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giovedì 11 marzo 2010

TRENT'ANNI DOPO


Grazie a Facebook ho potuto reincontrare dei vecchi e cari amici. Sono passati trent’anni da quando, nel 1980, ho condiviso con loro i mesi, la noia, l’ineluttabile coercizione e l’opprimente atmosfera di totale imbecillità del servizio militare. Eppure quell’esperienza ha prodotto qualcosa di misteriosamente positivo: un sodalizio umano che il tempo non è riuscito a cancellare. Anzi, la sensazione è che il tempo abbia “fossilizzato” quell’affetto, quella solidarietà, quella comunanza di idee e quel senso umoristico che, in qualche modo, ci hanno salvato dal condizionamento e dalla sofferenza esistenziale che un ambiente gretto e autoritario, come la caserma, cerca violentemente di imporre. Le strade diverse e le varie sfide della vita che ognuno di noi ha affrontato in tutti questi anni non hanno scalfito minimamente quella parte profonda di noi che abbiamo “messo in comune” per un periodo neanche tanto lungo della nostra giovinezza. La sensazione, bella e stupefacente, è stata quella di riprendere un discorso dopo una pausa, senza avere il bisogno di riannodare i fili della comunicazione e dell’empatia, senza avere la necessità di doversi “sintonizzare” nuovamente.
La necessità, l’urgenza maggiore, non è stata tanto quella di ricordare il passato comune, che pure è cosa buona e giusta, quanto quella di raccontare quello che siamo ora, di confrontare i punti di vista sulla vita, di condividere idee, speranze e disillusioni. Il servizio militare ci ha colti impreparati a dover affrontare situazioni e persone spiacevoli così come meccanismi di potere e vuota retorica e la nostra reazione, istintiva e disperata, è stata quella di “fare quadrato” per salvaguardare la nostra dignità e la nostra salute mentale. Abbiamo reagito ad un ambiente ostile attivando quelle risorse interiori decisive che sono l’affettività, la solidarietà, l’onestà intellettuale e l’umorismo. Risorse che abbiamo continuato a usare durante il resto della vita e che ci hanno consentito di preservare il nostro cuore e la nostra mente dai condizionamenti di una società sempre più spietata e cinica.
Giacinto, Riccardo e Roberto (in ordine alfabetico) sono persone speciali, trasudano umanità, hanno saputo preservare un afflato interiore positivo che li rende immuni dalla nuova peste che ammorba l’umanità: il cinico individualismo. Sono stato fortunato ad averli ritrovati.

sabato 2 gennaio 2010

IL PASSATO DEL TEMPO FUTURO


Ancora diciottenne spesso mi ritrovavo a fantasticare sull'anno 2000, sul nuovo secolo, su me stesso che nel 2000 sarebbe stato un uomo di quarantatre anni. Ora, all'inizio del 2010, mi ritrovo a pensarmi diciottenne che pensa al futuro...Una cosa quantomeno bizzarra e, se vogliamo, anche un tantinello melanconica. In quel periodo ho fatto mille congetture, ho analizzato centinaia di possibilità, ma non quella che poi si è realizzata. Questo significa che la mia vita non si è svolta secondo un piano o almeno un progetto preciso e prefissato; direi piuttosto che la mia vita sia il risultato di una sorta di continua guerra tra me e la società degli uomini, guerra in cui ho cercato disperatamente di proteggere me stesso, la mia identità, la mia diversità, la mia libertà di rifiutare modelli, comportamenti e stili di vita dominanti.
Quel che mi è rimasto non è gran cosa: autonomia di giudizio e una discreta capacità di raccontare, di descrivere e di spiegare. L'unica conseguenza positiva di tutto ciò è che ho ancora la sensazione della vita che scorre e che conservo una forte curiosità per tutto ciò che mi circonda. Non è molto, ma è sufficiente a mantenere un certo equilibrio e un solido ottimistico pessimismo. Sarei disposto a tornare indietro nel tempo per evitare i tanti errori commessi nel passato? No grazie. Il caso mi ha concesso una seconda vita che intendo percorrere fino in fondo,
ogni tanto guardare all'indietro fa bene, ma tutte le energie devono essere impegnate per il futuro: le orme impresse sulla sabbia sono destinate a sparire in poco tempo e quel che più conta sono i passi che devono ancora essere fatti. Il tempo non è più un alleato e questa è l'unica cosa che non deve essere mai sottovalutata. Festina Lente dicevano i Latini, affrettati con lentezza: considera il tempo che fugge ma non perdere la calma della riflessione e del giudizio.
Pensa al futuro usando l'esperienza del passato.

sabato 26 dicembre 2009

BUON NATALE BARTLEBY


Buon Natale Bartleby,
questi non sono auguri di circostanza, credimi. Sono fermamente convinto che la tua esistenza è stata, sia e sarà molto importante per molte persone, come lo è stata per me.
Grazie a te ho compreso il senso di quel sentimento che mi è ricorrente e che tanto spesso si affaccia alla finestra dell'anima come un'oscura presenza, come un ingombro imbarazzante: il senso di inadeguatezza, di profonda inutilità dello sforzo vitale, di consapevolezza del primato del nulla, il disperato desiderio di tirarsi fuori da un gioco inutile, dall'esito scontato.
Quel che rimane è la necessità di raccontare, di condividere con altri la propria sconfitta, di offrire all'umanità la propria versione, il personale resoconto di battaglie perse e di false vittorie.
Caro Bartleby, mi hai dato il coraggio di raccontare sogni e incubi, disillusioni e utopie, entusiasmi e tristezze di un destino beffardo dal quale non ci si può sottrarre.
Grazie a te ho compreso che la dignità di un uomo si misura in quante volte si è stati capaci di rispondere: "preferirei di no". Giacchè la negazione rimane l'unica opzione per chi, come noi, non vuole rassegnarsi a un destino scritto in un libro che non potremo mai leggere.

