Sono anni ormai che il Festival di Sanremo non riesce più a registrare ascolti e consensi enormi, come nel passato più remoto. Ogni anno, quindi, in questo periodo, fioccano polemiche varie e critiche molto pesanti sull’organizzazione e sulla stessa sopravvivenza di quest’ultimo. In realtà la crisi commerciale della musica leggera italiana, che viene fedelmente riflessa dal palcoscenico di Sanremo, ha cause diverse e piuttosto profonde. Prima di tutto c’è un’industria discografica che ha raggiunto livelli di incompetenza semplicemente paurosa. Il mercato è in mano a poche etichette multinazionali gestite da manager che trattano la musica come se trattassero detersivi o prosciutto cotto. Questi manager non hanno alcuna conoscenza musicale né alcuna esperienza specifica in settori di marketing di prodotti d’arte. Costoro ritengono ancora che il successo musicale sia roba da tormentoni estivi e che il Festival sia ancora in grado di sfornare il successo dell’anno. Il mercato musicale italiano non è molto diverso da quello degli altri paesi industrializzati: un mercato estremamente segmentato a causa di un pubblico molto diversificato. Ormai per ogni fascia d’età esiste un diverso consumo musicale, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. La scelta fallimentare dei discografici di mantenere piuttosto alto il prezzo del disco ha, inoltre, incentivato la pratica di accedere alla musica tramite internet e/o di ricorrere alla pirateria musicale. In questo panorama caleidoscopico troviamo di tutto, da Einaudi e Allevi a Caparezza e Sud Sound System, dalla Pausini e Zucchero a Gigi D’Alessio e Andrea Bocelli, dai neomelodici napoletani a Tiziano Ferro. Oltre, naturalmente, a cantanti e gruppi stranieri, quasi tutti anglosassoni. In realtà non esiste più il disco boom, il fenomeno musicale dell’anno che ogni italiano deve assolutamente acquistare. Questo quadro, seppur appena abbozzato, esprime una realtà ormai consolidata e manifesta segni di una tendenza verso la creazione di segmenti di consumo ancora più piccoli e specializzati. In un contesto del genere è praticamente impossibile pretendere che una manifestazione ancora ottusamente monolitica come il Festival di Sanremo possa riscuotere i successi e i consensi del passato. E infatti alle delusioni degli ascolti televisivi si aggiungono, puntualmente, le delusioni delle vendite delle relative compilations immesse sul mercato. Anzi, da un punto di vista strettamente economico, se fossero resi pubblici i conti del Festival scopriremmo che, nonostante tutto, grazie alla pubblicità e ai tantissimi sponsor la kermesse televisiva non è affatto in perdita. Cosa che non si può dire, invece, dei conti delle case discografiche, le quali continuano ostinatamente a perdere quattrini sfornando raccolte che rimangono invendute negli scaffali dei negozi. E’ difficile credere che il Festival possa ritornare agli antichi fasti solo ad opera del direttore artistico. Solo operando una riforma radicale della manifestazione si potrebbe sperare in un suo reale rilancio. Sicuramente il primo provvedimento da prendere sarebbe quello di mettere da parte lo squallido carrozzone dei discografici nazionali che pretendono di dettar legge ad ogni costo. Poi bisognerebbe avere il coraggio di trasformare la manifestazione da Festival della Canzone Italiana a Festival della Musica Italiana, aprendo così le porte ad artisti che si esprimono in forme diverse (musica strumentale, canzoni in lingua straniera, ecc) ma che sono comunque rappresentativi del panorama musicale nazionale. In questo modo il Festival potrebbe effettivamente diventare uno specchio della realtà artistica e del mercato musicale italiano nel quale si riconoscerebbero tutte le diverse fasce di consumo. Non dobbiamo dimenticare che il Festival di Sanremo nacque dalla necessità di dare alla musica leggera italiana una vetrina massmediale (prima radio, poi tivù) che potesse rilanciare il mercato musicale sui nuovi supporti (disco 45 giri). Non dobbiamo dimenticare che la rivoluzione estetica della canzone italiana è stata celebrata dal Festival (Domenico Modugno, Luigi Tenco, ecc.), ma ora dobbiamo prendere atto che la sua funzione, così come era stata concepita, si è completamente esaurita. Avere il coraggio di cambiare è l’unico modo per mantenere viva una tradizione importante e continuare a sostenere la musica italiana.
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2 commenti:
Non ho seguito molto il festival..nn mi attira molto a me piace ascoltare la musica piace ascoltarla con tranquillità...assaporarla..quindi magari le canzoni le ascolto dopo...al massimo zippo per federe i vestiti e ormai nn mi interessano nemmeno più quelli vista la taglia! però devo dire che nn è la peggiore delle trasmissioni ...anzi in tutta quella pattumiera almeno questa si può guardare che poi con la musica nn so quanto abbia a che fare..boh..io stasera mi vedo Che tempo fa..almeno nn rimpiango tutti i soldi del canone!!
A proposito di case discografiche, qualche sera fa ho seguito, in tv, lo sceneggiato su Rino Gaetano, che già negli 80 lamentava quello di cui oggi hai scritto: la tendenza a trattare la musica come detersivi o salumi.
Quanto ad una necessaria "rifondazione" del festival così com'è ancora concepito ed oraganizzato, sono d'accordo con te.
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