Nonostante il mio scettiscismo iniziale, nonostante la mia pessima opinione su quasi tutti i programmi televisivi, nonostante le precedenti noiosissime edizioni, nonostante la tesi largamente condivisa fra critici e musicisti che lo definiva un fossile televisivo al guinzaglio di dirigenti Rai mentecatti e discografici cinici e furbacchioni, devo ammettere che questa 59 esima edizione del Festival della Canzone Italiana merita un applauso.
Paolo Bonolis ha saputo dimostrare come si fa a confezionare uno spettacolo di intrattenimento musicale rivolto ad un pubblico popolare partendo da premesse e contenuti colti. In questa operazione si è rifatto agli splendori televisivi italiani degli anni ’60 e ’70, alle esperienze indimenticabili di Marcello Marchesi e Terzoli e Vaime, all’autoironia dei programmi di Renzo Arbore, alla leggerezza della commedia, alla lievità della consapevolezza della tradizione e della storia. L’idea vincente è consistita nel trasformare il vecchio e obsoleto Festival di Sanremo in una festa della musica italiana, un’occasione di riappropriazione, da parte del pubblico, della storia della musica italiana attraverso l’esibizione di vecchi e nuovi artisti, di vecchi e nuovi generi, di cantanti bravissimi e di imbecilli famosi, senza remore né intellettualismi. Bonolis ha capito che era giunto il momento di cambiare le premesse: non più una telecronaca di una gara musicale, sulla cui genuinità pesavano forti dubbi, ma un programma musicale che contenesse una gara, non solo, ma ha avuto il coraggio di recuperare lo spirito originale del festival, nato e dedicato alla canzone e non ai cantanti. La riproposta delle canzoni in gara con arrangiamenti diversi e l’accoppiata dei cantanti a colleghi e/o ad artisti famosi ha creato uno spettacolo in più, ma, soprattutto, ha fornito agli spettatori ulteriori e interessanti spunti di giudizio sulla qualità delle canzoni. Nella costruzione di questo nuovo spettacolo è emersa anche un’operazione estremamente interessante: la fine della figura (francamente penosa) della valletta, ovvero della giovane (più o meno famosa) bonazza portatrice di occulti e demenziali segnali di sessualità latente nonché di evidenti segnali di imbecillità manifesta.. Persino le conigliette di Playboy sono state coinvolte in questa salutare epifania di umana natura, apparendo come persone (personae bonae, ma personae) invece che manichini da boutique. La presenza ironica e autoironica di famosi indossatori abbandonati alle gags da varietà di Luca Laurenti ha demolito definitivamente quell’aura sessual-misteriosa che circondava il mondo della moda. Forse l’unico aspetto che suscita ancora delle perplessità è stato quello delle interviste che sconta ancora dell’influenza negativa dei programmi contenitore (sia Rai che Mediaset), non credo che al pubblico italiano interessi molto di sapere su Kevin Spacey e Hug Hefner.
Per quanto riguarda la gara vera e propria bisogna dire che le canzoni ascoltate nella categoria Nuove Proposte sono state (una volta tanto) molto più interessanti di quelle nella categoria maggiore. E questo potrebbe essere un segnale di un nuovo corso creativo della canzone italiana. Nella categoria maggiore non vi sono state canzoni particolarmente belle né particolarmente brutte, a parte Povia che incarna ormai a perfezione la figura di scemo del villaggio o imbecille canterino, che dir si voglia. Abbiamo ascoltato le solite canzoni “furbe” o ammiccanti come quelle del trio Pupo, Belli, Youssun Dour e quella di Fausto Leali (molto più dignitosa sia nel testo che nella musica), quelle che si rifacevano alla tradizione dell’aria operistica con Albano, Patty Pravo (con qualche problema di intonazione) e Francesco Renga (un po’ troppo pucciniana) e quelle più vicine alla canzone italiana pop-melodica.
Una parola sui vincitori: non ha trionfato la musica ma l’immagine. Nella categoria cadetta è stata premiata una canzoncina gradevole che inneggia all’amore eterno cantata da una ragazza simpatica, timida, dal look neoromantico (una Cinquetti postmoderna). Nella categoria maggiore ha stravinto un giovane che in realtà è un vecchio marpione, la materializzazione dell’immaginario collettivo, il trionfo dell’aurea mediocritas: una canzone senza qualità, una voce senza qualità, un uomo senza qualità, tranne uno smisurato bisogno di diventare famoso. Un emblema di quella fabbrica degli orrori televisivi che è Amici. Anche per questo motivo la 59esima edizione del Festival di Sanremo passerà alla storia della TV: la nascita del primo Golem della canzone italiana.