venerdì 25 dicembre 2009

lunedì 28 aprile 2008

UN ANNO DOPO


Il 22 Marzo 2007, poco più di un anno fa, vedeva la luce questo Blog. Non posso non ricordare che la sua nascita è dovuta alle sollecitazioni di un’amica virtuale, nonché blogger di qualità, che si chiama Nita , alla quale sarò sempre riconoscente. In un anno di attività di blogger ho cercato di seguire la mia idea, basata su un’impostazione generalista, per quanto riguarda gli argomenti, ma, per quanto possibile, inusuale nella trattazione ma accessibile nell’esposizione, con una cura particolare nella scelta dell’iconografia e dei supporti audio-video.
Non ho voluto essere presente (tranne qualche rarissima eccezione) nella sezione dei commenti per evitare che si creassero quei dialoghi a distanza che, a mio parere, hanno un sapore di stantio e tendono a dare l’idea del Blog come di una piccola consorteria di amici che se la cantano e se la suonano. Sotto quest’aspetto però riconosco di aver ecceduto in rigidità, forse se fossi stato un po’ più elastico e avessi risposto a qualche commento, avrei giustamente ringraziato coloro che si sono fermati a dare il loro giudizio sul mio lavoro. Per questo chiedo scusa facendo pubblica ammenda di impegnarmi a rispondere alla cortesia dei miei lettori. Per gli argomenti continuerò a seguire il mio punto di vista ma sarò anche molto aperto ai consigli e agli stimoli dei lettori, ai quali chiedo suggerimenti e/o provocazioni su qualsiasi questione.
Per quanto riguarda i numeri del Blog, non saprei se ritenerli più che positivi non avendo altro metro di paragone: in un anno ho avuto più di 13.000 visite per un totale di oltre 22.000 pagine lette; attualmente la media delle visite giornaliere è 60 lettori.
“Antologia Personale” vuole essere una sorta di rotocalco, di giornale di intrattenimento e di approfondimento su alcuni aspetti della vita quotidiana, della cultura e del pensiero. L’ambizione più grande è quella di diventare un momento di piacevole lettura, di breve ma intenso intrattenimento che dia spazio alla riflessione così come al sorriso.
Ringrazio i vecchi e i nuovi lettori facendogli omaggio di una mia istantanea mentre sono assorto nella riflessione sul prossimo post….(le foto in perizoma sono momentaneamente esaurite).

sabato 12 aprile 2008

COSA PENSO DELLE ELEZIONI


Democrazia: non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto.
Blaise Pascal

venerdì 7 marzo 2008

IL DESINARE DELL'8 MARZO


A chi volesse festeggiare la Giornata della Donna propongo un menu semplice, veloce, ma intenso di sapori e ricco di effetti collaterali particolarmente tonificanti del corpo e dello spirito.


Linguine alla Dea Madre


Preparare una salsa fredda in frullatore con: due pomodori da insalata e due da salsa, 50 gr. di capperi sciacquati, un peperone giallo, un cuore di sedano bianco, 100 gr di ricotta vaccina, 1/3 di peperoncino piccante, basilico, prezzemolo, una presa d’origano, sale, 1 scalogno piccolo, almeno 100 gr di olio extravergine d’oliva. Lasciar riposare in frigorifero per almeno mezz’ora in una capiente zuppiera. Versare le linguine al dente e bollenti, amalgamare il tutto e servire.



Alici nel Paese delle Meraviglie


Disporre in una teglia da forno olio extravergine e 500 gr di alici freschissime, aperte, pulite e spinate. Condite con succo di un limone, due dita di Falanghina, sale, pepe, prezzemolo e barba di finocchio tritati. Cospargete il tutto con un velo sottile di pan grattato. Cuocere al grill a temperatura massima. A parte stufare 500 gr di zucca con olio extravergine, un cipollotto e poco peperoncino. A cottura ultimata ridurla in crema col mixer o in frullatore. Coprire il fondo dei piatti con la crema di zucca calda guarnita di uno strato sottile di mandorle tritate e foglioline di maggiorana fresca, quindi disporre sulla crema le alici e servire.



Insalata Neoplatonica


In una insalatiera tagliate a tocchetti due patate di Bologna lessate e, a rondelle, due zucchine lessate. Aggiungere il solo frutto di un kg di cozze aperte sul fuoco, 250 gr di gamberetti lessi e sgusciati, un cuore di sedano crudo a pezzetti. Condire con prezzemolo tritato, il succo di un limone fresco, olio extravergine d’oliva, tre dita abbondanti di Trebbiano o Verdicchio, sale, pepe e zafferano. Lasciar riposare per almeno un’ora prima di servire.



L’Impero dei Sensi


Inglobare in ogni 100 gr di crema pasticcera 25 gr di uva sultanina macerata per mezz’ora in Moscato di Pantelleria e 20 gr di mandorle tostate tritate. Lasciar riposare per un’ora in frigorifero, quindi servire in una coppa da macedonia sul cui fondo avrete disposto un biscotto amaretto ammorbidito con liquore DiSaronno.

mercoledì 27 febbraio 2008

SEVEN STEPS TO HEAVEN


Saltate in padella con olio extravergine d'oliva uno scalogno e del radicchio rosso tagliato alla julienne. Dopo un minuto aggiungete un dito d'acqua e continuate a cuocere. Dopo tre minuti inglobate dello speck dop tagliato a dadini molto piccoli e cuocete per altri due minuti. A parte sbattete uova freschissime con sale, un dito di latte intero e parmigiano reggiano grattuggiato.
Versate il tutto nella padella del radicchio e procedete alla cottura della frittata.
Servire con contorno di carote crude tagliate a fiammifero e condite cn olio extravergine e limone. Abbinare con Sangiovese e pane bianco del Gargano.

domenica 24 febbraio 2008

VIVA EMILIANO ZAPATA


Dopo aver fatto cuocere al dente le rape, in acqua salata, scolatele poco e saltatele in padella con scalogno, olio extravergine e peperoncino. A parte cuocete la carne macinata di maiale con cipolla, olio extravergine, pomodori freschi sbucciati, passata di pomodoro e peperoni tagliati a julienne. In un altro tegame disporrete i fagioli borlotti, scalogno, prezzemolo, una carota grattugiata, un paio di foglie di alloro, olio extravergine e peperoncino. Quando i fagioli avranno una consistenza cremosa dovrete inglobarli nella carne macinata e cuocere per amalgamare (questo è il "chili"). Servite nello stesso piatto le rape e il chili con un filo d'olio extravergine crudo. E' consigliato pane di semola di grano duro cotto in forno a legna. Abbinare con Sangiovese giovane o Lambrusco di Castelvetro secco. Per gli amanti della birra, è di rigore la Menabrea del Centenario.

