“L’uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso; gli animali l’hanno piccolo, ma è utile e vero. E’ meglio la piccola certezza che la grande bugia.” Leonardo da Vinci.
Passiamo buona parte della vita a individuare e coltivare le nostre certezze e su di esse basiamo il nostro equilibrio materiale e spirituale. Le certezze metafisiche, quelle affettive, quelle politiche ed etiche, le certezze economiche e scientifiche rappresentano per ciascuno di noi le fondamenta sulle quali costruire un percorso di vita e di speranze. Quando accade, e sicuramente accade, che qualcuna delle nostre certezze viene meno ci sentiamo in serio pericolo, vediamo una grande minaccia alla nostra vita materiale e al nostro personale sistema di relazioni. La nostra reazione, dopo un periodo più o meno lungo di smarrimento e panico, consisterà nel cercare affannosamente un’altra certezza che sostituisca efficacemente quella che è venuta meno. E se accade, e accade sempre più spesso, di non riuscire a trovare nulla che sostituisca quello che si è perso, allora promuoviamo a certezza l’idea che non vi sono certezze: adottiamo il nichilismo delle idee come idea fondante il nostro personale sistema di valori e sicurezze. In realtà la consapevolezza della mancanza di certezze dovrebbe produrre un atteggiamento positivo e sviluppare un approccio alla realtà basato sulla fiducia nell’intelletto e sul dovere della conoscenza; ma non è così, in pratica, la mancanza di certezze produce una sfiducia totale nella cultura e nel raziocinio e incentiva solo il desiderio di vivere alla giornata, di identificare la felicità con lo “star bene”, col divertimento più o meno effimero. La società dei consumi ci insegna che tutto è merce, che qualsiasi cosa può trasformarsi in denaro e che solo il denaro ci consente di essere vivi, perché vivere è consumare. Vivere significa passare metà del nostro tempo a guadagnare quello che spenderemo nell’altra metà. La vita è consumo. Le persone sono consumatori (termine scandaloso che ormai è entrato nell’uso comune, anche istituzionale). I rapporti umani sono business (telefoni e pc). La cultura non deve più porre domande astratte, ma solo dare risposte materiali. Anche i sentimenti sono merce e infatti ostentarli in televisione è fonte di guadagno. La società dei consumi contemporanea rappresenta e sviluppa un’idea di libertà e di democrazia talmente solida e invincibile da essere l’unico vero sistema di riferimento: tutti devono essere liberi di comprare tutto, senza limitazione né distinzione sociale, razziale, sessuale e anagrafica. Di fronte a questa semplice ma efficacissima dichiarazione di diritto non c’è nulla e nessuno che possa resistere. Su questa certezza granitica si ridisegnano i confini degli stati, si riconvertono le economie, si riorganizzano le forze politiche, si inventano nuove pedagogie e nuove didattiche, si modificano i sogni personali e le certezze sulle quali ognuno di noi cerca di costruire la propria esistenza, mutano i rapporti familiari ed affettivi. L’economia di mercato globale è entrata dentro di noi, non è più solo un sistema economico, ora è paragonabile ad un frammento del nostro codice genetico personale. Agli oppositori (spesso anche violenti) che lottano contro questo sistema nel nome di ideologie o di confessioni religiose dobbiamo riconoscere una dose di sovrumana imbecillità, quando è esclusa la malafede: pretendere di combattere una cultura che ha impiegato più di duemila anni per affermarsi utilizzando teologia da taverna o ideologie fallite e odiate da mezza umanità, è quantomeno ridicolo. Pretendere di essere realmente antagonisti ad un sistema estremamente elastico ed aperto proponendo schemi estremamente rigidi o addirittura fanatici e integralisti è un fallimento annunciato. A volte vien voglia di pensare che sia tutto un grande imbroglio, opposizione compresa. Al momento non esistono alternative serie a questo sistema, ma esiste il modo per difendersi da questa disumanizzazione dei rapporti: la conoscenza. La cultura è l’unico mezzo valido contro questa mutazione antropologica perché sviluppa l’autonomia del giudizio: è l’unico vaccino contro l’uomo-consumatore e le sue certezze stereotipate. Preservare la propria individualità è l’unico, vero, atto rivoluzionario: “Il peggiore cuore del mondo è un libro più grande di Hortulus Animae, e forse è una delle grandi misericordie di Dio che ess lasst sich nicht lesen (che non si lasci leggere. N.d.T.)”. Edgar Allan Poe.
Passiamo buona parte della vita a individuare e coltivare le nostre certezze e su di esse basiamo il nostro equilibrio materiale e spirituale. Le certezze metafisiche, quelle affettive, quelle politiche ed etiche, le certezze economiche e scientifiche rappresentano per ciascuno di noi le fondamenta sulle quali costruire un percorso di vita e di speranze. Quando accade, e sicuramente accade, che qualcuna delle nostre certezze viene meno ci sentiamo in serio pericolo, vediamo una grande minaccia alla nostra vita materiale e al nostro personale sistema di relazioni. La nostra reazione, dopo un periodo più o meno lungo di smarrimento e panico, consisterà nel cercare affannosamente un’altra certezza che sostituisca efficacemente quella che è venuta meno. E se accade, e accade sempre più spesso, di non riuscire a trovare nulla che sostituisca quello che si è perso, allora promuoviamo a certezza l’idea che non vi sono certezze: adottiamo il nichilismo delle idee come idea fondante il nostro personale sistema di valori e sicurezze. In realtà la consapevolezza della mancanza di certezze dovrebbe produrre un atteggiamento positivo e sviluppare un approccio alla realtà basato sulla fiducia nell’intelletto e sul dovere della conoscenza; ma non è così, in pratica, la mancanza di certezze produce una sfiducia totale nella cultura e nel raziocinio e incentiva solo il desiderio di vivere alla giornata, di identificare la felicità con lo “star bene”, col divertimento più o meno effimero. La società dei consumi ci insegna che tutto è merce, che qualsiasi cosa può trasformarsi in denaro e che solo il denaro ci consente di essere vivi, perché vivere è consumare. Vivere significa passare metà del nostro tempo a guadagnare quello che spenderemo nell’altra metà. La vita è consumo. Le persone sono consumatori (termine scandaloso che ormai è entrato nell’uso comune, anche istituzionale). I rapporti umani sono business (telefoni e pc). La cultura non deve più porre domande astratte, ma solo dare risposte materiali. Anche i sentimenti sono merce e infatti ostentarli in televisione è fonte di guadagno. La società dei consumi contemporanea rappresenta e sviluppa un’idea di libertà e di democrazia talmente solida e invincibile da essere l’unico vero sistema di riferimento: tutti devono essere liberi di comprare tutto, senza limitazione né distinzione sociale, razziale, sessuale e anagrafica. Di fronte a questa semplice ma efficacissima dichiarazione di diritto non c’è nulla e nessuno che possa resistere. Su questa certezza granitica si ridisegnano i confini degli stati, si riconvertono le economie, si riorganizzano le forze politiche, si inventano nuove pedagogie e nuove didattiche, si modificano i sogni personali e le certezze sulle quali ognuno di noi cerca di costruire la propria esistenza, mutano i rapporti familiari ed affettivi. L’economia di mercato globale è entrata dentro di noi, non è più solo un sistema economico, ora è paragonabile ad un frammento del nostro codice genetico personale. Agli oppositori (spesso anche violenti) che lottano contro questo sistema nel nome di ideologie o di confessioni religiose dobbiamo riconoscere una dose di sovrumana imbecillità, quando è esclusa la malafede: pretendere di combattere una cultura che ha impiegato più di duemila anni per affermarsi utilizzando teologia da taverna o ideologie fallite e odiate da mezza umanità, è quantomeno ridicolo. Pretendere di essere realmente antagonisti ad un sistema estremamente elastico ed aperto proponendo schemi estremamente rigidi o addirittura fanatici e integralisti è un fallimento annunciato. A volte vien voglia di pensare che sia tutto un grande imbroglio, opposizione compresa. Al momento non esistono alternative serie a questo sistema, ma esiste il modo per difendersi da questa disumanizzazione dei rapporti: la conoscenza. La cultura è l’unico mezzo valido contro questa mutazione antropologica perché sviluppa l’autonomia del giudizio: è l’unico vaccino contro l’uomo-consumatore e le sue certezze stereotipate. Preservare la propria individualità è l’unico, vero, atto rivoluzionario: “Il peggiore cuore del mondo è un libro più grande di Hortulus Animae, e forse è una delle grandi misericordie di Dio che ess lasst sich nicht lesen (che non si lasci leggere. N.d.T.)”. Edgar Allan Poe.
3 commenti:
Che dire? Mi inchino.
Ho sottolineato più volte, per un fatto meramente personale, il passaggio delle certezze e della mancanza delle stesse. La cultura, Saverio...Sì, ma anche la cultura, alla fine, è astrazione, se non appaga il cuore, concretamente. Ma io sono una sentimentale del cavolo e, perciò, non faccio testo.
Con questa frase:” La cultura non deve più porre domande astratte, ma solo dare risposte materiali”, hai dato veramente l’idea di come sta cambiando all’origine la nuova generazione e di quanto questa stia determinando le scelte a favore di nuove ideologie consumistiche e materialistiche.
Se ti riconoscessero la paternità della frase e la adoperassero i potenti della Chiesa Cattolica Romana forse la gente capirebbe meglio il messaggio che vogliono lanciare in questo particolare momento della storia dell’umanità.
Si ha la percezione che un nuovo pericolo di grandi dimensioni sta avvolgendo l’umanità e se non si riesce a bloccare sarà la fine del modello di una società che a parer mio ci ha dato vita dignitosa.
E’ tutto terribilmente vero quello che hai scritto ma con parole semplici ed accessibili a gran parte della gente. Di sicuro nessuno griderebbe allo scandalo, e, perché no, forse le platee che spesso si riscaldano per messaggi provocatori ascolterebbero in favore di quelle che tu chiami “certezze”.
E, sappiamo bene di come nella “conoscenza” è fondamentale la scelta del metodo di fare comunicazione .
Buon Pomeriggio.
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