lunedì 16 aprile 2007

IL CAFONE ALL' INFERNO


Una volta morì un cafone, e mentre l’anima viaggiava in cielo, pensò fra sé: “Io credo che, non appena arrivo in paradiso, un posticino per me ci sarà, per riposarmi, perché, secondo mi è stato sempre detto dai preti, chi soffre sulla terra gode in cielo. Non c’è da metterlo in dubbio, ho lavorato per cinquant’anni nelle masserie.” Come arrivò, bussò alla porta del paradiso. San Pietro, da valente guardiano, aprì il finestrino, cacciò il capo fuori e disse: - Chi siete? – Sono un cafone, avvertite l’Eterno Padre -. San Pietro chiuse il finestrino e andò ad avvisare il padrone. Il Padre Eterno disse: - Lo so chi è arrivato, ma avvertitelo che non può entrare -. San Pietro salutò rispettosamente e col suo solito mazzo di chiavi andò a riferire la risposta. Aprì il finestrino e disse: - L’Eterno Padre non vi vuole accettare – e chiuse il finestrino. Il poveretto, avuta la risposta negativa, se ne andò borbottando verso il purgatorio. Per via diceva fra sé: “Quando io non ho meritato il paradiso con tutta la mia miseria e pazienza e lavorare giorno e notte come una bestia, chi lo deve meritare?” Arrivato al purgatorio, picchiò più volte, spinse la porta, ma nessuno rispose, finchè stanco di aspettare, se ne andò via. Ma mentre moveva i primi passi, disse fra sé: “Scommetto che qui c’è una canaglia peggiore della prima! Quelli almeno mi hanno risposto di no!” E se ne andò verso l’inferno. Come arrivò laggiù, bussò alla porta che in un batter d’occhio si spalancò e Belzebù, che funzionava da guardiano, gridò più volte: - Avanti! Avanti, fratello -. Egli entrò tutto risoluto e diceva fra sé: “I preti sulla terra dicono sempre bugie, m’hanno sempre detto che l’inferno è tanto terribile che non si è mai potuto descriverlo. Io ritengo che sono più gentili all’inferno che nel paradiso e nel purgatorio. Quelle parole “Avanti! Avanti fratello” mi hanno commosso”. Entrato nell’inferno, Belzebù lo invitò a sedersi, egli si sedette e diede un’occhiata all’ambiente e disse: “ Ah! Finalmente sono arrivato a un luogo dive si gode”. I diavoli che stavano intorno si guardarono in faccia meravigliati, diedero un’occhiata a Belzebù e si allontanarono dicendo fra loro:”E’ possibile che ci sia un luogo peggiore di questo? Un inferno che ci fa concorrenza? Andiamo a farlo sapere a Lucifero”. Andarono e gli raccontarono il fatto. Anche Satana a sentirlo si meravigliò e disse: “Andatemi a chiamare il portinaio, Belzebù”. In un batter d’occhio si presentarono alla porta e gli dissero: “Vi vuole il capo”. Poi si rivolsero al cafone: “Signore, permettete due minuti…” Il cafone osservò: “ Signori, dimenticate di chiudere la porta! “ Ma essi risposero: “ Non fa niente”. Allora il cafone, rimasto solo, pensava fra se stesso: “Accidenti che differenza passa fra il paradiso, il purgatorio e l’inferno! Al paradiso tengono le porte serrate con un quintale di chiavi di ferro, come un reclusorio, che per aprire un finestrino ci è voluto del tempo. Al purgatorio scommetto che aprono una volta l’anno, tanto è vero che non hanno portinaio….Immagino quella volta che aprono quanto tempo ci vuole! Mentre qui non si curano affatto della porta. Che brava gente!”. In questo momento ritorna Belzebù e lo invita ad andare con lui dal capo. In un minuto secondo si trovarono in presenza di Satana. Satana lo guardò da capo a piedi e poi disse: “ Vi piace questo luogo?” “Moltissimo, signore. Se sapevo che era così comodo sarei venuto più presto”. “Di dove sei?”, “Della Puglia, signore. Di nascita sono di un paese a confine con la Basilicata,ma come vita l’ho passata a lavorare nelle masserie del Tavoliere”. “E dove si trova il paese che hai tanto disprezzato?” “Nel Tavoliere delle Puglie, signore. Io sono analfabeta, non capisco né geografia né punti cardinali”. “Tu, Belzebù, va con costui a vedere questo Tavoliere”. “Signore, comandatemi