Dice un antico proverbio siciliano: “cummannari è megghiu ca futtere”. Questo adagio popolare rivela in modo colorito, ma estremamente efficace, quella che è la maggiore aspirazione dell’essere umano: comandare, ovvero esercitare sul prossimo il proprio potere e il proprio volere. In effetti, a ben guardare, la nostra vita è caratterizzata dallo scontro continuo e incessante fra il desiderio di soddisfare i propri bisogni e gli ostacoli che ci impediscono di farlo liberamente. Appena nati cominciamo a pretendere soddisfazione e piangiamo per fame, per desiderio di affetto e anche per nulla, giusto per saggiare l’intelligenza dei nostri genitori e il nostro potere nei loro confronti. Crescendo, con l’uso della parola e l’autonomia del movimento, si aprono nuove strade di conflitto basate sul cibo (che soddisfazione vedere il papà attonito e la mamma disperata quando sputiamo nel piatto una pietanza sgradita o ci rifiutiamo di assaggiarla), sul comportamento (tutto ciò che è vietato va sperimentato), sulla scuola, sulla soddisfazione immediata di bisogni (giocattoli, gelati, patatine) e soprattutto sul dominio della televisione. Adler, allievo di Freud e fondatore di una sua scuola psicoanalitica, sosteneva che (smentendo il maestro) l’impulso primario in ogni uomo non è di tipo sessuale bensì un impulso per l’affermazione di se stessi e l’esercizio della propria volontà. E quindi quello che noi siamo è il prodotto di un atavico istinto di affermazione sugli altri e a spese degli altri naturalmente mediato dalle componenti caratteriali e dalle circostanze contingenti.
Quando parliamo di potere dobbiamo essere precisi evitando le generalizzazioni e i falsi miti. Per esempio, è vero che chi possiede denaro ha potere ma non è vero il contrario. Si può disporre di molto potere senza possedere denaro. Così come si può impiegare il potere a proprio esclusivo vantaggio materiale, inoltre si può usare il potere a vantaggio della comunità ma soprattutto si può esercitare il potere per il solo piacere di farlo. In quest’ultimo caso l’unica vera contropartita è il desiderio di onnipotenza ovvero la prova materiale dell’assoluta superiorità antropologica dell’individuo sui suoi simili. Potremmo definirlo delirio divino o desiderio assoluto di essere simile a Dio. Non a caso nella storia, il potere totale, quello della monarchia assoluta, era diretta emanazione di Dio e, ancora, non a caso nelle tirannie di altro genere (nazismo, fascismo, stalinismo) si è abbattuta l’investitura divina per far posto alla Metafisica della Storia. La Necessità Storica di una nuova umanità sostituisce efficacemente il disegno divino.
In realtà quando parliamo del potere ci occupiamo di qualcosa di molto concreto e per nulla distante da noi. Il potere non è solo politico, economico e culturale, esso rappresenta anche la qualità e la quantità del nostro rapporto con il prossimo. Noi, nel nostro piccolo, esercitiamo quotidianamente la nostra quota di potere cercando, quando è possibile, di aumentarlo e stando molto attenti a non perderlo. Nella dimensione lavorativa, la carriera e il successo sono obiettivi che hanno a che fare direttamente col potere. Nella famiglia, la coesione e la buona convivenza sono aspetti direttamente collegati al potere. L’amicizia è basata sulla piena disponibilità reciproca del proprio potere. In amore, invece, le cose sono piuttosto complesse poiché il potere si basa sul terrore della perdita. In amore il nostro potere è direttamente proporzionale alla paura dell’abbandono del partner. In più c’è da aggiungere che questo timore genera un senso di dipendenza fisica piuttosto imbarazzante che si tende in qualche modo a nascondere. Esiste anche il potere che esercitiamo su noi stessi e che riguarda la nostra capacità di controllare più o meno efficacemente le manifestazioni emotive e tutta la sfera che riguarda il rapporto con gli altri. Il potere su se stessi è il più misterioso ed affascinante, poterne disporre pienamente è un’impresa difficile e profondamente appagante.
La nostra vita è un’orgia del potere in cui, a volte, è molto difficile distinguere gli intrecci e le dinamiche, è praticamente impossibile sottrarsi a tutto questo ed è maledettamente impossibile riuscire a fare un bilancio esatto della situazione, l’unica consolazione è che il caso rende tutto relativo. Anche il potere più assoluto trema di fronte a quel segno di parentesi che chiuderà per sempre la propria esperienza.
Quando parliamo di potere dobbiamo essere precisi evitando le generalizzazioni e i falsi miti. Per esempio, è vero che chi possiede denaro ha potere ma non è vero il contrario. Si può disporre di molto potere senza possedere denaro. Così come si può impiegare il potere a proprio esclusivo vantaggio materiale, inoltre si può usare il potere a vantaggio della comunità ma soprattutto si può esercitare il potere per il solo piacere di farlo. In quest’ultimo caso l’unica vera contropartita è il desiderio di onnipotenza ovvero la prova materiale dell’assoluta superiorità antropologica dell’individuo sui suoi simili. Potremmo definirlo delirio divino o desiderio assoluto di essere simile a Dio. Non a caso nella storia, il potere totale, quello della monarchia assoluta, era diretta emanazione di Dio e, ancora, non a caso nelle tirannie di altro genere (nazismo, fascismo, stalinismo) si è abbattuta l’investitura divina per far posto alla Metafisica della Storia. La Necessità Storica di una nuova umanità sostituisce efficacemente il disegno divino.
In realtà quando parliamo del potere ci occupiamo di qualcosa di molto concreto e per nulla distante da noi. Il potere non è solo politico, economico e culturale, esso rappresenta anche la qualità e la quantità del nostro rapporto con il prossimo. Noi, nel nostro piccolo, esercitiamo quotidianamente la nostra quota di potere cercando, quando è possibile, di aumentarlo e stando molto attenti a non perderlo. Nella dimensione lavorativa, la carriera e il successo sono obiettivi che hanno a che fare direttamente col potere. Nella famiglia, la coesione e la buona convivenza sono aspetti direttamente collegati al potere. L’amicizia è basata sulla piena disponibilità reciproca del proprio potere. In amore, invece, le cose sono piuttosto complesse poiché il potere si basa sul terrore della perdita. In amore il nostro potere è direttamente proporzionale alla paura dell’abbandono del partner. In più c’è da aggiungere che questo timore genera un senso di dipendenza fisica piuttosto imbarazzante che si tende in qualche modo a nascondere. Esiste anche il potere che esercitiamo su noi stessi e che riguarda la nostra capacità di controllare più o meno efficacemente le manifestazioni emotive e tutta la sfera che riguarda il rapporto con gli altri. Il potere su se stessi è il più misterioso ed affascinante, poterne disporre pienamente è un’impresa difficile e profondamente appagante.
La nostra vita è un’orgia del potere in cui, a volte, è molto difficile distinguere gli intrecci e le dinamiche, è praticamente impossibile sottrarsi a tutto questo ed è maledettamente impossibile riuscire a fare un bilancio esatto della situazione, l’unica consolazione è che il caso rende tutto relativo. Anche il potere più assoluto trema di fronte a quel segno di parentesi che chiuderà per sempre la propria esperienza.
1 commento:
Interessante: l'esercizio del potere in amore è legato alla paura, dell'altro, di subire un abbandono.
Posta un commento