martedì 15 novembre 2011

LO SQUINTETTO




Ogni essere umano custodisce dentro di sé il proprio universo musicale fatto di esperienze di ascolto filtrate dalla propria sensibilità e da nessi metamusicali che affondano nella storia personale. Un mondo di suoni e di musica assolutamente privato e strettamente legato alle esperienze di vita, alla personale affettività, al tempo della musica che sospende lo scorrere del tempo dell’esistenza.
Questo bagaglio musicale che ognuno di noi si porta dentro, e che non cessa mai di arricchirsi e di appesantirsi, è il punto di partenza del percorso che Lo Squintetto offre al proprio pubblico.
I cinque musicisti analizzano i propri universi musicali per estrarre quel “minimo comune denominatore” che sarà la base del loro repertorio; un repertorio estremamente variegato nei colori ma anche formalmente omogeneo, dotato di una fluidità a volte sorprendente. Per fare tutto ciò non è sufficiente attingere a piene mani fra i generi e saper esercitare gli stili; è necessario prima di tutto un approccio rigoroso che si fonda sul “cimento”, sulla prova, sulla sfida, dove la prassi musicale passa attraverso il controllo assoluto dello strumento e dove il materiale musicale eterogeneo viene impiegato per la costruzione di una nuova architettura, una sorta di “opus incertum”. La “malta” che adopera Lo Squintetto per unire i diversi materiali è l’ironia, la gag verbale e mimica, il gioco. Giocare, to play, che in inglese significa anche suonare e recitare, è un mettersi alla prova, esplorare le proprie capacità, cercare i propri limiti. Ma è anche abbattere il muro invisibile che spesso divide il palcoscenico dagli spettatori, è annullare quella distanza tra artista e pubblico tanto cara all’estetica tardo romantica, è distruggere l’iconografia novecentesca (Adorno docet) dell’artista intellettuale comprensibile solo da parte di pochi “sacerdoti” dell’Arte.

Lo Squintetto fa un racconto giullaresco della musica creando un’atmosfera circense nella quale spiccano gustose citazioni che rimandano ai fratelli Marx, a Oliver & Hardy, a Totò, a una vena goliardica spietatamente autoironica. In questo magma caleidoscopico fluisce costante l’amore per tutta la musica, intesa come veicolo di comunicazione universale al di là dei generi e delle culture.
Non è musica da ridere, è musica che lascia un segno: un guardarsi in uno specchio col sorriso sulle labbra.


