mercoledì 28 marzo 2007

RUMORI


La crescita incontrollata del rumore, propria della società moderna e contemporanea, ne ha generato una innegabile modificazione del suo concetto e della sua definizione.
La stessa musica del XX secolo ha allargato al massimo quei confini che delimitano le due aree dei suoni “armonici” e di quelli “non armonici”.
Attualmente il termine rumore comprende una gran varietà di significati e di sfumature, Murray Schafer nel suo libro “Il Paesaggio Sonoro” riassume le accezioni più significative e più diffuse:
Suono non desiderato. La letteratura europea, sin dal ‘200 è ricca di citazioni in cui i termini “Noise” e “Romore” vengono usati in questo senso.
Suono non musicale. Il contributo fornito dal fisico Helmholtz nel XIX secolo è determinante nella definizione del suono non musicale, composto da vibrazioni aperiodiche, a differenza del suono musicale, composto da vibrazioni periodiche.
Tutti i suoni di forte intensità. E’ questo l’uso più diffuso del termine, ed è proprio questo che ha ispirato i vari regolamenti e leggi vigenti sul controllo del rumore, fissando dei limiti espressi in decibel.
Disturbo all’interno di un qualsiasi sistema di comunicazione. Il termine rumore usato in questa accezione indica ogni tipo di disturbo che non faccia parte del segnale, trova uso frequente soprattutto in meccanica e in elettronica.
Di queste quattro definizioni, la prima è quella sicuramente più condivisa nonostante sia quella meno definibile e soprattutto assolutamente non misurabile: ciò produce un concetto di rumore estremamente soggettivo, legato a modelli culturali e a contingenze umorali.
Legato ai modelli culturali e alla loro evoluzione è anche l’aspetto sociologico della problematica del rumore: l’archetipo RUMORE=POTENZA ha, nel corso dei millenni, modificato la sua struttura ma non si è estinto. Da quando l’uomo è stato in grado di sostituire culturalmente la voce del Tuono con quella della Campana, del Cannone, della Sirena, fino al boato della Bomba Atomica e dei Razzi Vettori delle navicelle spaziali, si è innescato un meccanismo irreversibile attraverso il quale il rumore tecnologico ha sconfitto quello della natura celebrando l’onnipotenza dell’uomo sulla Terra. Leggendo gli scritti di Luigi Russolo e di altri Futuristi si trova un’ampia conferma di come quest’idea abbia potuto incidere sulla cultura e sull’arte.
Nella società contemporanea la produzione di rumore è talmente sviluppata nello spazio e nel tempo da impedire la sopravvivenza, a qualsiasi latitudine del Pianeta, di oasi sonore, di luoghi cioè privi di inquinamento acustico. Si può dire, senza temere di essere smentiti, che ormai non esistano più posti acusticamente incontaminati considerando oltretutto il fatto che vi sono “onde sonore inquinanti” con frequenze non percettibili dall’uomo ma assolutamente nocive per moltissime specie viventi.
In questo quadro fatto di stratificazioni e di intrecci di rumore si configura l’evoluzione della patologia acustica: si è passati dal “morbo del calderaio”, chiamato così perché le prime vittime accertate furono dei lavoratori di fabbriche in cui venivano prodotte caldaie di metallo, alla “socioacusia”, ovvero una patologia non legata al lavoro industriale bensì alla vita quotidiana e al tempo libero. Un’esposizione prolungata e ripetuta nel tempo a dosi quantitativamente alte di qualsiasi suono può portare a diminuzioni dell’udito fino al 40% e a uno stress psico-fisico che può raggiungere i livelli critici del collasso. Non è una leggenda metropolitana che molta gente che lavora in discoteca (discjockey, addetti alla sicurezza, animatori) sia diventata sorda, abbia problemi cardiocircolatori e soffra un precario equilibrio psicologico.
Sarebbe comunque inesatto affermare che nella società contemporanea non ci si preoccupa dell’inquinamento acustico così come sarebbe altrettanto inesatto affermare che nel campo della difesa dal rumore si è sulla buona strada. Consideriamo, ad esempio, il motivo che spinge alla diffusione negli ambienti pubblici e privati della musica di sottofondo: mascherare un rumore con un altro rumore. Se pensiamo al rumore prodotto dagli impianti di vario tipo (condizionatori, illuminazione, scale mobili, ecc.) , dal traffico esterno, dal movimento di oggetti e persone, ci rendiamo conto facilmente che un luogo come un grande magazzino non rappresenti certamente il posto ideale dove poter fare acquisti in tutta tranquillità. La musica di sottofondo costituisce quel “rumore bianco” che impedisce al nostro orecchio di ricevere fastidiose sollecitazioni e permette al nostro cervello (grazie alle caratteristiche di totale “asetticità” della musica trasmessa a un volume ben calibrato) di non concentrarsi sul prodotto musicale favorendo così la realizzazione di quel bisogno che ci ha portati in quel luogo. Questa soluzione di mascheramento del rumore è sicuramente più economica rispetto a quella di un efficace isolamento acustico degli ambienti, ma rappresenta per l’uomo la ulteriore prosecuzione di quel processo di intossicazione acustica dagli effetti estremamente perniciosi.
A questo punto è necessario introdurre una riflessione su quelli che potrebbero essere gli effetti dell’inquinamento acustico sulla fruizione musicale: effetti di ordine sia quantitativo che qualitativo.
Da un punto di vista quantitativo è possibile che il paesaggio sonoro in cui si vive e si lavora condizioni la percezione di determinati suoni diminuendola verso alcuni ed esaltandola verso altri; così come da un punto di vista qualitativo può sopravvenire una modificazione nella risposta ad un determinato stimolo sonoro (alterando il rapporto suono-evocazione simbolica) condizionando inevitabilmente la fruizione ed il giudizio del prodotto musicale.
A questo proposito vale la pena citare il caso del successo discografico della “Ambient Music” realizzata da Brian Eno, dove il pubblico ha di fatto promosso a musica d’ascolto un prodotto musicale concepito con tutti i criteri del suono-maschera, originariamente destinato ad un mero ascolto subliminale (le sale d’aspetto di un aeroporto).
Il passo successivo rispetto alle riflessioni fatte non può non riguardare il desiderio di operare per una inversione di tendenza del degrado acustico. La proposta lanciata da parecchi studiosi di acustica e qualche illustre ambientalista sembra effettivamente e immediatamente realizzabile: formulare una pratica di rieducazione dell’orecchio che mira a ripulire il magma sonoro che ci circonda riabituando il senso dell’udito a riconoscere e isolare i suoni, per raggiungere la coscienza di quanto e di cosa udiamo in ogni istante della nostra vita.
Poter trasferire quella curiosità visiva che da Gutenberg in poi ha caratterizzato la nostra cultura, ad una dimensione sonora vuol dire riuscire a imparare a “vedere” i suoni e a discernere fra le vibrazioni che continuamente raggiungono il nostro orecchio, essere consapevoli del valore simbolico del suono, avere rispetto per l’orecchio e per la voce.

“Il silenzio non esiste. C’è sempre un qualcosa che produce un suono.”
John Cage

Nessun commento: