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lunedì 16 aprile 2012

UNA TAVOLA DI QUERCIA




Cristallizzato nel ricordo è il Tempo,
diverso da quello che fugge come il vento.
Non so quale sia il più importante
se quello che stringo come un’amante
o quello che non riesco ad afferrare
per poter trattener le cose rare
che improvvise accadono fra i giorni
uguali che respiro senza voglia.
Custodisco cose morte, senza senso,
ricordo voci spente, scene mute,
odori del passato, dolore non sopito.
Non c’è muschio che possa coprire
queste crepe profonde, forse oscene.
Il Tempo sospeso della memoria
è una livida tavola di dura quercia
su cui giacciono inchiodati i ricordi,
i sorrisi, gli amori e i lamenti sordi
di una vita passata a inseguire la vita.

mercoledì 5 ottobre 2011

TRE HAIKU




Luci lontane
tremano nella bruma.
Odore di mosto.





Il vento parla
con le nubi veloci.
La luna tace.






Già piove vento
Sulla sabbia bianca.
Prove d’inverno.

domenica 1 maggio 2011

SANTO L'ANGELO DEL MOLOCH di Allen Ginsberg



Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!

Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!

Il mondo è santo! L’anima è santa! La pelle è santa!

Il naso è santo! La lingua e il cazzo e la mano e il buco del culo sono santi!
Tutto è santo! tutti sono santi! dappertutto è santo!tutti i giorni sono nell’eternità! Ognuno è un angelo!

Il pezzente è santo come il serafino! il pazzo è santo come tu mia anima sei santa!

Santo Peter santo Allen santo Solomon santo Lucien

santo Kerouac santo Huncke santo Burroughs

santo Cassady santi gli sconosciuti mendicanti sodomiti

e sofferenti santi gli orrendi angeli umani!

Santa mia madre nel manicomio! Santi i cazzi dei nonni del Kansas!

Santo il sassofono gemente! Santa l’apocalisse del bop!

Santi gli hipsters di jazz & marijuana pace & streppa & tamburi!

Sante le solitudini dei grattacieli e delle strade! Sante le cafeterias piene di milioni!

Santi i misteriosi fiumi di lacrime sotto le strade! Santo il juggernaut senza compagni!

Santo il vasto agnello della borghesia! Santi i pazzi pastori della ribellione!

Chi capisce Los Angeles E’ Los Angeles! Santa New York Santa San Francisco

Santa Peoria e Seattle Santa Parigi Santa Tangeri Santa Mosca Santa Istambul!

Santo tempo nell’eternità santa eternità nel tempo santi gli orologi nello spazio

santa la quarta di-menzione santa la quinta Internazionale santo l’Angelo del Moloch!

Santo il mare santo il deserto santa la ferrovia santa la locomotiva sante le visioni

sante le allucinazioni santi i miracoli santa la pupilla santo l’abisso!

Santo perdono! pietà! carità! fede! Santi! Nostri! corpi! sofferenza! magnanimità!

Santa la soprannaturale ultrabrillante intelligente gentilezza dell’animo!
1955
(tratto da “Jukebox All’idrogeno”, Guanda edizioni)