sabato 5 novembre 2011

IO SONO UN AUTARCHICO



Il titolo del primo, celebre, film di Nanni Moretti mi è venuto in mente leggendo l’appello che un normale cittadino italiano, al secolo Giuliano Melani da Pistoia, di professione intermediatore finanziario, ha fatto a tutti gli italiani comprando a proprie spese una pagina del Corriere Della Sera. Per Melani il modo più efficace, più giusto e più rapido per imboccare l’uscita del tenebroso tunnel finanziario nel quale ci troviamo è quello di assumere direttamente e personalmente il debito pubblico. Se il popolo italiano acquistasse, al rendimento più basso, titoli di stato non solo farebbe un buon affare (nel senso che non perderebbe i propri risparmi) ma sottrarrebbe all’avida finanza speculatrice ogni possibilità di arricchirsi ai danni dell’economia nazionale. L’idea di Melani non è affatto stupida né utopica perché non solo è tecnicamente possibile ma soprattutto perché si basa su un presupposto giustissimo: preso atto che la politica nazionale e internazionale si è venduta alla Finanza sacrificando ogni principio di democrazia e di autodeterminazione dei popoli, non resta che fare in modo che le redini dell’economia ritornino nelle mani di coloro che lavorano e producono.
Aggiungo che se fossimo in grado di attivare anche altri tipi di comportamenti tipo consumo orientato verso beni e prodotti italiani, meglio ancora se locali, se ritirassimo i nostri soldi dalle grandi banche speculatrici per metterli nelle banche di credito cooperativo e in quelle etiche, se abbandonassimo il ricorso alle società finanziarie e l’uso delle carte di credito, le cose andrebbero molto meglio.
C’è un altro elemento che ha messo in evidenza la proposta di Giuliano Melani ed ha a che fare con l’atteggiamento dei ricchi e degli industriali italiani di fronte alla grande crisi: gli ultimatum della presidentessa di Confindustria, Emma Marcegaglia, e/o gli anatemi mediatici di Diego Della Valle non sono mai andati oltre la dichiarazione di sfiducia e di disgusto verso il governo e la classe politica in generale. Mai una proposta concreta. Eppure dovrebbero essere proprio loro, i ricchi, ad essere i primi ad investire nella fiducia verso il paese. Lo stesso Berlusconi se la smettesse di pagare puttane e lenoni e si mettesse ad acquistare titoli di stato farebbe una figura sicuramente migliore.
La proposta del simpatico concittadino di Pistoia non si pone questo problema perché alla base c’è la consapevolezza che i ricchi non comprano Bot e Cct, preferiscono i paradisi fiscali dai quali partecipano anonimamente alla bassa macelleria finanziaria che sta squartando la nostra economia. Giuliano Melani pensa che sia molto più facile che un italiano qualsiasi con un modesto conto in banca decida di investire un migliao di euro nel futuro comune che non un Paperon de Paperoni italiano faccia la stessa cosa. Non solo, Melani va oltre. Egli pensa che un cittadino che si è fatto carico di provare a risolvere il problema avrà un atteggiamento diverso di fronte alla politica. Significa non lasciare più che sia un imbecille o un avanzo di galera ad andare in parlamento. Significa non tollerare più oltre che ci siano inetti privilegiati e superpagati per lustrare il culo del premier di turno. Significa rifiutare l’idea che la politica sia il braccio della finanza.
La “modesta proposta” di Giuliano Melani prende le mosse dalla presa d’atto che se da un lato vi è un governo da repubblica delle banane, dall’altro c’è un’opposizione balbettante, incapace di dire la verità: l’Unione Europea è un’oligarchia al soldo delle multinazionali con l’unico scopo di normalizzare il consumo e di ottimizzare i profitti. La Banca Europea segue la linea della Banca Mondiale, ovvero indebitare gli stati per ricattare la politica.
In quest’ottica l’idea di riprendersi il debito sovrano diventa una sfida che va oltre i confini nazionali e riguarda tutti i popoli che vogliono autogovernarsi.
La famosa lettera della Bce al governo italiano né è la prova evidente. Nessuno ha gridato allo scandalo, nessuno ha parlato di ingerenza indebita nella politica di uno stato sovrano. Come agnelloni castrati in uno scannatoio, i politici italiani hanno diligentemente offerto la gola al coltello. Così come, più recentemente, il primo ministro greco, Papandreu, reo di voler consultare il popolo con un referendum, si è lasciato allegramente sodomizzare senza vaselina dalla coppia Merkel-Sarkozy. Ma se Papandreu ora ha qualche problema a star seduto, il popolo greco avrà seri problemi di sopravvivenza.
La proposta di Melani richiama all’orgoglio nazionale, dote questa molto poco diffusa in Italia. Sarà piuttosto difficile che prenda piede una nuova deriva autarchica. Ma se non saremo autarchici non saremo neanche fessi. Attenzione, i ceffoni italiani fanno male…molto male.

