giovedì 20 ottobre 2011

MORTE DI UN TIRANNO





Raramente i tiranni muoiono nel proprio letto. È successo a Stalin, a Franco, molto probabilmente accadrà a Castro, ma si tratta di una minoranza. Quasi sempre i tiranni muoiono in modo cruento, così come cruenta è stata la loro parabola per raggiungere il potere e per poi mantenerlo.
Qualcuno potrebbe dire che è giusto così, che quelle belve non meritavano altro che la stessa fine che hanno inflitto a intere popolazioni. L’orgia del potere che ha prodotto simili esseri umani non può che concludersi implodendo e risucchiando al suo interno tutta la malvagità che ha imperversato durante il periodo in cui ha dominato sulle vite di popoli inermi.
Le cose non stanno così. Non si può liquidare velocemente un pezzo di storia macchiato di sangue innocente in cui ha imperato la menzogna, la violenza, lo sfruttamento, la negazione sistematica di ogni diritto fondamentale. I tiranni non spuntano come funghi, essi non sono un incidente della storia. I tiranni sono il prodotto di complessi giochi di potere mossi da una ferrea logica di sfruttamento economico e di equilibrio politico internazionale. I tiranni sono come i macellai: fanno il lavoro sporco, uccidono, scuoiano, squartano e tagliano affinché un’elegante signora o un incravattato cliente possa soddisfare la propria fame senza dover scannare ed imbrattarsi di sangue.
La tirannia è una sorta di concessione che viene fatta per “normalizzare” i rapporti sociali, per “stabilizzare” il quadro politico, per “incentivare” l’economia. Questo è il prezzo che i tiranni devono pagare per restare al potere indisturbati. In realtà sono pochissimi coloro che, fino ad ora, sono riusciti nel loro compito (uno di questi è stato Francisco Franco) poiché il delirio del potere è peggio di un cancro incurabile e, col tempo, i tiranni finiscono con l’oltrepassare ogni misura diventando un imbarazzante problema anche per coloro che li hanno appoggiati.
La morte di Muhammar Gheddafi (pare in un conflitto a fuoco) non è un evento positivo. Ancora una volta la comunità internazionale non potrà processarlo per i suoi crimini né potrà sperare di sapere di quanti e di quali appoggi ha goduto il dittatore libico, visto che mai nessun politico o grande imprenditore ha mai pubblicamente mostrato di avere cordiali rapporti col Rais, eccezion fatta per quel fesso di Berlusconi.
È morto un dittatore sanguinario, un fanatico terrorista, un uomo malvagio e arrogante, con lui scompaiono i suoi segreti. Chi lo ha segretamente aiutato, chi ha lautamente guadagnato dal sangue e dalla morte che Gheddafi ha seminato in questi lunghi anni, ha tirato un lungo sospiro di sollievo.
Si sta preparando la rissa fra le potenze occidentali che vogliono mettere le mani su tesori del sottosuolo libico, per il popolo che ha combattuto per la liberazione dalla tirannia si prospetta un conflitto ben più importante ed impegnativo: non lasciarsi derubare da coloro che, in passato, hanno sostenuto la barbarie che li ha oppressi per oltre quarant’anni.

mercoledì 5 ottobre 2011

TRE HAIKU




Luci lontane
tremano nella bruma.
Odore di mosto.





Il vento parla
con le nubi veloci.
La luna tace.






Già piove vento
Sulla sabbia bianca.
Prove d’inverno.

