La coerenza è una qualità del fare, è intimamente collegata all’etica ed è elemento di riconoscimento di un rapporto ottimale fra etica e morale. In sostanza, la coerenza è la misura del rapporto fra il pensare (e il dire) e il fare. Una persona coerente è colei che applica al proprio comportamento le proprie convinzioni, indipendentemente dal giudizio che si possa dare su di esse. Coerente è il sacerdote che vive rispettando attivamente le sacre scritture e tenendo fede al proprio giuramento senza cedere alle tentazioni; coerente è il mafioso che vive e agisce secondo il proprio codice sanguinario e omertoso senza cedere di fronte alla possibilità di migliorare la propria condizione carceraria o addirittura di evitare completamente la pena inflitta. Eppure questi due casi sono completamente diversi: nel primo la coerenza identifica il bene, nel secondo il male. Ne consegue che la coerenza, in sé, non è rivelatrice di doti morali bensì di un comportamento etico lineare e non contraddittorio. Ma siccome nel linguaggio comune il termine “coerenza” ha assunto un’accezione positiva, nel primo esempio usiamo questo termine, nel secondo preferiamo parlare di ostinazione, di cieca perseveranza, di disumanità, di rifiuto del pentimento. Naturalmente fra questi due estremi si pone tutto il resto dell’umanità: persone normali, né santi né delinquenti. In questo spazio piuttosto ampio possiamo trovare gli elementi della lotta perenne tra la linearità e la contraddizione. Ed eccoci all’antitesi della coerenza: la contraddizione. A ben guardare, la contraddizione è una delle caratteristiche peculiari dell’essere umano, sia che lo si consideri da solo, sia in gruppo. Anzi, sotto un certo aspetto, potremmo dire che l’uomo è per definizione l’unico essere vivente contraddittorio. Questa condizione schizoide lo ha spinto nell’evoluzione della civiltà a darsi delle regole, delle leggi, dei tabù, dei codici di comportamento sociale che neutralizzassero almeno le contraddizioni più evidenti. L’animale uomo, capace di ardite elaborazioni del pensiero astratto e complesse speculazioni trascendentali, è l’unico essere vivente che uccide e tortura, che pratica l’odio e la vendetta. Questa è la somma contraddizione umana. Ed ecco perché noi umani ammiriamo la coerenza. La amiamo talmente da ritenere negativamente comportamenti come il cambiare opinione, modificare il proprio punto di vista, rivedere il proprio pensiero. Molto spesso coloro che cambiano idea vengono considerati voltagabbana, ipocriti, doppiogiochisti. In realtà non sopportiamo quel piccolo tarlo che ronza nel nostro cervello creando una fastidiosissima insicurezza, una incapacità ad aderire completamente alle nostre stesse convinzioni. Le nostre certezze, i nostri valori, la fede in qualcosa o in qualcuno, non sono mai assolute (anche quando crediamo sinceramente che sia così) e una parte di noi è sempre impegnata a verificarle, a riconsiderarle e rimisurarle. Il problema nasce quando dobbiamo agire, quando cioè dobbiamo testimoniare pubblicamente delle nostre convinzioni; in questo caso entrano in gioco diversi elementi molto spesso in attrito fra loro: seguire l’istinto, temere il giudizio, paura di danneggiare persone vicine e lontane, terrore di apparire contraddittori, rischiare di danneggiare se stessi. L’estrema e tragica complessità che ci distingue fra i viventi invoca ad alta voce un comportamento semplice e lineare, una presa di posizione inequivocabile, una scelta di campo precisa. E quando ciò si verifica ecco che ci troviamo al cospetto di una persona coerente, tanto di cappello. Attenzione però, poiché la coerenza ha due facce: quella libera e coraggiosa di chi non vuole nascondersi e quella mummificata e immobile di chi sfida, presuntuoso, gli eventi della vita. Sul primo caso è stato scritto da Paul Bourget:”Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto.” Per il secondo, Boris Pasternak scriverà:”Bisogna essere di un’ irrimediabile nullità per sostenere un solo ruolo nella vita, per occupare un solo e medesimo posto nella società, per significare sempre la stessa cosa.” La coerenza può essere orientata, indifferentemente, verso il cambiamento o verso la conservazione; essa, in sé, non è una qualità ma solo un segnale del comportamento. Anche nelle arti, la coerenza non è una qualità, essa definisce meglio uno stile, chiarisce il rapporto fra forma e comunicazione, ma non è il luogo magico in cui si verifica il “corto circuito” dei sensi. Ciò che colpisce, che affascina, è una coerente contraddizione. Un naturale accostamento di contrari, uno stupefacente ossimoro dei sensi, un segno di ineffabile umanità.
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1 commento:
La coerenza, a volte, diventa cieca riottosità, presunzione, ostentazione di millantate superiorità morali. Nella sua accezione negativa, sia chiaro. Hai fatto bene a parlare, piuttosto, di linearità: secondo me rende meglio l'idea.
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