venerdì 15 febbraio 2008

RISO, PATATE E COZZE

Si tratta della mitica “tiella barese” ovvero un tipico piatto regionale che risente dell’influenza della cucina araba alla quale si deve l’introduzione nel Sud dell’uso del riso. La preparazione si basa su strati dello stesso spessore degli stessi ingredienti, una sorta di “mantra” gastronomico.
E’ necessario un bel tegame da forno, l’ideale sarebbe quello in terracotta con l’interno invetriato, sul fondo del quale preparare le “fondamenta” a base di olio extravergine, cipolla bianca tagliata ad anelli sottili e prezzemolo sminuzzato. Il primo strato è di patate a fettine (spessore max 1cm) sale, filo d’olio, 5 o 6 pomodorini (quelli a grappolo) schiacciati e aperti a mano,cipolle e prezzemolo. Spolverare con pecorino romano. Il secondo strato è composto da riso crudo (consiglio la varietà Roma) e cozze appena aperte a metà lasciate con una sola valva (ovviamente prima di aprirle, le cozze dovranno essere ben spazzolate, in modo da pulir bene le valve). Lo spessore dello strato del riso deve essere più o meno equivalente a quello delle patate.Il terzo strato è composto ancora di patate, e così via al libitum. L’ultimo strato deve essere quello con le patate. In più, oltre al pecorino, in cima va spolverato del pan grattato. Quando avete aperto le cozze avrete conservato il loro liquido che, una volta filtrato, unirete ad altra acqua e verserete nel tegame per consentire la cottura del riso. La quantità di acqua è proporzionale alla quantità di strati. La cottura avverrà in forno a 200 gradi. Per quanto riguarda la qualità delle patate, evitate quelle francesi e tedesche, l’ideale è la Patata di Bologna. Come ogni pietanza cotta al forno, terminata la cottura, ricordate che è meglio far trascorrere qualche ora per consentire agli ingredienti di “assestarsi” e coniugarsi nel modo migliore. Si tratta di un piatto unico molto nutriente, è consigliabile abbinarlo con del vino rosato piuttosto strutturato (giudico imbattibile l’abbinamento con un Rosato del Salento a base di Negroamaro e Malvasia).
Una preghiera: ricordatevi che state gustando il prodotto di una cultura millenaria, non state solo mangiando, state facendo cultura.

domenica 23 dicembre 2007

L'UOMO CHE SUSSURRAVA ALLE SEPPIE


Corrado discendeva da una dinastia del ramo cadetto di pescatori: coloro che vivevano pescando sottocosta a bordo di piccoli gozzi (chiamati in dialetto varcheceddàre). La vita di questi uomini era piuttosto grama, utilizzavano il palamito per il pesce più nobile (saraghi, orate, branzini, ricciole, piccoli tonni), una piccola rete a sacco per il pesce azzurro, il rampone per i ricci e la lenza per polpi e seppie. In ogni caso la quantità di pescato (anche nei giorni più fortunati) era appena sufficiente a sfamare la famiglia giorno per giorno, considerando i periodi di cattivo tempo e di malattia. Corrado era piuttosto piccolo di statura, ma muscoloso e ben proporzionato, il viso, cotto dal sole e segnato dalla salsedine mostrava lineamenti fini e regolari, occhi neri, fronte spaziosa, capelli crespi tenuti a bada da un cappello di lana grigio. A malapena sapeva leggere e scrivere ma era uomo intelligente, giudizioso e con un notevole senso degli affari; aveva capito che il successo commerciale dipendeva dalla sua capacità di offrire sempre il prodotto più richiesto. Così la sua attenzione si andava concentrando sulla “reginetta” della tradizione culinaria cittadina: la seppia.
A cominciare dalle seppioline (gli allievi) da consumare crude, a quelle da fare ripiene al forno con le patate, a quelle da friggere, alle magiche seppie da ragù, una specialità per tutte le stagioni.
Doveva studiare, approfondire l’argomento, voleva sapere tutto su quello strano mollusco che sarebbe stato la sua fortuna. Don Ditino era il vecchio farmacista, la sua “spezieria” era sempre aperta nella piazzetta che si affacciava sul porto. Don Ditino era appassionato di scienze naturali e nel suo retrobottega ospitava una nutrita biblioteca scientifica e un piccolo museo di fossili, uccelli e animali imbalsamati, reperti vari in boccioni di vetro immersi nella formalina. “Caro Corrado…la seppia è un nobile mollusco, noi in paese la chiamiamo “la seccia”, un termine brutto e prosaico…invece il dotto Linneo la battezzò Sepia Officinalis, un nome poetico e molto esplicito sulla grande utilità di questa creatura marina….non pensare solo al cibo, ma anche all’inchiostro, al grandioso contributo della seppia alla cultura dell’umanità!!” Continuò parlando della fisiologia, dell’anatomia e delle particolarità del nobilissimo mollusco. Due serate consecutive con Don Ditino lo avevano completamente rimbambito, per non parlare di Roccuccio, il figlio di cinque anni che la moglie gli aveva appioppato per avere un po’ di tranquillità, che di nascosto si era rimpinzato di cioccolatini purgativi e che ora piangeva per il mal di pancia. Ignazio “lo sgagnato” era un vecchio pescatore che aveva perso tutti i denti all’età di trent’anni a causa di un colpo di remi in pieno volto mentre nuotava per recuperare una nassa dispersa. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto svelargli i più piccoli segreti della pesca della seppia; purtroppo, a causa della mancanza dei denti, parlava farfugliando e schizzando saliva dappertutto, era impossibile stare fermi ad ascoltarlo senza ritrovarsi il viso e gli indumenti ricoperti di sputazzi. Ma Ignazio era una fonte inesauribile di scienza della pesca e di psicologia ittica. Avete capito bene, psicologia ittica, perché ogni specie marina ha il suo carattere e un bravo pescatore deve saper prendere ognuno dal verso giusto. La seppia è molto intelligente e ha un carattere molto deciso; “è incazzosa”, diceva Ignazio caricando sulla doppia zeta una raffica micidiale di saliva, “la seccia è come nà vaiassa, se ti fai scoprire che la vuoi prendere prima ti schizza lo ‘gnostro (l’inchiostro) poi non la vedi più, è fusciuta(fuggita) e tu ha puste ‘mbaccie ‘o nase (ti ha fottuto)”. Come ogni comara che si rispetti, la seppia ama le storie, fatti e fatterelli: “la seccia vol sentì le cùnte”, vuole ascoltare i racconti; questo era il grande segreto di Ignazio. Ora Corrado era pronto, sapeva tutto sulle seppie: dove cercarle, il periodo degli amori, della riproduzione, come e quando cacciava, quali fondali prediligeva. Ma soprattutto sapeva che la lenza sarebbe stata inutile se non avesse saputo cosa dire e come incantarle parlando.
Dopo una settimana di prove raggiunse il suo scopo: le seppie accorrevano a frotte ad ascoltare le storie del Guarracino che voleva sposare, le avventure di Ulisse e le vicende dell’Orlando Innamorato. Corrado passava le notti sulla sua barchetta a sussurrare sul pelo dell’acqua. Quando rientrava le sue seppie andavano a ruba, erano eccezionali, freschissime, saporite ma soprattutto tenerissime. Una tenerezza speciale dovuta ad una morte dolce e indolore, come il sonno in cui si abbandona il fanciullo mentre ascolta, assorto, una fiaba.

