martedì 10 aprile 2007

LASSU' QUALCUNO MI AMA


L’ascensore saliva speditamente verso gli ultimi piani del palazzone, la cabina era tutta foderata d’acciaio con un grande specchio posto di fronte alle porte automatiche. Galleggiava nell’aria un odore di detersivo industriale misto a linoleum, i tubi al neon illividivano i colori, la mia faccia nello specchio aveva la tonalità carneo-giallina di un mongolo siberiano in vacanza in città. Di fronte a me un signore in giacca e cravatta, cartella in similpelle nera, testa grossa, stempiato con un evidente inizio di “coltivazione capillifera” a scopo di riporto per cercare di coprire la calvizie. Emanava un odore di deodorante balsamico che unito all’odore ambientale generava una sorta di olezzo indefinibile, anzi improbabile, direi quasi impossibile; era come se quegli odori si rifiutassero di fondersi e fossero costretti dalla circostanza a convivere fianco a fianco: ecco, io mi trovavo sulla linea di confine, con una narice sentivo il tanfo dell’ascensore e con l’altra il deodorante balsamico, era pura schizofrenia olfattiva. Mentre mi consolavo pensando che comunque ero fortunato: e se quell’uomo fosse stato affetto da meteorismo incontrollabile? Accadde l’incidente. L’ascensore si bloccò di colpo, fu buio per un paio di secondi, poi si accese un fioco neon che doveva essere la luce d’emergenza, io imprecai ad alta voce e lui di rimando “sì, accidenti!!!”. Fui investito violentemente da quelle due parole, non per il carico d’ansia di cui erano espressione ma per il grande carico d’aglio di cui erano portatrici, per un istante quel testone con riportino incipiente mi sembrò un’enorme testa d’aglio da incubo notturno post pesto alla genovese. Mi stavo riprendendo quando un altoparlante invisibile emise un cicalino, subito dopo la voce maschile di un gemello di Lino Banfi:”non vi preoccupète, abbiamo chiamèto il tecnico, fra pouco potrete uscire, abbiète un bò di pacienza!! “. Istintivamente mi feci indietro andando a sbattere con le terga alla parete metallica dell’ascensore, ero atterrito, mi sentivo una mosca estiva attaccata dalle molecole micidiali di un potente insetticida, gemetti per nascondere il rantolo e chiusi gli occhi in attesa della fine. “Permette? Ragionier Gaetano Paposcia, delle Assicurazioni Nazionali”, gli strinsi la mano e cercando di respirare il meno possibile biascicai il mio nome. “Questa cosa non ci voleva, sono già in ritardo ad un appuntamento importante…ieri ho fatto tardi con gli amici, siamo andati a mangiare” a quel punto non potevo non chiedere conferma dei miei sospetti ”pesto alla genovese?” e lui sgranando gli occhi ”esatto e poi pepata di cozze…ma come ha fatto a indovinare?”. Ecco il mistero di cotanta potenza aromatica! Non solo il pesto, anche la pepata di cozze…Un esperto in guerra chimica non avrebbe mai concepito una tale formula!! Interrompendo la mia apnea sibilai “un menù un po’ pesante..” e lui con aria spavalda “pesante? E sabato allora? Dovevo morire? Mia moglie ha fatto la trippa al sugo e gli strascinati, le orecchiette quelle grosse, madò…che grande sfazione!! Tre piatti mi sono frecato!!!”. La mia mente era in preda ad allucinazioni da anossia, immaginavo il sistema circolatorio dell’assicuratore come un magma ribollente di trigliceridi e colesterolo, ogni tanto qualche globulo rosso sfrecciava in quel fiume lipidico insano a bordo di gusci di cozze e strascinati.Si era avvicinato con fare confidenziale, i miei occhi sbarrati ora potevano ammirare una vistosa cascata di forfora sul collo della sua giacca e un piccolo distintivo dorato sul bavero, provai ad allontanarmi chiedendogli “lei è del Rotary?” “No, sono donatore di sangue”, “lei donatore di sangue??” ero allibito, pensavo a quelle sacche ripiene di rossa quintessenza distillata da pantagrueliche mangiate di cozze crude, involtini a ragù di cavallo, castrato e zampina alla brace, pasta al forno con polpette, focaccia imbottita di mortadella….Un’arma biologica. Chissà le povere ignare vittime di quelle trasfusioni assassine… Ero solo, indifeso, in balia di un “gastronomic serial killer”, ne sarei uscito vivo? Avrei potuto raccontare il pericolo scampato? Era giunto il momento di invocare qualche santo taumaturgo specializzato? Che ne so, San Pellegrino, San Marzano…
All’improvviso un cicalino ruppe il religioso silenzio “signori, sono il tecnico dell’ascensore, mi trovo nella cabina di comando all’ultimo piano, adesso vi tiro su e potrete uscire”. Ero salvo. La testa mi doleva per le apnee ripetute ma ero vivo. L’ascensore riprese la sua salita, io ero felice, avevo avuto una prova inconfutabile: lassù qualcuno mi ama.

1 commento:

Dyo ha detto...

In effetti si presenta come un racconto horror: per me l'aglio è peggio della puzza di fogna.