martedì 4 ottobre 2011

AMANDA & RAFFAELE: UNA PULP FICTION




Ieri sera la Corte d’Appello di Perugia ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di omicidio di Meredith Kircher; in primo grado i due giovani erano stati condannati rispettivamente a 26 e 25 anni di carcere, la sentenza assolutoria è giunta dopo quattro anni di detenzione in galera.
All’indomani della scoperta dell’efferato delitto e dell’arresto dei due giovani, ebbi modo di scrivere su questo blog alcune considerazioni poiché ho conosciuto molto bene Raffaele Sollecito e l’ho frequentato per lungo tempo. Al di là dei fatti e dei fumosi indizi prevaleva in me la certezza della conoscenza della persona, della sua storia personale e familiare e della sua interiorità.
Oggi però, la riflessione più urgente e necessaria riguarda la giustizia italiana, l’ordinamento detentivo e l’organizzazione e la gestione delle indagini. Senza cadere nella facile retorica influenzata dai copiosi telefilms statunitensi che raccontano dell’ineffabile precisione delle attuali tecniche scientifiche di indagine criminale, emerge naturalmente la domanda sull’efficienza e sulla serietà di coloro che sono addetti alla raccolta di prove e di indizi presenti sulla scena del delitto. Così come sorge spontanea la domanda sulla effettiva competenza e necessaria imparzialità di chi dirige le indagini e gestisce la macchina investigativa. L’impressione è che la tanto decantata professionalità di chi ha il dovere di scovare assassini e criminali sia un grande bluff…La sensazione è che il nostro ordinamento non sia preparato a gestire e a investigare su fatti criminosi che impongono precisi protocolli di raccolta degli indizi nonché una forma mentis capace di mettere da parte le impressioni e le opinioni personali nel nome di una indispensabile imparzialità.
Nel nostro paese la logica imperante è quella che vede il magistrato inquirente (sulle cui capacità ed esperienze investigative non c’è alcuna garanzia) formulare un teorema accusatorio, non un’ipotesi, e agire in modo da usare gli indizi come prove del suddetto teorema senza alcun timore di fare delle forzature, senza preoccuparsi di “piegare” la realtà alle proprie convinzioni. Questo atteggiamento parte da lontano e affonda le radici in una concezione metafisica della magistratura dove la figura del giudice sacerdos (unico vero tramite fra gli uomini e la Legge, divinità laica) ha contaminato in modo irreversibile anche chi giudice non è, come i magistrati inquirenti e sorveglianti. Questo delirio d’onnipotenza deve molto alla politica; la politica ha lasciato molto spazio d’azione attraverso grandi vuoti legislativi e/o attraverso leggi molto spesso rivelatesi incostituzionali, per non parlare della politica alleata alla criminalità organizzata e della politica colta troppo spesso in flagranza di reato. Una società che per molti aspetti nega i diritti fondamentali dell’uomo (vedi la condizione delle carceri, vedi la condizione dei disabili e degli immigrati, vedi il diritto allo studio calpestato dal numero chiuso, vedi la negazione a disporre del proprio corpo, vedi le imposte vessatorie e le inspiegabili esenzioni, vedi i privilegi odiosi di chi sta al potere) trasforma il concetto di servizio alla società in quello di unico e infallibile ordinatore della vita degli uomini.
Chi restituirà quattro anni di vita d’inferno a Raffaele ed Amanda? Chi ha massacrato Meredith e perchè? L’unica persona certamente coinvolta in questa orribile storia non parla e fra pochi anni sarà libero. Il fatto più triste è che ci sono troppe storie che avranno lo stesso epilogo. Delitti impuniti per i quali nessuno pagherà. Incompetenze, vessazioni, errori madornali, violazioni dei diritti umani per i quali nessuno pagherà.
La sentenza di assoluzione per Raffaele ed Amanda non è un segno di giustizia giusta; arriva troppo tardi e dopo aver devastato due giovani vite. Essa rappresenta non solo il fallimento della giustizia italiana ma soprattutto sancisce il fatto che lo stato non tutela il cittadino, lo stato è una macchina tritacarne.
Caro Raffaele, tuo malgrado sei stato uno dei protagonisti di una delle peggiori fiction mai prodotte in Italia. È ora che tu riprenda la tua vita ma non lasciare che tutto cada nel silenzio: urla la tua rabbia, non smettere mai di raccontare la tua storia: tu non sei stato vittima di un errore giudiziario, tu sei stato vittima di un sistema infame.