sabato 10 novembre 2007

A RAFFAELE


Amico mio,
non so cosa ti sia accaduto, in quale vortice di orrore o di menzogna tu sia stato risucchiato.
Sono sgomento e piango per te. Mi vengono in mente le ore passate insieme a parlare dei tuoi progetti, delle tue perplessità, delle tue speranze. Non posso non ricordare la morte improvvisa di tua madre e il tuo immenso dolore. Ricordo le feste passate insieme e le gite in cui abbiamo riso e scherzato. Vederti in televisione, col capo coperto, portarti in galera vestito con lo stesso giaccone con cui sei venuto l'ultima volta a salutarmi è stato terribile, mi ha attanagliato un'angoscia senza fine. Ti conosco come una persona pulita e sincera, non riesco a pensarti diversamente. Ti prego, segui la strada della verità, che è l'unica ad avere un senso, lascia che la tua umanità si manifesti completamente. Io non smetterò mai di esserti amico e di volerti bene.
Ti abbraccio.

venerdì 12 ottobre 2007

3 OTTOBRE: WAITING FOR BRACCOBALDO






50 anni. 18.250 giorni. 438.000 ore. 26.280.000 minuti. 1.576.800.000 secondi. Cifre, queste, calcolate per difetto, senza contare gli anni bisestili. Comunque un’enormità di tempo. Il caso ha voluto che la mia vita si svolgesse a cavallo di due secoli e di due millenni. Così la mia cultura, il mio modo di vedere e di affrontare l’esistenza si è articolata tra il senso di crisi, di fine di un’epoca ancora legata a retaggi di una cultura radicata in una mitologia antica e rassicurante, e il senso di stupore e di disorientamento prodotto dall’avvento di nuovi miti basati su falsi bisogni indotti, precari e senza storia. Nel giro di pochi anni il sincero desiderio di poter cambiare la vita e la società è stato sepolto dalla spaventosa eruzione, ancora in corso, del vulcano del consumismo e dell’omologazione antropologica. Così, in breve tempo, sono passato dall’attacco furioso ad un mondo ingiusto e crudele alla disperata, strenua difesa della mia identità, delle mie idee, dei valori in cui credo. Mi sento come un indio amazzonico che assiste ogni giorno alla lenta e inesorabile distruzione del proprio habitat e della propria cultura.
I ricordi, ancora vivi e scintillanti, di un’infanzia in un qualsiasi paese del Sud, si dilatano, diventano memoria di un’epopea scomparsa fatta di colori, odori e suoni ormai estinti. Quell’ umanità che era fatica, magica rassegnazione di fronte ai misteri della vita e della morte, infantile stupore davanti alla prima nevicata, profonda e quasi religiosa felicità per lo spettacolo di un mandorlo in fiore, estasi metafisica per un piccolo gelato nei torridi pomeriggi estivi, non esiste più. Se esistesse realmente un luogo tipo Jurassic Park, ci andrei subito a chiedere asilo politico. Non mi sento vecchio ma inadeguato, assolutamente incongruente rispetto al mondo contemporaneo. Riesco solo ad urlare, a bestemmiare contro una vita che non mi piace. Essere consapevoli di essere solo una “vox clamantis in deserto” è terrificante; vedere nella maggioranza dei giovani solo vuota rassegnazione e iperattivismo da zombies famelici è disarmante; scoprire che l’interrogativo ricorrente non è più il labirintico “perché?” ma è diventato il prostituente “quanto?”, è catastrofico. Mi rendo conto che, agli occhi di molti, tutto ciò potrà sembrare squallida dietrologia, il penoso sfogo di una persona alle soglie della rottamazione, l’ultimo disperato ululato del vecchio lupo spelacchiato e senza denti. Può darsi, ma è sincero il desiderio di vedere giovani lupi scendere dalla montagna e mettersi alla guida del branco. E’ autentica la speranza che giovani tigri, gattopardi, aquile e falchi facciano piazza pulita delle iene e degli avvoltoi che attualmente imperversano senza timore fra di noi. Chiedo troppo? I tempi degli eroismi sono finiti? Mi accontenterei anche di qualche eroe di cartone, purchè mantenga quella purezza e quell’autoironia che potevamo apprezzare in Braccobaldo, nel Gatto Silvestro e in Willy Coyote. Aspetterò sperando che dopo Omero, Dante, Godot e Braccobaldo Show arrivi una nuova mitologia a dare un senso alle opere e ai giorni.
Mi raccomando, avrei una certa fretta.