giovedì 20 ottobre 2011

MORTE DI UN TIRANNO





Raramente i tiranni muoiono nel proprio letto. È successo a Stalin, a Franco, molto probabilmente accadrà a Castro, ma si tratta di una minoranza. Quasi sempre i tiranni muoiono in modo cruento, così come cruenta è stata la loro parabola per raggiungere il potere e per poi mantenerlo.
Qualcuno potrebbe dire che è giusto così, che quelle belve non meritavano altro che la stessa fine che hanno inflitto a intere popolazioni. L’orgia del potere che ha prodotto simili esseri umani non può che concludersi implodendo e risucchiando al suo interno tutta la malvagità che ha imperversato durante il periodo in cui ha dominato sulle vite di popoli inermi.
Le cose non stanno così. Non si può liquidare velocemente un pezzo di storia macchiato di sangue innocente in cui ha imperato la menzogna, la violenza, lo sfruttamento, la negazione sistematica di ogni diritto fondamentale. I tiranni non spuntano come funghi, essi non sono un incidente della storia. I tiranni sono il prodotto di complessi giochi di potere mossi da una ferrea logica di sfruttamento economico e di equilibrio politico internazionale. I tiranni sono come i macellai: fanno il lavoro sporco, uccidono, scuoiano, squartano e tagliano affinché un’elegante signora o un incravattato cliente possa soddisfare la propria fame senza dover scannare ed imbrattarsi di sangue.
La tirannia è una sorta di concessione che viene fatta per “normalizzare” i rapporti sociali, per “stabilizzare” il quadro politico, per “incentivare” l’economia. Questo è il prezzo che i tiranni devono pagare per restare al potere indisturbati. In realtà sono pochissimi coloro che, fino ad ora, sono riusciti nel loro compito (uno di questi è stato Francisco Franco) poiché il delirio del potere è peggio di un cancro incurabile e, col tempo, i tiranni finiscono con l’oltrepassare ogni misura diventando un imbarazzante problema anche per coloro che li hanno appoggiati.
La morte di Muhammar Gheddafi (pare in un conflitto a fuoco) non è un evento positivo. Ancora una volta la comunità internazionale non potrà processarlo per i suoi crimini né potrà sperare di sapere di quanti e di quali appoggi ha goduto il dittatore libico, visto che mai nessun politico o grande imprenditore ha mai pubblicamente mostrato di avere cordiali rapporti col Rais, eccezion fatta per quel fesso di Berlusconi.
È morto un dittatore sanguinario, un fanatico terrorista, un uomo malvagio e arrogante, con lui scompaiono i suoi segreti. Chi lo ha segretamente aiutato, chi ha lautamente guadagnato dal sangue e dalla morte che Gheddafi ha seminato in questi lunghi anni, ha tirato un lungo sospiro di sollievo.
Si sta preparando la rissa fra le potenze occidentali che vogliono mettere le mani su tesori del sottosuolo libico, per il popolo che ha combattuto per la liberazione dalla tirannia si prospetta un conflitto ben più importante ed impegnativo: non lasciarsi derubare da coloro che, in passato, hanno sostenuto la barbarie che li ha oppressi per oltre quarant’anni.

mercoledì 5 ottobre 2011

TRE HAIKU




Luci lontane
tremano nella bruma.
Odore di mosto.





Il vento parla
con le nubi veloci.
La luna tace.






Già piove vento
Sulla sabbia bianca.
Prove d’inverno.

