Con la recente vicenda dei titoli americani subprime si è posta una nuova questione che riguarda l’assetto e le valutazioni sull’attuale economia di mercato che governa il pianeta. La crisi finanziaria che ha causato fallimenti a catena di diverse banche americane è il riflesso di una condotta fraudolenta basata sulla più selvaggia speculazione che ha visto complici tutti i gangli del sistema economico mondiale. E’ caduta la maschera del sistema capitalistico occidentale, una maschera fatta di greve austerità garantita da un iper vantato autocontrollo nonché da una giurisdizione che sembrava blindata. Quegli stessi politici ed economisti che bacchettavano senza pietà le approssimazioni economiche dei paesi del terzo mondo con i loro cronici debiti supermiliardari con la banca mondiale, ora sono attoniti e tacciono o cercano di minimizzare invocando la fisiologia del mercato e le sue inevitabili aberrazioni. Sono di queste ultime ore gli appelli del presidente Bush tendenti a far passare grossi provvedimenti di stato per evitare ulteriori e ben più gravi fallimenti. Si tratta di una svolta epocale: i maggiori esponenti del liberismo più ortodosso ed intransigente si arrendono di fronte a una situazione che corre il rischio di trasformarsi in una devastante crisi economica, al cui paragone quella del 1929 è una bazzecola. E’ evidente che il sistema non è in grado di autoregolarsi né di assorbire gli effetti di queste cosiddette aberrazioni. Alla luce di questi eventi sorge spontanea una riflessione: cosa si vuole salvare? Questi provvedimenti eccezionali servono ad evitare che le persone si trovino senza lavoro e senza mezzi di sussistenza o piuttosto hanno lo scopo di evitare che il sistema imploda scompaginando tutti gli equilibri esistenti, comprese le ricchezze degli attuali padroni del pianeta? L’economia capitalista non produce cicli virtuosi in grado di garantire il progresso economico e civile della gente, essa si fonda sulla speculazione più spietata che non distingue tra i bisogni primari (energia, salute, casa, vita dignitosa) e quelli indotti (società dei consumi); le corporations (le mitiche multinazionali degli anni ’70) sono le teste di ponte di un sistema di rapina del territorio e di sfruttamento delle popolazioni più povere e bisognose della Terra. Noi stessi, che abbiamo avuto la fortuna di nascere sul lato ricco del pianeta, non riflettiamo abbastanza sulla nostra vita e su quello che siamo: produttori di rifiuti, consumatori di droghe e felici acquirenti di costoso abbigliamento griffato che costa pochi centesimi alla produzione, quanto basta per mantenere in vita bambini e donne-operaio in Vietnam, Bangla Desh, Corea, Cina e Centro Africa. Forse è giunto il momento di rivalutare alcuni aspetti dell’analisi marxiana (che non ha niente a che vedere col defunto marxismo-leninismo), gli scritti di Gramsci, di Gaetano Salvemini e anche di Pier Paolo Pasolini; forse è giunto il momento di invocare una scuola che insegni a scoprire se stessi e interpretare la realtà, una scuola che inciti al cambiamento, che valorizzi la forza “eversiva” della cultura. Mai come oggi la massima di John Hobbes, dell’homo homini lupus, risulta essere di un’attualità sconcertante e mai come oggi c’è bisogno di gente che urli contro questa condizione. Per cui se salvare le banche dal fallimento significa iniziare una nuova stagione di contenimento dello strapotere dell’economia di mercato forse vale la pena tentare, altrimenti è meglio sperare che la crisi faccia tabula rasa di vecchi e nuovi speculatori e che dalle macerie di questo sistema sorga qualcosa di nuovo e più giusto.
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2 commenti:
Ci vorrebbe una via di mezzo. Si dovrebbe mirare innanzitutto a salvare chi rischia di finire sotto un ponte, perchè i bisogni fondamentali della gente dovrebbero essere salvaguardati sempre.
Non sono esperta di economia, quindi mi chiedo se il momento (mondiale)di forte recessione economica sia veramente solo colpa di politici ed economisti.
Penso che sia il sistema che mostra il suo vero volto.
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