dove volete; ma lì non ci voglio più ritornare”. Rivolto a Belzebù disse: “ portatelo a dormire. Buona notte e buon riposo a tutti”. Quando il cafone restò solo, pensava fra se stesso: “Chi mai poteva credere che all’inferno avrei avuto tanti trattamenti come un lord, solo col misero guadagno di lasciare andare l’anima mia per pochi minuti a consumarsi nella fornace ardente? In terra invece i signori agricoltori per cinquant’anni se ne sono serviti, del mio corpo, senza esser mai contenti del lavoro che ho fatto e senza dire nemmeno una volta grazie, del lavoro straordinario che facevo e che non mi spettava”. Così si addormentò. Satana disse ad un diavolo: “Vestiti da contadino e va nel Tavoliere a cercar lavoro in una masseria, per vedere se è vero tutto ciò che ha detto il cafone”. Detto fatto, vestito da contadino va a cercar lavoro. Dopo due giorni appena di lavoro, senza nemmeno chiedere il suo conto, torna all’inferno tutto abbattuto, con la testa rotta insanguinata, le ali mezzo sconquassate e spennate, il viso, le mani e i piedi scottati, faceva pietà. Come Satana lo vide in quelle condizioni, domandò il perché. Il diavolo gli narrò tutto: “Come mi avete ordinato ho fatto, sono andato a una masseria, ho chiesto lavoro e non mi è stato negato. La mattina, insieme con gli altri, ci siamo alzati due ore dopo mezzanotte. In pochi minuti abbiamo mangiato pane nero senza sale, cotto nell’acqua con un po’ di olio e sale. Mentre stavo mangiando, due lavoratori si sono messi a litigare a chi per primo doveva occupare il buco della fornace dove cucinare. Dalle chiacchiere passarono ai fatti, uno di essi per sbaglio, invece di colpire l’avversario, con una lunga mazza di ferro arroventato colpisce me alla testa. Alle tre e mezzo siamo andati a lavorare, con la pioggia e col freddo, abbiamo lavorato tutta la giornata. Solo mezz’ora di riposo a mezzogiorno, quando abbiamo cambiato i buoi e mangiato un pezzo di pane. Finalmente la sera, due ore dopo il tramonto, si è sospeso il lavoro. Tornati alla masseria, anzitutto abbiamo messo a posto gli animali e dopo ognuno, chi ne aveva bisogno, si è recato a prendere il pane dal distributore, ma anche lì per averlo si sostengono vere battaglie, col risultato di molti feriti. La prima sera non ci capivo niente, mi trovai non so come nella zuffa, mi sconquassarono le ali e il pane non lo potetti avere. La seconda sera per fortuna ebbi il pane, mi recai in cucina per vedere il sistema di cucinare ma non ho fatto a tempo. Mentre stavo per entrare si accese una zuffa; senza capire da dove venne, mi vedo addosso una caldaia di acqua bollente e mi scottarono mani, piedi e viso. Stavo per pararmi la testa ferita, quando ebbi un altro colpo proprio in testa. Questa è la millesima parte dei miei patimenti. Il cafone ha ragione di tutto quello che ha detto”.
Allora Lucifero, sentendo queste cose, chiamò a sé tutti i diavoli e disse loro:” Fratelli, come ha potuto constatare coi suoi occhi questo nostro fratello che viene di lassù, noi stiamo per essere sopraffatti da un altro inferno che ci fa concorrenza. Dunque, per conservare la nostra sovranità, prendete tutti gli attrezzi e andiamo a stabilirci nel Tavoliere delle Puglie”.
(Liberamente tratto da Tommaso Fiore)

2 commenti:

Dyo ha detto...

A parte tutto, i preti raccontano sempre un mare di balle, tra le quali c'è quella che l'inferno sia il luogo dell'espiazione. Ma è qui che si espia, o che si gode. Ricompense o castighi oltre la vita non ce ne saranno.
Notte, Saverio.

l'invisibilenelvisibile ha detto...

E' la grande "questione meridionale" che si complica soprattutto per le disparità sociali e politiche tra nord e sud Italia.Cosa c'è di peggio dell'inferno?? sicuramente un'altro inferno stavolta creato dall'uomo nell'intento di risolvere problemi ma di fatto così non è.Lo storico Altamurano Tommaso Fiore ne sarà testimone di questa grande battaglia.