martedì 4 ottobre 2011

AMANDA & RAFFAELE: UNA PULP FICTION




Ieri sera la Corte d’Appello di Perugia ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di omicidio di Meredith Kircher; in primo grado i due giovani erano stati condannati rispettivamente a 26 e 25 anni di carcere, la sentenza assolutoria è giunta dopo quattro anni di detenzione in galera.
All’indomani della scoperta dell’efferato delitto e dell’arresto dei due giovani, ebbi modo di scrivere su questo blog alcune considerazioni poiché ho conosciuto molto bene Raffaele Sollecito e l’ho frequentato per lungo tempo. Al di là dei fatti e dei fumosi indizi prevaleva in me la certezza della conoscenza della persona, della sua storia personale e familiare e della sua interiorità.
Oggi però, la riflessione più urgente e necessaria riguarda la giustizia italiana, l’ordinamento detentivo e l’organizzazione e la gestione delle indagini. Senza cadere nella facile retorica influenzata dai copiosi telefilms statunitensi che raccontano dell’ineffabile precisione delle attuali tecniche scientifiche di indagine criminale, emerge naturalmente la domanda sull’efficienza e sulla serietà di coloro che sono addetti alla raccolta di prove e di indizi presenti sulla scena del delitto. Così come sorge spontanea la domanda sulla effettiva competenza e necessaria imparzialità di chi dirige le indagini e gestisce la macchina investigativa. L’impressione è che la tanto decantata professionalità di chi ha il dovere di scovare assassini e criminali sia un grande bluff…La sensazione è che il nostro ordinamento non sia preparato a gestire e a investigare su fatti criminosi che impongono precisi protocolli di raccolta degli indizi nonché una forma mentis capace di mettere da parte le impressioni e le opinioni personali nel nome di una indispensabile imparzialità.
Nel nostro paese la logica imperante è quella che vede il magistrato inquirente (sulle cui capacità ed esperienze investigative non c’è alcuna garanzia) formulare un teorema accusatorio, non un’ipotesi, e agire in modo da usare gli indizi come prove del suddetto teorema senza alcun timore di fare delle forzature, senza preoccuparsi di “piegare” la realtà alle proprie convinzioni. Questo atteggiamento parte da lontano e affonda le radici in una concezione metafisica della magistratura dove la figura del giudice sacerdos (unico vero tramite fra gli uomini e la Legge, divinità laica) ha contaminato in modo irreversibile anche chi giudice non è, come i magistrati inquirenti e sorveglianti. Questo delirio d’onnipotenza deve molto alla politica; la politica ha lasciato molto spazio d’azione attraverso grandi vuoti legislativi e/o attraverso leggi molto spesso rivelatesi incostituzionali, per non parlare della politica alleata alla criminalità organizzata e della politica colta troppo spesso in flagranza di reato. Una società che per molti aspetti nega i diritti fondamentali dell’uomo (vedi la condizione delle carceri, vedi la condizione dei disabili e degli immigrati, vedi il diritto allo studio calpestato dal numero chiuso, vedi la negazione a disporre del proprio corpo, vedi le imposte vessatorie e le inspiegabili esenzioni, vedi i privilegi odiosi di chi sta al potere) trasforma il concetto di servizio alla società in quello di unico e infallibile ordinatore della vita degli uomini.
Chi restituirà quattro anni di vita d’inferno a Raffaele ed Amanda? Chi ha massacrato Meredith e perchè? L’unica persona certamente coinvolta in questa orribile storia non parla e fra pochi anni sarà libero. Il fatto più triste è che ci sono troppe storie che avranno lo stesso epilogo. Delitti impuniti per i quali nessuno pagherà. Incompetenze, vessazioni, errori madornali, violazioni dei diritti umani per i quali nessuno pagherà.
La sentenza di assoluzione per Raffaele ed Amanda non è un segno di giustizia giusta; arriva troppo tardi e dopo aver devastato due giovani vite. Essa rappresenta non solo il fallimento della giustizia italiana ma soprattutto sancisce il fatto che lo stato non tutela il cittadino, lo stato è una macchina tritacarne.
Caro Raffaele, tuo malgrado sei stato uno dei protagonisti di una delle peggiori fiction mai prodotte in Italia. È ora che tu riprenda la tua vita ma non lasciare che tutto cada nel silenzio: urla la tua rabbia, non smettere mai di raccontare la tua storia: tu non sei stato vittima di un errore giudiziario, tu sei stato vittima di un sistema infame.