Paolo Bonolis ha saputo dimostrare come si fa a confezionare uno spettacolo di intrattenimento musicale rivolto ad un pubblico popolare partendo da premesse e contenuti colti. In questa operazione si è rifatto agli splendori televisivi italiani degli anni ’60 e ’70, alle esperienze indimenticabili di Marcello Marchesi e Terzoli e Vaime, all’autoironia dei programmi di Renzo Arbore, alla leggerezza della commedia, alla lievità della consapevolezza della tradizione e della storia. L’idea vincente è consistita nel trasformare il vecchio e obsoleto Festival di Sanremo in una festa della musica italiana, un’occasione di riappropriazione, da parte del pubblico, della storia della musica italiana attraverso l’esibizione di vecchi e nuovi artisti, di vecchi e nuovi generi, di cantanti bravissimi e di imbecilli famosi, senza remore né intellettualismi. Bonolis ha capito che era giunto il momento di cambiare le premesse: non più una telecronaca di una gara musicale, sulla cui genuinità pesavano forti dubbi, ma un programma musicale che contenesse una gara, non solo, ma ha avuto il coraggio di recuperare lo spirito originale del festival, nato e dedicato alla canzone e non ai cantanti. La riproposta delle canzoni in gara con arrangiamenti diversi e l’accoppiata dei cantanti a colleghi e/o ad artisti famosi ha creato uno spettacolo in più, ma, soprattutto, ha fornito agli spettatori ulteriori e interessanti spunti di giudizio sulla qualità delle canzoni. Nella costruzione di questo nuovo spettacolo è emersa anche un’operazione estremamente interessante: la fine della figura (francamente penosa) della valletta, ovvero della giovane (più o meno famosa) bonazza portatrice di occulti e demenziali segnali di sessualità latente nonché di evidenti segnali di imbecillità manifesta.. Persino le conigliette di Playboy sono state coinvolte in questa salutare epifania di umana natura, apparendo come persone (personae bonae, ma personae) invece che manichini da boutique. La presenza ironica e autoironica di famosi indossatori abbandonati alle gags da varietà di Luca Laurenti ha demolito definitivamente quell’aura sessual-misteriosa che circondava il mondo della moda. Forse l’unico aspetto che suscita ancora delle perplessità è stato quello delle interviste che sconta ancora dell’influenza negativa dei programmi contenitore (sia Rai che Mediaset), non credo che al pubblico italiano interessi molto di sapere su Kevin Spacey e Hug Hefner.
Per quanto riguarda la gara vera e propria bisogna dire che le canzoni ascoltate nella categoria Nuove Proposte sono state (una volta tanto) molto più interessanti di quelle nella categoria maggiore. E questo potrebbe essere un segnale di un nuovo corso creativo della canzone italiana. Nella categoria maggiore non vi sono state canzoni particolarmente belle né particolarmente brutte, a parte Povia che incarna ormai a perfezione la figura di scemo del villaggio o imbecille canterino, che dir si voglia. Abbiamo ascoltato le solite canzoni “furbe” o ammiccanti come quelle del trio Pupo, Belli, Youssun Dour e quella di Fausto Leali (molto più dignitosa sia nel testo che nella musica), quelle che si rifacevano alla tradizione dell’aria operistica con Albano, Patty Pravo (con qualche problema di intonazione) e Francesco Renga (un po’ troppo pucciniana) e quelle più vicine alla canzone italiana pop-melodica.
Una parola sui vincitori: non ha trionfato la musica ma l’immagine. Nella categoria cadetta è stata premiata una canzoncina gradevole che inneggia all’amore eterno cantata da una ragazza simpatica, timida, dal look neoromantico (una Cinquetti postmoderna). Nella categoria maggiore ha stravinto un giovane che in realtà è un vecchio marpione, la materializzazione dell’immaginario collettivo, il trionfo dell’aurea mediocritas: una canzone senza qualità, una voce senza qualità, un uomo senza qualità, tranne uno smisurato bisogno di diventare famoso. Un emblema di quella fabbrica degli orrori televisivi che è Amici. Anche per questo motivo la 59esima edizione del Festival di Sanremo passerà alla storia della TV: la nascita del primo Golem della canzone italiana.
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