martedì 26 aprile 2011

LA ROSA DEL RICORDO

Attenti come sempre dovremmo essere ai ‘piccoli miracoli’ della nostra vita d’ogni giorno, non possiamo non meravigliarci dinanzi alla sorpresa di una silloge che non nasce dalla volontà selettiva di un curatore, né dall’esigenza di descrivere la linea programmatica di un movimento, bensì dal vincolo d’amicizia che lega quattro autori della Terra di Bari, uniti da una comune ‘fede’ nel valore nobilitante della poesia e nella possibilità di conservare la dignità civile del nostro Paese, nonostante i troppi segnali di barbarie che ci incupiscono. I quattro poeti (Concetta Antonelli, Francesco De Santis, Federica Introna e Francesco Saverio Sasso), se non possono al momento proporsi come esemplari di una ‘linea pugliese’ rapportabile a quella ‘lombarda’ che sessant’anni fa Anceschi indicava a partire da alcuni nomi eccellenti, hanno però in comune la felicità della comunicazione poetica (lontana da pseudo-ermetismi o da vetero-avanguardismi) come dialogo permanente, come confidenza consegnata all’irripetibilità delle parole che sgorgano dal cuore e si stampano nel bianco e nero della pagina letteraria.
La silloge che qui si propone si affida all’icona iperletteraria della rosa (su cui fiumi di inchiostro sono stati versati, soprattutto nell’ambito della cosiddetta critica tematica), tuttavia non nella più abusata valenza amorosa o religiosa, bensì come allegoria della memoria, fatta di petali sovrapposti come per salvaguardarne gelosamente le pieghe più intime e insieme aperta verso l’esterno a diffonderne il profumo ammaliante e i colori dalle mille differenti sfumature. Le quaranta liriche, dieci per ogni autore, sono, infatti, un rosarium di ricordi che affiorano nostalgici e struggenti o appassionati e gioiosi, in un accordo ben temperato di voci, in cui pure si possono ascoltare predilezioni e accenti diversi: più sentimentali nell’Antonelli, per la quale la vita è un «destino d’attesa e d’amore»; più devoti a una religione familiare nel caso di De Santis («vieni a carezzare/ questo resto di madre»); più potenti nei testi della Introna, con i suoi «pensieri» dominanti che assediano l’anima e abbattono le autodifese dell’io; infine più allegorici in Sasso, soprattutto nella sua ‘riscrittura’ di Montale.
Mi viene in mente che il grande Mario Luzi, chiudendo ne 1998 il suo ‘Meridiano’, collocava alcune poesie fino ad allora inedite sotto il titolo di Un mazzo di rose, a indicare che la scrittura assolve per il vero poeta anche una funzione d’omaggio al lettore che ne segue i passi e ne ama l’arte. Non sarà un caso che il giorno dell’equinozio di primavera, quando la natura risveglia per l’uomo le sue promesse, si celebra la Giornata della Poesia.

Daniele Maria Pegorari

domenica 27 marzo 2011

ANTOLOGIA DI POESIE

DISPONIBILE A RICHIESTA

PRESSO LE LIBRERIE FELTRINELLI

mercoledì 23 marzo 2011

CREPUSCOLI

Alla fine del tempo
Alla fine del senso
porto i miei crepuscoli
densi di dolore
e di desiderio
deposti sul fondo
del dedalo dei ricordi.
Un tappeto di colori sfumati
fitto di nodi stretti intrecciati
su cui stendersi a guardare
quello che non si può vedere.
Vite spezzate, vite incrociate,
volti indistinti, promesse infrante,
lacrime asciugate, carezze abortite.
Frammenti d’umane vicende
destinati a finire silenti
nel buio della notte.
Come un cero ortodosso
li porto all’Ara della vita
nella vana speranza che
la fiamma arda infinita.

mercoledì 2 febbraio 2011

TORRE VILLOTTA

Quante nuvole riesci a vedere?
Come pensieri fuggono lontano
cambiando forma e colore.
Stesi sull’erba al suono del vento
impudico che spoglia i soffioni
respiriamo inermi e inconsapevoli
il dolce profumo dei fiori di mandorlo.
Chi racconterà questo tempo sospeso?
Chi rammenterà questa sacra incoscienza?
Coloro che hanno conservato lo stupore
negli occhi e nel cuore.
Coloro che continuano a guardare le nuvole
col cuore gonfio di tristi tramonti e di ingiusti destini.
Quante nuvole riesci a vedere?
Ora ce n’è una in più, la più grande, la più bella.
Stesi sull’erba aspettiamo di vederla passare.

lunedì 3 maggio 2010

UN POSTO, NON SO DOVE


Un posto, non so dove
Per riavere entusiasmo
Per ridere senza motivo
Per lasciar cadere le lacrime
Per liberare la musica nell’aria
Per respirare la vita.

Un posto per lasciar libera l’ombra
Per lasciar scivolare i passi
Per inseguire le nuvole con lo sguardo
Un posto dove la memoria non faccia soffrire.
Un posto dove il peso degli anni sia più lieve.
Un posto dove l’amore possa essere nudo.

Un posto, non so dove.

sabato 24 aprile 2010

IL RACCONTO DELLE COSE


Le cose intorno a noi parlano
Raccontano di tempi passati
Di gesti e di vite consumate
Laiche reliquie che segnano il passaggio
Contaminate dall’uso e dalla forza vitale
Rappresentano lo scorrere della vita materiale
Oggetti predicato di esistenze sconosciute
Le cose intorno a noi ci parlano mute.