venerdì 20 maggio 2011

LA CONFERENZA






“E’ una iattura! Roba da non crederci! E come si fa?...Come si fa??”. Le imprecazioni rimbombavano pesantemente nella sala deserta seguendo il vortice sonoro causato dal vagare continuo di quella voce rauca attraverso le sedie vuote.
“Presidente!.....Presidente!...Si calmi, la prego…forse c’è un modo per risolvere il problema e salvare l’immagine della nostra associazione…”, la voce rauca del presidente smise di ondeggiare e seguì dritta la direzione dei suoi occhi infuocati “Ma che dice segretario! Cosa vuole aggiustare? Cosa vuole risolvere? Il professor Petazzi è morto! Morto!!..Proprio la sera prima dell’inaugurazione della nuova sede della nostra associazione…Sei mesi ci sono voluti per riuscire ad assicurarci una conferenza del mitico Petazzi…il più eminente scienziato del nostro paese…un candidato al premio Nobel!! E ora? Tutto alle ortiche…tutto cancellato!”.
“Scusi presidente…potremmo ugualmente andare avanti se solo fossimo disposti a modificare il programma…, mi spiego meglio: trasformiamo la conferenza di Petazzi in una sua commemorazione…” La voce rauca cominciò ad assottigliarsi:”Commemorazione….lei dice di commemorare l’insigne scienziato…sì…sì…e poi sarebbe l’unica strada percorribile se non vogliamo cancellare la manifestazione….ma…come farla questa commemorazione…lei che dice?”
“Di solito le commemorazioni le fanno alte personalità o colleghi o amici del defunto…a questo punto lei mi dirà che non abbiamo la possibilità materiale di contattare nessuno di questo genere di persone…” , il presidente fece due passi e fu a pochi centimetri dal segretario:” Esatto! Siamo nel caos più totale…avanti…dica.. dica!”. Il segretario indietreggiò di un passo:”Ecco…potremmo dividere la manifestazione in due parti: nella prima, lei, in qualità di presidente, esporrà la triste improvvisa circostanza e ricorderà la biografia del professore…poi, nella seconda parte ci vorrebbe qualcuno che faccia una prolusione più generica sulla finitezza dell’essere umano.. sulla caducità della vita…una roba del genere..”. “Magari un teologo! Sì certo…l’arcivescovo è persona sempre disponibile…”, “E no presidente…l’arcivescovo non può…non dimentichi che il compianto professor Petazzi era un ateo militante, un uomo che si è sempre battuto per la laicità dello stato…”
“Caspita è vero! Che gaffe tremenda stavo per fare! ….Ma allora siamo nei guai…e dove lo troviamo il conferenziere che fa per noi? …Dove?” . Il segretario fece un passo in avanti e si piegò verso l’orecchio del presidente:” Lo troviamo nel nostro Liceo…il professor Giordano Bruno Passalacqua ….” . Il presidente sgranò gli occhi:”Passalacqua? Quel vecchio citrullo?” “Certo! E’ professore di filosofia, ha scritto dei libri e soprattutto è un ateo convinto”. Il presidente si lasciò andare pesantemente su una sedia:” Va bene.. non ci sono alternative.. e non c’è manco il tempo di studiare per bene la cosa…per favore gli parli lei…mi raccomando….”, il segretario sussurrò:”veramente dovrebbe essere il presidente a rivolgere l’invito…”, il presidente lo fissò in silenzio e poi sbottò:”adesso vuol farmi credere di non sapere niente! Tutto il paese conosce la storia…tutti sanno che qualche anno fa quel vecchio citrullo bocciò mio figlio ingiustamente…costringendomi a ricorrere al Provveditore..” “ il Provveditore non è il suo migliore amico? Sbaglio o passate le vacanze sempre insieme?” “No.. non sbaglia…ma questo non vuol dir nulla…gli ispettori rilevarono gravi irregolarità e il mio ragazzo fu promosso”, “e il professore che fece?” “Nulla…non un gesto…non una parola..” “ma allora di che si preoccupa? “ “non mi preoccupo…vado a spedirgli un telegramma di invito…fra qualche ora lo contatti lei per sapere la risposta e prendere eventuali accordi”.
La sera era calata da poco, la sala era gremita di gente, molto più del previsto. Il presidente era compiaciuto ma una piccola perplessità ogni tanto si manifestava di fronte ad una adunata del genere, più che ad una conferenza aveva la sensazione di trovarsi allo stadio il giorno del derby.
