martedì 26 aprile 2011

LA ROSA DEL RICORDO

Attenti come sempre dovremmo essere ai ‘piccoli miracoli’ della nostra vita d’ogni giorno, non possiamo non meravigliarci dinanzi alla sorpresa di una silloge che non nasce dalla volontà selettiva di un curatore, né dall’esigenza di descrivere la linea programmatica di un movimento, bensì dal vincolo d’amicizia che lega quattro autori della Terra di Bari, uniti da una comune ‘fede’ nel valore nobilitante della poesia e nella possibilità di conservare la dignità civile del nostro Paese, nonostante i troppi segnali di barbarie che ci incupiscono. I quattro poeti (Concetta Antonelli, Francesco De Santis, Federica Introna e Francesco Saverio Sasso), se non possono al momento proporsi come esemplari di una ‘linea pugliese’ rapportabile a quella ‘lombarda’ che sessant’anni fa Anceschi indicava a partire da alcuni nomi eccellenti, hanno però in comune la felicità della comunicazione poetica (lontana da pseudo-ermetismi o da vetero-avanguardismi) come dialogo permanente, come confidenza consegnata all’irripetibilità delle parole che sgorgano dal cuore e si stampano nel bianco e nero della pagina letteraria.
La silloge che qui si propone si affida all’icona iperletteraria della rosa (su cui fiumi di inchiostro sono stati versati, soprattutto nell’ambito della cosiddetta critica tematica), tuttavia non nella più abusata valenza amorosa o religiosa, bensì come allegoria della memoria, fatta di petali sovrapposti come per salvaguardarne gelosamente le pieghe più intime e insieme aperta verso l’esterno a diffonderne il profumo ammaliante e i colori dalle mille differenti sfumature. Le quaranta liriche, dieci per ogni autore, sono, infatti, un rosarium di ricordi che affiorano nostalgici e struggenti o appassionati e gioiosi, in un accordo ben temperato di voci, in cui pure si possono ascoltare predilezioni e accenti diversi: più sentimentali nell’Antonelli, per la quale la vita è un «destino d’attesa e d’amore»; più devoti a una religione familiare nel caso di De Santis («vieni a carezzare/ questo resto di madre»); più potenti nei testi della Introna, con i suoi «pensieri» dominanti che assediano l’anima e abbattono le autodifese dell’io; infine più allegorici in Sasso, soprattutto nella sua ‘riscrittura’ di Montale.
Mi viene in mente che il grande Mario Luzi, chiudendo ne 1998 il suo ‘Meridiano’, collocava alcune poesie fino ad allora inedite sotto il titolo di Un mazzo di rose, a indicare che la scrittura assolve per il vero poeta anche una funzione d’omaggio al lettore che ne segue i passi e ne ama l’arte. Non sarà un caso che il giorno dell’equinozio di primavera, quando la natura risveglia per l’uomo le sue promesse, si celebra la Giornata della Poesia.

Daniele Maria Pegorari