mercoledì 26 agosto 2009

FICHI D'INDIA






Sotto il sole saraceno
Le verdi pale spinose
S’innalzano rompendo i bianchi
Muretti pietrosi.
Urlano verso il cielo arido.
Il verde popolo implora muto
La sacra benedizione della pioggia.
Sotto il sole saraceno
Splendono rossi e arancioni
I frutti scorbutici.
Come uomini offesi dalla vita
Nascondono sotto la spessa corteccia spinosa
Un dolce mistero, profumato di Sud.

mercoledì 27 agosto 2008

POUND


Ciò che sai amare rimane, il resto è scoria
ciò che sai amare non ti sarà strappato
ciò che sai amare è il tuo vero retaggio
il mondo, quale? Il mio, il loro
o di nessuno?
Prima venne la vista, poi diventò palpabile
Eliso, fosse pure in quell’antro d’inferno,
ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio
ciò che tu sai amare non ti sarà strappato.
La formica è centauro nel suo mondo di draghi.
Deponi la tua vanità, non è l’uomo
che ha fatto il coraggio, o l’ordine o la grazia,
deponi la tua vanità, dico, deponila!
La natura t’insegni quale posto ti spetta
per gradi d’invenzione o di vera maestria,
deponi la tua vanità,
Paquin, deponila!
Il casco verde tua eleganza offusca.
“Padroneggia te stesso, e gli altri ti sopporteranno”.
Deponi la tua vanità
sei cane bastonato sotto la grandine
tronfia gazza nel sole delirante,
mezzo nero mezzo bianco
tu non distingui fra ala e coda
giù la tua vanità
spregevole è il tuo odio
che si nutre di falso,
deponi la tua vanità,
sollecito a distruggere, avaro in carità,
deponi la tua vanità
dico, deponila!
Ma avere fatto piuttosto che non fare
questa non è vanità
aver bussato, discretamente,
perché un Blunt ti apra
avere colto dall’aria una tradizione viva
o da un occhio fiero ed esperto l’indomita fiamma
questa non è vanità.
L’errore sta tutto nel non fatto,
sta nella diffidenza che tentenna…
Ezra Pound (da Canti Pisani)

sabato 5 luglio 2008

ANNIVERSARIO


Da sedici anni questo giorno piomba all’improvviso.
All’improvviso torna alla mente lo stupore e il dolore.
Quella che sembrava una ferita rimarginata,
all’improvviso si rivela una piaga imputridita.
La mente agitata rivede nei dettagli quei momenti
in cui il tempo si è fermato inghiottendo una vita.
Insieme ad essa è sparita la mia infanzia, il mio essere figlio,
la certezza di essere consolato, la sicurezza di essere protetto.
Il cielo non basta, la vita non basta, non riesco a dimenticare,
non riesco a ricordare, non riesco ad essere più lo stesso.
Un urlo silenzioso, un pianto asciutto, una bestemmia indicibile.
Questo sono.
Lasciatemi stare, lasciatemi guardare la spaventosa bellezza del mare.
Questo giorno tornerà e se ci sarò avrò le onde negli occhi.

sabato 28 giugno 2008

IL MURO DI MONTALE


Conosco bene quella muraglia
di vecchi tufi incastonati di fossili
e in cima il luccichio di vecchi fondi di bottiglia
aguzzi, taglienti, un tempo trasparenti,
ora opachi, sinistri, consumati dai venti.
La sua ombra nell’orto era una striscia
in cui la frescura segnava il confine
con l’afa meridiana dove solo la biscia
strisciava tra l’erba secca e le spine.
Un muro di sudore cristallizzato,
di braccia forzute e di mani callose,
di silenzio frusciante del corbezzolo,
di profumo penetrante di gelsomino.
Un muro invalicabile, rifugio sicuro,
che forniva riparo al vento violento
della barbarie quotidiana.
Quella muraglia ora è lontana
Ed io piangendo la rammento.


mercoledì 18 giugno 2008

NOTTURNO


La notte cambia la città
lasciando nudi i suoi viali,
calando il silenzio sui tetti,
raffreddando l’asfalto bollente.
La notte fa cantare le fontane,
urlare di rabbia gli ubriachi,
volare sui marciapiedi spietati rapaci.
La notte ascolta i miei passi randagi,
bacia i palazzi e lusinga le architetture,
disegna lo spazio vuoto delle piazze,
dà vita a lattine e cartacce.
La notte illude il pusillanime,
culla la solitudine e il tedio.
In queste ore sospese
anche la Morte si ferma,
l’ho vista seduta sulla scalinata,
leggere le scritte sui muri,
parole d’amore che forse non saranno
mai pronunciate.