L’ora scoccò e il presidente incominciò il suo discorso. Era molto nervoso, non per la circostanza ma per l’assenza del professore….Quel maledetto non si vedeva e lui non sapeva che fare una volta terminato il discorso. Riuscì a tergiversare per una quarantina di minuti, poi terminò. L’applauso durò parecchio, ma la confusione non impedì a Giordano Bruno Passalacqua di attraversare la sala e di raggiungere il posto dell’oratore. Il presidente, sorridente ma provato, si lanciò in una presentazione più che lusinghiera, dipingendo il professore come una gloria locale, come un fulgido esempio di grande onestà e straordinaria competenza.
Il professore fissava la sala in silenzio, il pubblico pendeva dalle sue labbra, immobile.
Fece un respiro profondo, si umettò le labbra con la lingua, alzò la mano destra all’altezza della spalla e cominciò a parlare.
“ Ci sono cose ben peggiori della morte. La pasta al forno con la mortadella, vino e gassosa, lo shampoo alla mela verde, le ascelle non lavate, una serata con una donna separata da poco, una serata con un uomo appena piantato dalla sua donna. Eppure la morte è l’unica cosa che fa veramente tremare i polsi a gente estremamente risoluta come i venditori di enciclopedie o i dentisti. In realtà nessuno sa cosa realmente essa sia, così come nessuno può dire di sapere cosa esattamente ci aspetta dopo di essa. Al di là delle teorie filosofiche e delle convinzioni religiose, in realtà non se ne sa proprio un bel niente. Quello che sappiamo è cosa succede nella vita dopo che la morte è passata per fare un po’ di spazio: non succede nulla; c’è il dolore dei sopravvissuti, la soddisfazione degli addetti ai servizi funebri, la preoccupazione di ereditare qualche debito, un generico senso di costernazione espresso più che altro per scopi scaramantici. La vita continua, the show must go on. Con l’ultimo atto della tumulazione della salma si archivia definitivamente una vita, ne rimarrà traccia negli archivi anagrafici e in eventuali opere dell’ingegno, giacchè la traccia nella memoria dei congiunti è destinata anch’essa a scomparire.
Ricapitolando, la questione sta in questi termini: temiamo la morte ma non ne sappiamo nulla. Non è solo legittimo timore di patire dolore e sofferenze, è proprio paura dell’ignoto, paura di dover lasciare ciò che si conosce per una cosa che non si conosce, certi che mai nessuno la conoscerà. E’ questo il motivo per cui l’uomo non vuole morire e fa di tutto per procrastinare questo ineluttabile evento. La cosa paradossale è che questo voler vivere il più possibile si verifica a tutte le latitudini, un giovane sudamericano che sopravvive faticando come una bestia per dieci ore al giorno in una miniera a cielo aperto ha la stessa determinazione di un impiegato della Provincia, noto luogo ameno in cui si pratica allegramente otium et negotium fra cappuccini e cornetti. Poi ci sono i poeti, coloro che sostengono che si può vivere la vita ma essere interiormente, affettivamente e culturalmente, morti. Ma questa è un’altra storia . Non c’è molto da fare e men che meno da dire su questa faccenda, la cosa più intelligente da fare è aspettare, stare a vedere che succede, essere curiosi ma calmi; la calma è fondamentale, non bisogna avere alcuna fretta. Anche quando avremo la sensazione che il nostro tempo stia per finire dobbiamo restare calmi, la fretta non serve a niente, se la nostra ora è arrivata scopriremo l’arcano, se invece è stato un errore ricordatevi la prossima volta che non è opportuno mangiare due chili di cozze crude e tuffarsi in mare per digerire meglio.”
Mentre il pubblico applaudiva pazzamente abbandonandosi ad eccessi come fischi e risate sguaiate, il professor Giordano Bruno Passalacqua raccolse le sue carte, scese dal podio e guadagnò velocemente l’uscita.
Il presidente rimase immobile, il colorito terreo, un grumo di saliva nell’angolo della bocca semiaperta, tradivano uno stato di shock. Il segretario s’alzò di scatto anticipando il preside del liceo che si stava avvicinando al presidente:”Grazie preside, grazie per essere intervenuto..” e quello, inforcando il cappello, ”lo dica al presidente…io lo sapevo…quella storia dell’ispezione di qualche anno fa…non poteva finire così. E’ venuto tutto il paese ad assistere alla sua vendetta…e che vendetta! A lei poi voglio dare un consiglio disinteressato: si dimetta…qualcuno potrebbe ricordarsi di lei…il figlio della vedova di guerra che fu la governante di Passalacqua per vent’anni… arrivederla ”.

