Era passato un mese e Onofrio non aveva più toccato il computer. Era deluso dalle esperienze che aveva fatto e piuttosto disgustato da come lui stesso le aveva vissute. Gli amici e i colleghi lo stimolavano a darsi da fare, a perseverare nel suo scopo e ad essere ottimista. Invece più i giorni passavano uguali, più si andava convincendo che sarebbe rimasto solo, che non esisteva una donna che avrebbe potuto interessarsi a lui. Era appena iniziato l’inverno e le giornate fredde e grigie acuivano la sua tristezza e quel senso di inutilità che lentamente lo aveva preso fino al punto di fargli dimenticare la voglia di costruire qualcosa di nuovo, di fargli assaporare la libertà dopo tanti anni di sacrificio spesi accanto alla madre malata. La vita scorreva lenta e metodica, come prima, forse più di prima. Dentro di lui cominciava a farsi largo quel tremendo senso di vuoto che spinge al disinteresse e alla trasandatezza, uno stato pernicioso che conduce alla perdita di rispetto verso se stessi, verso il proprio corpo e la propria anima. Ci si sente abbandonati dall’umanità e, lentamente, si abbandona se stessi entrando in una sorta di tunnel fatto solo di bisogni primari, di inutili ricordi e di vuote fantasie. Cominciava ad accusare disturbi psicosomatici come la cefalea, stati d’ansia, insonnia e gastrite. Passava le notti insonni a vedere vecchi films in dvd e ad ascoltare la programmazione notturna di Radio Berlino. Un bel giorno, in ufficio, guardando il calendario si accorse che ricorreva il compleanno della madre e decise di andare a trovarla. Il direttore gli concesse un permesso e in poco tempo raggiunse il cimitero. Mentre percorreva il viale che portava alla cappella di famiglia rimase colpito da una donna inginocchiata su una tomba che puliva la lapide. Quelle anche tornite, fasciate da dei pantaloni neri, si muovevano ritmicamente nel seguire le braccia impegnate a passare e ripassare uno spazzolone sulla pietra tombale. Era quasi ipnotizzato mentre sentiva il sangue ribollire e avvertiva, dopo tanto tempo, una sorta di violento moto ascendente che invadeva i calzoni sotto la cintura. Rimase inebetito a guardare fino a quando la donna non si alzò per prendere un bidone vuoto. A quel punto ebbe uno scatto felino e si mise a correre per raggiungere la cappella. In pochi secondi fu sul posto, aprì la porta, afferrò un secchio e si catapultò in un vialetto laterale coperto di muschio e foglie marcite. La scivolata fu inevitabile, nel disperato tentativo di non cadere dimenò le gambe ottenendo l’effetto opposto (come nel salto in lungo) di aumentare l’accelerazione andando a cadere col sedere su un mucchio di corone di fiori secchi deposte in un angolo dello spiazzo della fontana. Il dolore fu tremendo ma l’umiliazione fu feroce: davanti a lui c’era la donna che stava riempiendo il bidone alla fontana. “Si è fatto male?”, chiese preoccupata la donna, “Buongiorno”, rispose Onofrio con un ghigno di dolore, “Buongiorno a lei…tutto bene?” “Oh sì, grazie sto benone..” ebbe il coraggio di rispondere mentre faceva una scoperta raccapricciante: nella caduta aveva perso una scarpa e mezzo alluce fuoriusciva senza vergogna da un buco apocalittico nella calza scozzese. “Su, mi dia la mano, l’aiuto ad alzarsi”. Ora era in piedi e nel tentativo di nascondere la vergogna infilò il piede sotto lo schifoso strato di melma che copriva il pavimento dello spiazzo. Dal coccige partiva un dolore lancinante che percorrendo la colonna vertebrale risaliva fin nella testa, tremava e barcollava. “Mi dispiace, ma non riesco a trovare la sua scarpa..” “Lasci stare, non importa, è meglio che me ne vada, ho l’auto qui fuori”, “Aspetti, forse è meglio che l’accompagni, si appoggi al mio braccio”. Lentamente giunsero al parcheggio, “Mi permetta di accompagnarla a casa, lei è stata così gentile con me”, la donna sorrise ed entrò in macchina. “Mi chiamo Onofrio La Guardia, dove la porto?” “Piacere, Teresa Pennuti, può lasciarmi al bar Tropicana, conosce? Io lavoro lì”. Teresa doveva avere poco più di quarant’anni, non era bella ma piuttosto gradevole nell’aspetto e soprattutto nei modi. Mentre guidava, Onofrio ripensava all’accaduto e dentro di lui si faceva largo l’idea che non poteva essere stato un caso, il compleanno della madre, il desiderio improvviso di andare al cimitero, la caduta e tutto il resto. Forse la madre, dall’aldilà, aveva pensato a lui, forse era arrivato il momento di voltare pagina in quella vita insulsa e vuota. Doveva rivedere Teresa ad ogni costo. Giunto davanti al bar accostò l’auto “Posso permettermi di invitarla a cena? Vorrei ricambiare la sua squisita cortesia” “Non si preoccupi, per così poco…” “Insisto, vorrei conoscerla e farmi conoscere meglio…ci tengo moltissimo”, Teresa sorrise e strinse le spalle ”Allora va bene, io stacco alle ventuno ogni sera” “Benissimo, alle ventuno l’aspetto qui” “Stasera?” “Certo stasera, a meno che lei non abbia già impegni” “D’accordo, a stasera”. Si strinsero la mano e lei uscì. Mentre si dirigeva verso il bar, Onofrio rimase a guardare quei bei fianchi torniti che ondeggiavano discretamente. Si guardò nello specchietto retrovisore ed ebbe un sobbalzo: sul naso trionfava un grumo di fango, sul lobo dell’orecchio era rimasta attaccata una mezza foglia marcita di rosa. “Caspita!! Nonostante le mie condizioni sono riuscito ad avere un appuntamento..” pensò divertito e piuttosto soddisfatto. Mentre rimetteva in moto pensava alla profonda disperazione che lo aveva posseduto solo poche ore prima, ricordava in modo sfocato, gli sembrava un ricordo lontano nel tempo e nello spazio, ora non poteva fare a meno di sorridere, tutto gli sembrava lieve e tiepido, tranne l’alluce. (Fine).
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4 commenti:
Questo racconto, in alcuni punti francamente esilarante, è un invito alla speranza e alla fiducia nell'imponderabilità(a volte benevola) del caso.;-)
Penso che confidare nel Caso sia una buona pratica. Che la si chiami Provvidenza o Serendipità o altro non importa. Il Caso è molto meno casuale di quanto non si pensi.
L'ho sempre pensato, anche se ammesso poco.
anche se mi ha un pò sorpreso nn so xchè pensavo che avresti usato un finale ironico sarcastico..però ci sta.. infatti il caso o una sorta di predestinazione nella vita c'è...anche se a volte se ne farebbe volentieri a meno ma questa è un'altra storia..
ps. continua con i tuoi racconti li adoro!
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