mercoledì 9 maggio 2007

TEMPUS FUGIT


“Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa.”
Antonio Gramsci.
Delle nostre quotidiane sensazioni esperienziali, quella del tempo è senz’altro la più mutevole e relativa. La nostra percezione del tempo è estremamente mutabile e dipendente da molteplici fattori sia esterni che interni al nostro stesso essere. Il tempo passato in una sala d’aspetto o in fila davanti a uno sportello ci sembra interminabile, quello passato vedendo un film entusiasmante o passato in ottima compagnia ci sembra che voli. Per l’uomo contemporaneo il tempo è quello che era per l’uomo primitivo lo spazio: una dimensione misteriosa e spaventosa. Quello che ci fa impazzire del tempo è il fatto che esso scorra indipendentemente dalla nostra volontà e che questo scorrere sia assolutamente immodificabile. Il tempo è quella dimensione che rappresenta la nostra infinita pochezza, esso scandisce la nostra vita biologica e il nostro processo di invecchiamento fino alla morte. Ogni essere umano sa per certo di avere un tempo limitato, questa realtà ci viene mostrata impietosamente attraverso le irreversibili modificazioni del nostro corpo e del suo funzionamento. Ogni essere umano, almeno una volta nella sua vita, ha sognato di poter governare il tempo per vari motivi: evitare errori del passato, cogliere occasioni perdute, poter comunicare con persone scomparse, giocare una schedina conoscendo i risultati, pronunciare quel “ti amo” rimasto bloccato in gola, poter rifiutare quel bis di cozze che ci costò una tremenda gastroenterite.
Gli orologi, i calendari, gli specchi, le rampe di scale, la quantità di sorrisi del nostro assicuratore, sono tutti impietosi misuratori del nostro tempo. Questa spietata scansione della vita ci segue dappertutto, il tempo non solo stabilisce quando ci si deve nutrire ma anche di cosa: come non fare un pertinente accostamento tra la data di scadenza di un formaggio e quella mai pervenuta di nostra moglie?
Il tempo è alla base dell'economia, il lavoro si misura col tempo sia che siate un usciere della regione alle prese con la gazzetta dello sport, sia che siate un minatore nigeriano intento a scavare nelle viscere della terra. Il tempo è la dimensione della fruizione musicale: non si può "contemplare" un'opera musicale senza trascorrere il tempo della musica. Il tempo è alla base dei rapporti affettivi: quando si è piccoli si amano i genitori e la famiglia, da adolescenti si può impazzire per una testa impastata di gel, da adulti un bicipite ben tornito o un sedere a mandolino possono evocare passioni irrefrenabili, da vecchi si ritorna agli affetti famigliari specie se accompagnati a un piatto di pasta e fagioli. La nostra riserva di tempo personale è una fonte limitata, non rinnovabile e soprattutto sconosciuta, non potremo mai conoscere la sua entità. Questo dato a volte, in alcuni di noi, determina la necessità di non perderlo in futili occupazioni per poterne dedicare di più alle cose più importanti: c’è chi dorme poco, chi mangia in pochissimo tempo, chi chiama la propria barca “Eiaculatio Praecox”, chi i propri figli Erme e Stani (Ermenegilda e Stanislao), chi si specializza nello zapping al nanosecondo, chi arriva in anticipo agli appuntamenti, chi preferisce il caffè istantaneo, chi non va al funerale della suocera perché già privato dalla medesima dei momenti più belli, chi non si è mai sposato per non dover perdere tempo a divorziare.
“Perdere tempo”, abbiamo il terrore di non riuscire a fare o a dire o a dimostrare tutto quello che vorremmo, come se la posterità avesse un bisogno assoluto della nostra testimonianza, come se noi fossimo una pietra miliare nel cammino della civiltà: in realtà abbiamo solo una paura fottuta che il nostro tempo finisca da un momento all’altro: chi userà il nuovo cellulare che ho comprato ieri?

1 commento:

Dyo ha detto...

Sono molto sensibile al tema del post. Mi piace molto il tuo modo di parlare di argomenti terribilmente seri con l'iserimento a sorpresa di istante esilaranti (il bis di cozze ne è un esempio). E' vero, purtroppo, quello che dici: abbiamo solo una paura fottuta di finire. E non per smanie di posterità.