martedì 25 settembre 2007

CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE


Avevo dimenticato la grazia della gioventù. Smarrito da un’umanità rozza e volgare, non trovavo più quell’aura luminosa e gentile della poesia incarnata. Quell’armonica corrispondenza dell’essere e dell’apparire delicatamente velata da innato pudore. La fortuna mi ha concesso di ritrovare quella grazia, forse per rammentarmi che non tutto è perduto, che è ancora possibile vita e futuro per creature speciali, simili agli antichi modelli che hanno ispirato poesia e pensiero trascendente. Questa fanciulla ha un approccio delicato alla vita, la sfiora, l’annusa, la guarda con curiosa benevolenza. La sua sensibilità è arginata da una solida abnegazione, da un innato e irrinunciabile senso del dovere. L’armonica combinazione di fede negli affetti e fermezza nelle proprie convinzioni riempie di contenuto la sua giovane femminilità, dona spessore al suo essere, la fa risultare donna. Ella è dotata del raro dono dell’autodisciplina, che esercita con caparbia determinazione; ma è anche piuttosto disordinata (di quel disordine che è reazione oggettiva ad un continuo lavoro interiore di organizzazione e controllo), tendenzialmente ribelle e poco disposta ad essere giudicata (tutto quello che è sommario e superficiale è per lei irritante). Le sue ansie, le paure, le incertezze, non le vive con quel senso catastrofico tipico della sua giovane età, un po’ per pudore, un po’ per il suo senso dell’humour, un po’ per la certezza di avere nell’abbraccio materno un approdo sicuro, una comprensione senza riserve.
L’immagine che mi viene in mente, quando la osservo, è quella di un ruscello montano, di acque fresche e limpide, di un suono soave d’acqua che scorre fra i richiami dei fringuelli sugli alberi soprastanti, odore di muschio e profumo di fiori selvatici.
Grazie Simona, la tua giovane esistenza mi rende più ottimista, mi fa sperare che la poesia continuerà ad avere uno spazio in questo mondo sporco e spietato.

venerdì 14 settembre 2007

UN AMICO


Un mio caro, giovane amico ha avuto un incidente stradale. Fortunatamente non gli è accaduto nulla di grave, per un pò di tempo rimarrà bloccato in casa, niente di più. Roberto, questo è il suo nome, è un ragazzo sveglio, pieno di energia, con una voglia travolgente di mordere la vita per strapparle le cose migliori, ma è anche una persona molto sensibile, molto più di quanto egli stesso non creda. Il suo problema principale consiste nel sentirsi completamente insoddisfatto della vita che conduce (cosa molto comune fra i giovani della sua età) e nel sentirsi assolutamente incompreso dalla sua famiglia. Lui si sente deluso dai genitori perché è convinto che loro non capiscano i suoi sentimenti, le sue idee, i suoi dubbi e perplessità. Essenzialmente non li sente in sintonia e, pur amandoli, spesso si pone nei loro confronti con atteggiamenti e discorsi provocatori, cercando di colpirli in quegli aspetti in cui emergono le loro contraddizioni ed i loro errori (cose che tutti i genitori fanno).
Roberto è cresciuto (come tutti i suoi coetanei) nella società dei consumi e ha fatto propria l’idea (ormai irrimediabilmente imperante) che la vita è un alternarsi di fatica e godimento e che il lavoro sia il mezzo per procurarsi i piccoli e i grandi piaceri. Ci tiene molto all’abbigliamento, pensa che l’immagine rifletta il contenuto e che se vesti alla moda e griffato sarai sicuramente benaccetto dappertutto. E’ assolutamente convinto che la bellezza sia strettamente connessa ai canoni estetici dominanti, che il possedere sia simbolo di potere, che il potere scateni il volere, che il volere sia sinonimo di libertà. Egli è convinto che la sua insoddisfazione sia causata dalla dipendenza economica dalla famiglia, che le sue frustrazioni derivino dalle regole assurde e ingiuste imposte dai genitori. Nel tempo si è convinto che l’unico effettivo elemento di crisi nella sua famiglia riguardi la propria carriera scolastica e, quindi, ha deciso di interrompere gli studi e cercarsi un lavoro. La sua grande sensibilità gli fa vivere questa determinazione come una insopportabile lacerazione interiore, lui sa di aver gettato i suoi genitori in uno stato di prostrazione, di dolorosa confusione, di tremendi sensi di colpa. Ma il suo urlo di disperata insoddisfazione, la sua lotta interiore per la ricerca di una propria identità, è troppo forte, è come un torrente in piena che spazza via tutto. In questa furia emozionale, in cui la ragione è difficile da isolare dal sentimento, egli non è capace di soffermarsi sull’unico elemento certo: l’affettività. Non ha riflettuto sul fatto che il proprio stato è in gran parte determinato da quella che lui sente e vive come una carenza affettiva. C’è stato un momento della sua vita in cui si è sentito abbandonato, un momento in cui aveva più bisogno di affetto, che è passato inosservato. Tutto ciò ha innescato un meccanismo per il quale la sua attenzione si è fermata sull’avere, sul suo credito affettivo verso i genitori che pretende assolutamente di incassare. Tutto ciò ha impedito che lui riflettesse sul proprio essere, su quello che vorrà essere negli anni a venire, sulla costruzione della propria personalità e dei valori che vorrà perseguire nella vita. Forse questo riposo forzato potrà indurlo a pensare a se stesso, a riflettere sul fatto che prima di decidere sul fare è necessario decidere sull’essere, come ha scritto Erich Fromm: il principale compito dell’uomo nella vita è dare alla luce se stesso.
Ho grande fiducia in Roberto perché è un uomo sensibile, la sua umanità è la sua forza, e sicuramente nel tempo se ne renderà conto. Lui “sente” la vita. I figli non possono fare a meno di giudicare severamente i genitori, ma perdersi nel giudizio e pretendere di eseguire la condanna è inutile e doloroso, e soprattutto impedisce di evolversi, di costruire un proprio cammino e una propria dimensione esistenziale.
“gli uomini non dovrebbero riflettere tanto su ciò che devono fare, dovrebbero piuttosto pensare a quello che devono essere.” Meister Eckhart

