto intelligente della sconfitta è la sottile vittoria del vinto. " Nicolas Gomez Davila
Scrivere è una provocazione, una visione fortunatamente falsa della realtà che ci situa al di sopra di ciò che è e di ciò che sembra essere. Rivaleggiare con Dio e persino superarlo con la sola virtù del linguaggio, ecco l’impresa dello scrittore, esemplare ambiguo, lacerato e infatuato che, uscito dalla sua condizione naturale, si è abbandonato ad una vertigine superba, sempre sconcertante, talvolta odiosa. Niente di più miserevole della parola, eppure grazie ad essa ci si apre a sensazioni di felicità, a una dilatazione estrema in cui si è totalmente soli, senza il minimo senso di oppressione. Il supremo raggiunto con il vocabolo, con il simbolo stesso della fragilità. Curiosamente, lo si può raggiungere anche con l’ironia, purché questa, spingendo al limite la sua opera di demolizione, dispensi brividi di un dio alla rovescia. Le parole come agenti di un’estasi capovolta… Tutto ciò che è veramente intenso ha i caratteri del paradiso e dell’inferno, con questa differenza, che il primo possiamo solo intravederlo, mentre il secondo, abbiamo la ventura di percepirlo e, più ancora, di sentirlo. Esiste un vantaggio ancora più notevole, di cui lo scrittore ha il monopolio: quello di sbarazzarsi dei propri pericoli. Mi chiedo cosa sarei diventato senza la facoltà di riempire delle pagine. Scrivere significa disfarsi dei propri rimorsi e dei propri rancori, vomitare i propri segreti. Lo scrittore è uno squilibrato che si serve di quelle funzioni che sono le parole per guarirsi. Su quanti malesseri, su quanti accessi sinistri ho trionfato grazie a questi rimedi insostanziali!
2 commenti:
...a distanza di trent'anni nel rivedere il Ligabue con l'impareggiabile Bucci mi viene spontaneo fare un riflessione. Spesso i geni sono degli incompresi perchè il loro modo di vedere il mondo con occhi diversi li spinge ad isolarsi dagli altri e io nell'andare contro corrente mi rispecchio un po' in questo personaggio.
Caro Piero,
è sicuramente così. La sensibilità artistica è figlia di un'ipersensibilità emotiva e molto spesso genera quella che chiamiamo "commozione", ovvero profonda partecipazione emotiva e spiccata capacità di identificazione. Mai come oggi, dove regna la superficialità e imperversa la bieca volgarità e la cieca omologazione, la sensibilità risulta assolutamente estranea e fastidiosa. Ma pensare con la propria testa ed essere capaci di cogliere la bellezza che la natura e l'arte ci offrono è una gioia impagabile.
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