Il caldo estivo è una vera maledizione. Le alte temperature e il sostenuto tasso d’umidità dell’aria inducono a devastanti effetti vasodilatatori e traspiranti. Con la testa vuota, la pelle umida, l’umore ipocondriaco, si vaga per la casa oscurata, seminudi e desiderosi di un’altra vita, in un altro posto. La realtà che ci circonda ci appare insopportabile, assolata e traspirante stupidità: persino il cibo è visto con sospetto…giacchè va cucinato e per raffreddarsi ci mette un tempo esagerato. Anche il letto è trasfigurato: la placida alcova ora è un disgustoso sudario, “locus terribilis” in cui si materializzano incubi generati da ore insonni e cedimenti improvvisi al torpore. Questo stato di profondo disagio induce ad alcune riflessioni filosofiche inevitabili: dov’è la libertà, il libero arbitrio, l’autonomia di pensiero e di giudizio quando il termometro sfonda il limite dei 30° ? Come è possibile l’etica e la morale quando uccideresti qualcuno pur di smettere di sudare e puzzare? Vogliamo parlare dell’estetica? E’ sufficiente guardarci allo specchio per concludere che un essere in mutande con l’espressione di un orso polare nel deserto del Sahara non è materialmente in grado di produrre alcunché di esteticamente significativo. Dobbiamo quindi dichiarare forfait, ammettere definitivamente che l’estate è la stagione della bestialità, la fase dell’anno in cui il nostro raziocinio tocca i suoi livelli più bassi. Alla luce di tutto questo diventa tutto più logico e comprensibile: le vacanze (meglio non lavorare, si commetterebbero troppi errori), la spensieratezza (è che proprio i pensieri non vengono, nella mente si forma il vuoto pneumatico), l’amore e le avventure (meglio fornicare che sparare cazzate). Insomma tutta la natura si blocca, persino il vostro cane riprende la sua espressione intelligente solo quando si distende a pancia in giù per rinfrescarsi i maroni sul pavimento. Un delirio generale il cui livello è solo determinato dall’efficienza del condizionatore e dalla quantità di docce rinfrescanti a cui poter ricorrere.
Questa regressione antropologica che colpisce tutti indistintamente infonde un torpore mentale simile ad una condizione pre ipnotica, il nostro giudizio è confuso, il livello di sopportazione è talmente dilatato che non ci rendiamo conto che una grassona in tanga o un panciuto cinquantenne in pinocchietto non sono meno orripilanti dell’ecomostro di Punta Perotti. In altre circostanze climatiche invocheremmo la fucilazione immediata. Invece camminiamo immersi nella folla oscena, anzi ci lasciamo trascinare da essa in un allucinato percorso senza fine e senza senso, come il protagonista di “The Man Of The Crowd” di Edgar Allan Poe. Mentre scendiamo le scale della perdizione abbiamo un unico pensiero: evitare il caldo, cercare di soffrire il meno possibile, e quindi sperimentiamo vecchie e nuove pozioni rinfrescanti: dal tamarindo (con imponenti effetti intestinali) alla cedrata, dall’acqua tonica (causa di rutti violenti e incontrollabili) al tè freddo (poliuria e insonnia); proviamo a nutrirci solo di gelati variopinti: pistacchio e fragola, ribes e albicocca, melone e fico d’india, fino a quando non cadremo vinti dal perfido fascino di un panino con la mortadella e un bicchiere di birra gelata. In questo periodo i luoghi come le rosticcerie, le friggitorie e le pizzerie diventano simili alle fumerie d’oppio: puzzolenti rifugi in cui dimenticare se stessi, sicure promesse di temporaneo estraniamento, un percorso ai confini della realtà che intraprendiamo guidati da calamari e totani fritti. Al mattino, prima che la morsa del caldo ci abbia nuovamente trasformati in Mr. Hyde, avviliti, ci chiediamo:”come ho fatto a cadere così in basso?”, ma l’ora del perfido incantesimo è suonata, dalle ascelle, appena lavate, si alza in sottile odore spiacevole che in pochi minuti diventa nauseabondo, la pelle di tutto il corpo è appiccicosa. Lenti e molli come meduse cominciamo a vagare nell’afoso e micidiale labirinto dell’estate.
Questa regressione antropologica che colpisce tutti indistintamente infonde un torpore mentale simile ad una condizione pre ipnotica, il nostro giudizio è confuso, il livello di sopportazione è talmente dilatato che non ci rendiamo conto che una grassona in tanga o un panciuto cinquantenne in pinocchietto non sono meno orripilanti dell’ecomostro di Punta Perotti. In altre circostanze climatiche invocheremmo la fucilazione immediata. Invece camminiamo immersi nella folla oscena, anzi ci lasciamo trascinare da essa in un allucinato percorso senza fine e senza senso, come il protagonista di “The Man Of The Crowd” di Edgar Allan Poe. Mentre scendiamo le scale della perdizione abbiamo un unico pensiero: evitare il caldo, cercare di soffrire il meno possibile, e quindi sperimentiamo vecchie e nuove pozioni rinfrescanti: dal tamarindo (con imponenti effetti intestinali) alla cedrata, dall’acqua tonica (causa di rutti violenti e incontrollabili) al tè freddo (poliuria e insonnia); proviamo a nutrirci solo di gelati variopinti: pistacchio e fragola, ribes e albicocca, melone e fico d’india, fino a quando non cadremo vinti dal perfido fascino di un panino con la mortadella e un bicchiere di birra gelata. In questo periodo i luoghi come le rosticcerie, le friggitorie e le pizzerie diventano simili alle fumerie d’oppio: puzzolenti rifugi in cui dimenticare se stessi, sicure promesse di temporaneo estraniamento, un percorso ai confini della realtà che intraprendiamo guidati da calamari e totani fritti. Al mattino, prima che la morsa del caldo ci abbia nuovamente trasformati in Mr. Hyde, avviliti, ci chiediamo:”come ho fatto a cadere così in basso?”, ma l’ora del perfido incantesimo è suonata, dalle ascelle, appena lavate, si alza in sottile odore spiacevole che in pochi minuti diventa nauseabondo, la pelle di tutto il corpo è appiccicosa. Lenti e molli come meduse cominciamo a vagare nell’afoso e micidiale labirinto dell’estate.
2 commenti:
Brutta immagine, dà proprio l'idea della disidratazione.
Guardiamo il lato positivo del girare in casa in bermuda o slip ...diciamo che è erotico no?
Ti giuro: l'ho stampato, e adesso me lo porto al mare. Per i cali del tono dell'umore e per tutto il resto.
Grazie, Saverio.
E un bacio.
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