venerdì 15 giugno 2007

IL TORMENTO E L'ESTASI


Superare l’evento traumatico del risveglio è sempre un’impresa. Indipendentemente dalle condizioni meteorologiche e stagionali, il ritorno alla realtà procura disagio e alimenta uno stato di temporanea confusione mentale. Il rito del primo caffè del mattino assolve dunque alla necessaria funzione di efficiente rientro nel mondo dei vivi e di indispensabile riconnessione della rete neuronale. La fase più critica di questo processo che, per certi aspetti, è molto simile alla nascita, è quel lasso di tempo durante il quale, attoniti, si aspetta che la caffettiera termini il suo delicato lavoro e ci offra il nero elisir di benvenuto nella realtà. Il sottoscritto, per scelta ideologica e adesione spirituale al principio panteistico, usa la caffettiera napoletana che, notoriamente, richiede tempi di preparazione molto più lunghi di quelli della moka. Questa circostanza fa sì che la durata del mio “limbo mentale” quotidiano sia molto maggiore e quindi diventi necessario assumere delle tecniche capaci di far trascorrere nel modo più indolore il tormento spirituale e il torpore mentale che puntualmente si ripresenta giorno dopo giorno. Naturalmente è da scartare a priori il ricorso alla televisione e/o al computer; il motivo è duplice: il forte effetto ipnotico del tubo catodico, che potrebbe facilmente gettarci in uno stato di pericolosa catalessi permanente, e la qualità delle notizie ed informazioni che potremmo ascoltare e vedere, cominciare la giornata con morti ammazzati, la faccia di Prodi o la ricetta di pasta con le sarde, non è molto incoraggiante. Molto utile, invece, è dedicarsi all’osservazione di quanto accade fuori, per strada, se si può godere di un buon panorama, altrimenti dirottare il nostro sguardo bovino (gli occhi sono sempre gonfi al mattino) verso le formiche che pascolano fra le briciole sul pavimento. E’ molto più rilassante di un documentario di National Geographic e, in più, se si vuole, si può interagire amabilmente con i simpatici insetti. Un’altra possibilità consiste nel dedicarsi alla lettura, ma non di giornali o libri, che sono troppo impegnativi per i pochi neuroni attivi in quel momento: molto indicata è la lettura delle etichette di cibi e bevande, anche se il massimo consiste nell’analisi lenta e scrupolosa di uno scontrino di supermercato, di quelli lunghi, con almeno una decina di voci. Se poi abbiamo la forza di leggere ad alta voce e ripetutamente, le parole e i numeri si trasformano in una sorta di cabala beneugurante ripetuta come un mantra ad alto potere energetico. Nel caso fortunato in cui abbiamo un animale domestico, quello è il momento migliore della giornata per intavolare una bella conversazione, tenendo sempre presente che tartarughe e pesci rossi sono caratterialmente poco loquaci, ma ottimi ascoltatori. E’ sconsigliabile sfruttare il tempo di attesa dedicandosi al consueto rito evacuatorio, giacchè esso richiede capacità di concentrazione, efficienza muscolare e coordinamento respiratorio: il rischio di rimanere bloccati sulla tazza con le gambe che formicolano è molto alto. Altra cosa da non fare assolutamente è guardarsi nello specchio: pare che sia statisticamente provato che gli attacchi cardiaci di primo mattino siano imputabili a questa causa.
In un modo o nell’altro il tempo è passato e ora siamo pronti a sorbire la quotidiana magica pozione. La caffettiera napoletana produce una bevanda metafisica: per comprenderlo è sufficiente pensare al suo funzionamento. L’acqua bollente scende dall’alto verso il basso, attraversando, con la grazia simile alla pioggia, la capsula che contiene la polvere profumata. Come da fertile terra fecondata, sgorga, lento, libero e fragrante, un rivolo di liquida felicità. Il tormento dell’ansiosa attesa è cessato, ora possiamo cogliere l’estasi visionaria che lautamente ci ripagherà di tanta sofferenza. Respirando le calde, profumate volute di fumo è possibile percepire il soffio della vita che ci attraversa dolcemente, gustando a piccoli sorsi la scura bevanda, comprendiamo la grazia del creato e sentiamo di farne parte in armonico equilibrio. Ancora una volta il primo grande rito della giornata si è concluso felicemente e noi siamo in grado di affrontare le dure prove della vita. Grazie ad esso ci siamo impossessati dello zen dell’istante, possiamo cogliere gli aspetti più nascosti della complessa realtà che ci circonda. Se qualcosa non dovesse funzionare, provare a (nell’ordine): cambiare marca di caffè, cambiare caffettiera, cambiare moglie.

