mercoledì 11 aprile 2007

PARI SIAMO ! IO LA LINGUA, EGLI HA IL PUGNALE


Sono pochi coloro che si rendono conto della grande civiltà contenuta in un insulto. E’ stato Sigmund Freud ad affermare che la civiltà è nata quando per la prima volta l’uomo ha usato la parola al posto della clava. L’insulto potrebbe addirittura essere usato come mezzo di studio del livello di civiltà raggiunto da una comunità in un determinato momento storico. L’insulto contiene, attraverso le parole e i gesti del corpo, tutta la storia e la cultura di un popolo e rappresenta un grande serbatoio di creatività applicata alla psicologia e al comportamento. L’insulto non è puro e semplice turpiloquio, piuttosto è complessa arte simbolica d’evocazione di concetti e di immagini anche piuttosto articolati attraverso l’esercizio della parola. L’insulto è sublimazione della violenza e dell’aggressività, attraverso il suo esercizio si colpisce senza pietà evitando spargimenti di sangue, lutti e faide familiari. L’insulto è democratico, tutti possono praticarlo senza distinzioni di sesso, di ceto, di età, di condizione fisica, intellettuale e culturale. L’insulto costituisce un inesauribile catalogo semantico di eufemismi, onomatopee, allitterazioni e figure retoriche; attraverso l’insulto anche il più ignorante fra gli ignoranti o il più idiota fra gli idioti può trovare il proprio momento di ispirata declamazione poetica ed avere un pubblico che lo applaude. L’insulto non è sola parola: è tono di voce, è gesto, è espressione del viso; è un ordigno micidiale di puro sentimento ostile, è un’arma letale. Se volessimo scegliere un insulto fra i tanti, a simbolo della sua immensa forza distruttrice da una parte e liberatoria dall’altra, non potremmo che scegliere la quintessenza dell’ingiuria, un concentrato potentissimo di disprezzo, l’offesa trascendentale in cui la parola cessa di esistere perché insufficiente e si trasforma in puro suono assassino: la pernacchia (o pernacchio).
L’arte dell’insulto nasce nel momento in cui unendo psicologia e creatività si riesce a forgiare l’ingiuria ad personam, si riesce cioè, pur attingendo allo sterminato repertorio esistente, a “costruire” un insulto su misura, personalizzato, che va a colpire mortalmente le debolezze e le contraddizioni dell’avversario. Non è cosa da tutti, essa richiede consapevolezza delle potenzialità del mezzo e perfetta conoscenza e padronanza di tutto il repertorio. Saper insultare con successo può essere paragonato al saper tirare di scherma, o alla famosa disciplina zen del tiro con l’arco.
Non c’è da fidarsi molto di coloro che non ricorrono mai all’uso dell’ingiuria, potrebbero rivelarsi persone che preferiscono la violenza fisica a quella verbale o potrebbero essere persone talmente beate ed in pace col mondo da risultare folli, affette da quel genere di follia che rasenta la santità ma che impedisce di condurre una vita normale. Anche il bestemmiatore abituale è da evitare, per lui la stessa vita è un insulto e quindi non è in grado di discernere tra la realtà che va pazientemente sopportata e quella contro la quale bisogna insorgere e reagire. Poi ci sono gli educati, i perbenisti, quelli che non perdono mai la bussola e che spesso si confortano con ansiolitici e consulenze psicoterapeutiche. A costoro vogliamo ricordare che dicendo caspita, corbezzoli, cribbio, osteria, porcogiuda, ed altro, non fanno altro che usare eufemismi per significati ben poco edificanti e comunque tutti riconducibili alla pratica del turpiloquio. Allora forse è meglio dirla qualche volta una gran bella parolaccia, così come togliersi la soddisfazione di “colpire” culturalmente una persona che ci sta tanto antipatica e che non vorremmo più vederci intorno.
Una pratica consapevole ed equilibrata dell’insulto è sicuramente una cosa positiva: ripristina le giuste distanze sociali e personali ed è altamente liberatoria. E poi a volte accade che dopo essersi reciprocamente mandati affanculo si scopre di amarsi disperatamente.


1 commento:

Dyo ha detto...

Allora mi autoassolvo dalla moltitudine di parolacce che pronuncio quotidianamente, non tutte a sproposito, ovvio.
Consiglio "L'arte di insultare", di Arthur Schopenhauer. Una chicca.