domenica 1 maggio 2011

SANTO L'ANGELO DEL MOLOCH di Allen Ginsberg



Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!

Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo! Santo!

Il mondo è santo! L’anima è santa! La pelle è santa!

Il naso è santo! La lingua e il cazzo e la mano e il buco del culo sono santi!
Tutto è santo! tutti sono santi! dappertutto è santo!tutti i giorni sono nell’eternità! Ognuno è un angelo!

Il pezzente è santo come il serafino! il pazzo è santo come tu mia anima sei santa!

Santo Peter santo Allen santo Solomon santo Lucien

santo Kerouac santo Huncke santo Burroughs

santo Cassady santi gli sconosciuti mendicanti sodomiti

e sofferenti santi gli orrendi angeli umani!

Santa mia madre nel manicomio! Santi i cazzi dei nonni del Kansas!

Santo il sassofono gemente! Santa l’apocalisse del bop!

Santi gli hipsters di jazz & marijuana pace & streppa & tamburi!

Sante le solitudini dei grattacieli e delle strade! Sante le cafeterias piene di milioni!

Santi i misteriosi fiumi di lacrime sotto le strade! Santo il juggernaut senza compagni!

Santo il vasto agnello della borghesia! Santi i pazzi pastori della ribellione!

Chi capisce Los Angeles E’ Los Angeles! Santa New York Santa San Francisco

Santa Peoria e Seattle Santa Parigi Santa Tangeri Santa Mosca Santa Istambul!

Santo tempo nell’eternità santa eternità nel tempo santi gli orologi nello spazio

santa la quarta di-menzione santa la quinta Internazionale santo l’Angelo del Moloch!

Santo il mare santo il deserto santa la ferrovia santa la locomotiva sante le visioni

sante le allucinazioni santi i miracoli santa la pupilla santo l’abisso!

Santo perdono! pietà! carità! fede! Santi! Nostri! corpi! sofferenza! magnanimità!

Santa la soprannaturale ultrabrillante intelligente gentilezza dell’animo!
1955
(tratto da “Jukebox All’idrogeno”, Guanda edizioni)