martedì 24 aprile 2007

IL MISTERO DI ME STESSO, A ME MEDESIMO FINALMENTE SVELATO



Capita spesso di chiedersi: “ma io chi sono? Mi conosco veramente?”, soprattutto al mattino quando ci si guarda nello specchio e si intravedono in fondo agli occhi smarriti le due porzioni di parmigiana trangugiata la sera prima. “Gnoti seautòn”, conosci te stesso, era la frase scolpita sulle mura dell’oracolo di Apollo a Delfi, a monito perenne della necessità di un percorso interiore che deve sempre precedere il ricorso al trascendente. Una frase così dovrei scriverla un po’ dappertutto in casa: sulla porta del frigorifero, per riflettere sulla miseria umana durante l’incursione di mezzanotte; sullo scarico dello sciacquone, per invitarmi filosoficamente a controllare ogni giorno la salubrità dei miei cataboliti; sul cassettino all’ingresso, per verificare prima di uscire il grado di sguarnimento (ormai cronico) del mio portafogli; sul monitor del computer, per gli attacchi di narcisismo quando scrivo e lavoro. Certo è triste essere consci del fatto che si può vivere una vita intera senza neanche aver stretto la mano al proprio io…che dico la mano, senza neanche essersi incrociati una volta, davanti a uno specchio o in particolari stati di allucinazione dovuti a un mezzolitro o a un piatto di trippa alla romana. In questo senso ritengo di essere un uomo molto fortunato, sono riuscito ad instaurare con me stesso un ottimo rapporto confidenziale anche se, lo ammetto, ci ho messo un po’ di tempo prima di decidermi a darmi il mio numero di cellulare...Messe da parte le opinioni politiche (che devo confessare di aver scoperto essere opposte ed essere causa di fastidiosissimi problemi di coordinamento motorio all’interno della cabina elettorale), riusciamo a comunicare molto bene sul piano filosofico e storico, artistico e musicale (anche se non riesco a spiegarmi la sua passione per Piero Focaccia); abbiamo qualche problema nei rapporti con le donne: io amo conversare e approfondire la conoscenza del femminino, lui metterebbe subito le mani sul culo. Anche in fatto di alimentazione siamo molto diversi, io preferisco la cucina vegetariana, lui venderebbe sua madre per un ragù ortodosso o per il baccalà alla veneziana.
Ma alla fin fine, sono riuscito a conoscere il mistero di me stesso? Devo dire che non è stato facile, anzi, è stata dura convincere me stesso a smetterla di ingozzarsi di patatine fritte e parlare seriamente. Ma alla fine ci sono riuscito. E’ stato molto commovente, non immaginavo di essere una persona così sensibile e delicata, avrei voluto farmi delle domande importanti, ma me stesso era veramente esausto e mi ha chiesto una pausa, una birra grande e un sandwich al gorgonzola.
Ho scoperto di avere tanto amore da dare, anche a più donne contemporaneamente; di avere ancora tanta sete di conoscenza, ci sono circa una cinquantina di vini che devo assolutamente conoscere; di avere qualche desiderio da realizzare, come imparare a fare il babà; di dover controllare determinati impulsi, come l’istinto omicida alla vista di Maurizio Costanzo; di arrotondare alcuni spigoli del carattere, come la facile irritabilità in presenza di cretini in fase conclamata. Ma la cosa più importante, quella a cui ci tengo particolarmente, è trovare una spiegazione definitiva alle mie contraddizioni: credo di aver finalmente capito che io, nonostante il mezzo secolo d’età, non ho ancora deciso chi essere, ovvero mi barcameno miseramente tra il romanticismo estatico e il razionalismo blasè. Come dire fra un bignè alla crema e un biscotto digestive. Questo stato ondivago è causa di incomprensioni ed equivoci oltre a crearmi una sorta di senso di colpa verso tutti coloro (quasi la maggioranza) che non conoscendomi abbastanza hanno qualche perplessità sulla mia salute mentale. Ho pensato a diverse soluzioni: maglietta T-shirt con scritta “state parlando solo con una parte di me, il resto arriverà più tardi, in pullman”; fingere di avere un fratello gemello al quale appioppare tutte le stranezze; diventare molto amico di uno psicoterapeuta.
Ma è proprio questa la mia maggiore urgenza? Quanto me stesso è più importante di un piatto di spaghetti con le vongole? Mi ripeto che conoscere se stessi è fondamentale mentre i gusci vuoti delle vongole mi fissano con abissale disgusto.

giovedì 12 aprile 2007

RISVEGLI

La luce filtrava attraverso le fessure della tapparella andandosi a conficcare proprio fra le palpebre. Cieco e intorpidito dal sonno primaverile mi rifiutavo di accettare il nuovo giorno. Ma un peso mi gravava sul petto, un senso di calore e di oppressione che ostacolava il mio respiro. Dischiudendo gli occhi fui penetrato dallo sguardo della gatta che si era accucciata sullo sterno facendo delle fusa assolutamente esagerate. Era ora, se avessi indugiato ancora un po’ avrei cominciato a sentire le punte dei suoi artigli affacciarsi piano piano sulla pelle, meglio alzarsi. Svegliarsi al mattino è come un po’ rinascere ogni volta, passare dalla quiete rassicurante del sonno all’azione e alla preoccupazione della veglia: per qualche istante si ritorna neonati e si vorrebbe urlare e piangere per il dispiacere dell’incantesimo che finisce all’improvviso. Occhi prominenti, viso gonfio, bocca impastata, andatura da condannato a morte, lentamente si guadagna la cucina per preparare l’elisir che ci farà tornare esseri umani. Ma quella dannata mattina feci una scoperta terrificante: il caffè era finito. Mi assalì un senso di smarrimento e di disperazione, non sapevo se piangere o bestemmiare, tornai a controllare…niente, era finito. A quel punto avevo davanti a me due opzioni, erano nascoste in fondo al pensile, abbandonate lì da tempo immemorabile: una scatoletta di tè in bustine e un barattolino di caffè solubile. Riflettevo, e mentre riflettevo il mio corpo reclamava prepotentemente la sua dose consueta di caffeina: ero già in crisi di astinenza? In pochissimi minuti scaldai l’acqua e preparai il caffè solubile: mentre giravo il cucchiaino nella tazza saliva nelle narici un odore singolare, era come se stessi sciogliendo un pocket coffee in un brodo di liquirizia, una vera schifezza. Ma le mie cellule invocavano quel fottuto alcaloide ed io trangugiai quel liquido nerastro come fosse olio di ricino. La fase uno era terminata, per completare il mio rientro coatto nel mondo sensibile dovevo passare alla fase due. Entrai in bagno, prima di dedicarmi alle abluzioni dovevo procedere all’evacuazione e quindi con una bella rivista in mano mi accinsi a lasciare al mondo la consueta parte di me. Quest’operazione è assolutamente fondamentale, non solo per ovvie ragioni fisiologiche ma anche per operare quello “svuotamento” mentale e spirituale indispensabile per affrontare al meglio la nuova giornata. Ero nel bel mezzo di una delicatissima operazione di “trasferimento” quando squillò il telefono. Naturalmente non avrei mai risposto ma quello squillo ripetuto creava un’angoscia indicibile, bloccando le mie delicate operazioni. Dovetti leggere un articolo intero dedicato a Riccardo Scamarcio per poter assolvere con successo alla missione. Non mi restava che una bella doccia tonificante e la giornata sarebbe stata tutta mia. Fu in cabina doccia che feci la seconda terrificante scoperta: il bagnoschiuma era finito. Disperato, nudo come un verme, bagnato e rincitrullito, aprivo tutti gli armadietti alla ricerca di qualcosa che facesse schiuma. Come al solito in fondo, fece capolino una bottiglia di plastica azzurra, ebbi un istante di raccapriccio: un bagnoschiuma Avon!! L’ultima volta che lo avevo usato era stato come lubrificante per favorire l’infilaggio di un cavo elettrico aggiuntivo nell’impianto domestico. Non potevo indugiare oltre e mi infilai sotto la doccia. Avete mai usato un bagnoschiuma profumo “bubble gum”? Cioè gomma da masticare? Non lo fate, per tutto il giorno, e anche il giorno appresso, emanereste un tanfo orrendo. Ero sveglio ora. Seduto alla scrivania con una bella tazza di caffè solubile accanto provavo l’ebbrezza aromatica della gomma da masticare mista al caffè-liquirizia, le mie orecchie si beavano della musica napoletana del pazzoide dirimpettaio alternata al richiamo megafonico di un venditore ambulante che gridava “scarcioffiiii”, i miei occhi fissi sul monitor si chiedevano il perché di tante emails di venditori per corrispondenza di viagra. Ma dove mi trovo? Che ci faccio qui??
Il suono della sveglia mi fece saltare dal letto…avevo sognato! Mi ero appena messo in piedi quando udii dalla strada “scarcioffiiii”, il sangue mi si gelò, andai in cucina e cominciai a preparare il caffè solubile.