sabato 24 maggio 2008

UNA SEDIA VUOTA



All’improvviso, al nostro desco
una sedia è vuota. Per sempre.
Il tempo passa e con esso la speranza
di rivederla occupata. Per sempre.
Il vuoto fisico lotta contro la memoria.
La realtà piega l’affetto più temperato.
L’assenza è come una lama assassina.
Taglia in due l’anima. Per sempre.
Di gesti, di odori, di voce, di amori,
di progetti e di idee, di ricordi e racconti,
rimane una sedia vuota. Un’eco lontana.
Forse le nuvole conoscono il mistero,
ma corrono veloci sopra di noi.
E la sedia vuota ci parla in silenzio
di una sorte ingiusta che come una frusta
ci tortura l’anima.

giovedì 8 maggio 2008

APPUNTAMENTI MANCATI


Appuntamenti mancati
Treni sbagliati
Relazioni finite
Notti infinite.
Il domani si dissolve
in impalpabile incertezza,
come leggera brezza
che asciuga la fronte
incisa dai rimpianti
e invecchiata da odiosi ricordi.
Siamo quello che non vorremmo.
Camminiamo per inerzia su una strada
che non è più quella prescelta.
Il silenzio del mattino,
rotto dai primi cinguettii,
ha in sé la risposta.
Ma il ricordo della notte,
frastornata, umida d’angoscia,
e di desideri mai assopiti
ha calato un velo sulla coscienza.
Così, nudi di noi stessi,
ci adattiamo a vivere
una vita che non ci appartiene.

lunedì 28 aprile 2008

I RICORDI


I ricordi, un inutile infinito,
Ma soli e uniti contro il mare, intatto
In mezzo a rantoli infiniti…


Il mare,
Voce d’una grandezza libera,
Ma innocenza nemica nei ricordi,
Rapido a cancellare le orme dolci
D’un pensiero fedele…


Il mare, le sue blandizie accidiose
Quanto feroci e quanto, quanto attese,
E alla loro agonia,
Presente sempre, rinnovata sempre,
Nel vigile pensiero l’agonia…


I ricordi,
Il riversarsi vano
Di sabbia che si muove
Senza pesare sulla sabbia,
Echi brevi protratti,
Senza voce echi degli addii
A minuti che parvero felici…


GIUSEPPE UNGARETTI

sabato 19 aprile 2008

LA PAROLA


PAROLA che l’amor da la rotonda
bocca mi versa come unguenti e odori;
Parola che da l’odio irrompi fuori
fischiando come sasso da la fionda;


sola virtù che da la carne immonda
alzi gli spirti e inebri di fulgori;
o seme indistruttibile ne’ cuori,
Parola, o cosa mistica e profonda;


ben io so la tua specie e il tuo mistero
e la forza terribile che dentro
porti e la pia soavità che spandi;


ma fossi tu per me fiume tra i grandi
fiumi più grande, e limpido nel centro
de la Vita recassi il mio pensiero!


GABRIELE D’ANNUNZIO

venerdì 7 marzo 2008

DESTINO


L’ho visto in una goccia di pioggia.
Pendula, grassa, smargiassa.
Grigia di cielo e fredda di marzo,
limpida di riflesso lucente.
Mentre guardavo il mio futuro
è gocciolata sul muro colando
ed io bestemmiando ho visto il destino
finir lentamente di cader nel tombino.
Aspetterò di nuovo la pioggia.
Rivedrò la perfida goccia.
Le dirò “hai finito, liquida strega
di menar la mia sorte al tombino,
d’ora in poi sono figlio di Bacco
e la sorte scrutare potrò
nella rossa goccia di vino”.



venerdì 22 febbraio 2008

ECLISSI


Sopra di me la fisica degli astri
narra una storia antichissima.
L’Universo mostra la forza
delle sue regole eterne.
Respiro nel freddo della notte
un cielo infinito di stelle
al suono del silenzio.
Composto, come in una cattedrale.
Commosso, come in un rito ancestrale.
Affronto i segni del destino che si rivelano.
La Luna si ammorba, scolora
come il viso dell’amante rifiutato.
Rimane una luce opaca, rossastra,
come le orbite senza vita
di una creatura abissale spiaggiata.
Cani randagi piangono, chiome d’alberi si scuotono.
Piove dolore dalle lontane galassie.
Un canto muto mi gonfia il petto
mentre si spegne il sole della notte.
Vedo la Fine del Tempo.
Lentamente, la bocca si riempie
di un lamento millenario.