martedì 26 aprile 2011

LA ROSA DEL RICORDO

Attenti come sempre dovremmo essere ai ‘piccoli miracoli’ della nostra vita d’ogni giorno, non possiamo non meravigliarci dinanzi alla sorpresa di una silloge che non nasce dalla volontà selettiva di un curatore, né dall’esigenza di descrivere la linea programmatica di un movimento, bensì dal vincolo d’amicizia che lega quattro autori della Terra di Bari, uniti da una comune ‘fede’ nel valore nobilitante della poesia e nella possibilità di conservare la dignità civile del nostro Paese, nonostante i troppi segnali di barbarie che ci incupiscono. I quattro poeti (Concetta Antonelli, Francesco De Santis, Federica Introna e Francesco Saverio Sasso), se non possono al momento proporsi come esemplari di una ‘linea pugliese’ rapportabile a quella ‘lombarda’ che sessant’anni fa Anceschi indicava a partire da alcuni nomi eccellenti, hanno però in comune la felicità della comunicazione poetica (lontana da pseudo-ermetismi o da vetero-avanguardismi) come dialogo permanente, come confidenza consegnata all’irripetibilità delle parole che sgorgano dal cuore e si stampano nel bianco e nero della pagina letteraria.
La silloge che qui si propone si affida all’icona iperletteraria della rosa (su cui fiumi di inchiostro sono stati versati, soprattutto nell’ambito della cosiddetta critica tematica), tuttavia non nella più abusata valenza amorosa o religiosa, bensì come allegoria della memoria, fatta di petali sovrapposti come per salvaguardarne gelosamente le pieghe più intime e insieme aperta verso l’esterno a diffonderne il profumo ammaliante e i colori dalle mille differenti sfumature. Le quaranta liriche, dieci per ogni autore, sono, infatti, un rosarium di ricordi che affiorano nostalgici e struggenti o appassionati e gioiosi, in un accordo ben temperato di voci, in cui pure si possono ascoltare predilezioni e accenti diversi: più sentimentali nell’Antonelli, per la quale la vita è un «destino d’attesa e d’amore»; più devoti a una religione familiare nel caso di De Santis («vieni a carezzare/ questo resto di madre»); più potenti nei testi della Introna, con i suoi «pensieri» dominanti che assediano l’anima e abbattono le autodifese dell’io; infine più allegorici in Sasso, soprattutto nella sua ‘riscrittura’ di Montale.
Mi viene in mente che il grande Mario Luzi, chiudendo ne 1998 il suo ‘Meridiano’, collocava alcune poesie fino ad allora inedite sotto il titolo di Un mazzo di rose, a indicare che la scrittura assolve per il vero poeta anche una funzione d’omaggio al lettore che ne segue i passi e ne ama l’arte. Non sarà un caso che il giorno dell’equinozio di primavera, quando la natura risveglia per l’uomo le sue promesse, si celebra la Giornata della Poesia.

Daniele Maria Pegorari

domenica 27 marzo 2011

ANTOLOGIA DI POESIE

DISPONIBILE A RICHIESTA

PRESSO LE LIBRERIE FELTRINELLI

mercoledì 23 marzo 2011

CREPUSCOLI

Alla fine del tempo
Alla fine del senso
porto i miei crepuscoli
densi di dolore
e di desiderio
deposti sul fondo
del dedalo dei ricordi.
Un tappeto di colori sfumati
fitto di nodi stretti intrecciati
su cui stendersi a guardare
quello che non si può vedere.
Vite spezzate, vite incrociate,
volti indistinti, promesse infrante,
lacrime asciugate, carezze abortite.
Frammenti d’umane vicende
destinati a finire silenti
nel buio della notte.
Come un cero ortodosso
li porto all’Ara della vita
nella vana speranza che
la fiamma arda infinita.

lunedì 21 marzo 2011

mercoledì 2 febbraio 2011

TORRE VILLOTTA

Quante nuvole riesci a vedere?
Come pensieri fuggono lontano
cambiando forma e colore.
Stesi sull’erba al suono del vento
impudico che spoglia i soffioni
respiriamo inermi e inconsapevoli
il dolce profumo dei fiori di mandorlo.
Chi racconterà questo tempo sospeso?
Chi rammenterà questa sacra incoscienza?
Coloro che hanno conservato lo stupore
negli occhi e nel cuore.
Coloro che continuano a guardare le nuvole
col cuore gonfio di tristi tramonti e di ingiusti destini.
Quante nuvole riesci a vedere?
Ora ce n’è una in più, la più grande, la più bella.
Stesi sull’erba aspettiamo di vederla passare.