martedì 10 aprile 2007

LASSU' QUALCUNO MI AMA


L’ascensore saliva speditamente verso gli ultimi piani del palazzone, la cabina era tutta foderata d’acciaio con un grande specchio posto di fronte alle porte automatiche. Galleggiava nell’aria un odore di detersivo industriale misto a linoleum, i tubi al neon illividivano i colori, la mia faccia nello specchio aveva la tonalità carneo-giallina di un mongolo siberiano in vacanza in città. Di fronte a me un signore in giacca e cravatta, cartella in similpelle nera, testa grossa, stempiato con un evidente inizio di “coltivazione capillifera” a scopo di riporto per cercare di coprire la calvizie. Emanava un odore di deodorante balsamico che unito all’odore ambientale generava una sorta di olezzo indefinibile, anzi improbabile, direi quasi impossibile; era come se quegli odori si rifiutassero di fondersi e fossero costretti dalla circostanza a convivere fianco a fianco: ecco, io mi trovavo sulla linea di confine, con una narice sentivo il tanfo dell’ascensore e con l’altra il deodorante balsamico, era pura schizofrenia olfattiva. Mentre mi consolavo pensando che comunque ero fortunato: e se quell’uomo fosse stato affetto da meteorismo incontrollabile? Accadde l’incidente. L’ascensore si bloccò di colpo, fu buio per un paio di secondi, poi si accese un fioco neon che doveva essere la luce d’emergenza, io imprecai ad alta voce e lui di rimando “sì, accidenti!!!”. Fui investito violentemente da quelle due parole, non per il carico d’ansia di cui erano espressione ma per il grande carico d’aglio di cui erano portatrici, per un istante quel testone con riportino incipiente mi sembrò un’enorme testa d’aglio da incubo notturno post pesto alla genovese. Mi stavo riprendendo quando un altoparlante invisibile emise un cicalino, subito dopo la voce maschile di un gemello di Lino Banfi:”non vi preoccupète, abbiamo chiamèto il tecnico, fra pouco potrete uscire, abbiète un bò di pacienza!! “. Istintivamente mi feci indietro andando a sbattere con le terga alla parete metallica dell’ascensore, ero atterrito, mi sentivo una mosca estiva attaccata dalle molecole micidiali di un potente insetticida, gemetti per nascondere il rantolo e chiusi gli occhi in attesa della fine. “Permette? Ragionier Gaetano Paposcia, delle Assicurazioni Nazionali”, gli strinsi la mano e cercando di respirare il meno possibile biascicai il mio nome. “Questa cosa non ci voleva, sono già in ritardo ad un appuntamento importante…ieri ho fatto tardi con gli amici, siamo andati a mangiare” a quel punto non potevo non chiedere conferma dei miei sospetti ”pesto alla genovese?” e lui sgranando gli occhi ”esatto e poi pepata di cozze…ma come ha fatto a indovinare?”. Ecco il mistero di cotanta potenza aromatica! Non solo il pesto, anche la pepata di cozze…Un esperto in guerra chimica non avrebbe mai concepito una tale formula!! Interrompendo la mia apnea sibilai “un menù un po’ pesante..” e lui con aria spavalda “pesante? E sabato allora? Dovevo morire? Mia moglie ha fatto la trippa al sugo e gli strascinati, le orecchiette quelle grosse, madò…che grande sfazione!! Tre piatti mi sono frecato!!!”. La mia mente era in preda ad allucinazioni da anossia, immaginavo il sistema circolatorio dell’assicuratore come un magma ribollente di trigliceridi e colesterolo, ogni tanto qualche globulo rosso sfrecciava in quel fiume lipidico insano a bordo di gusci di cozze e strascinati.Si era avvicinato con fare confidenziale, i miei occhi sbarrati ora potevano ammirare una vistosa cascata di forfora sul collo della sua giacca e un piccolo distintivo dorato sul bavero, provai ad allontanarmi chiedendogli “lei è del Rotary?” “No, sono donatore di sangue”, “lei donatore di sangue??” ero allibito, pensavo a quelle sacche ripiene di rossa quintessenza distillata da pantagrueliche mangiate di cozze crude, involtini a ragù di cavallo, castrato e zampina alla brace, pasta al forno con polpette, focaccia imbottita di mortadella….Un’arma biologica. Chissà le povere ignare vittime di quelle trasfusioni assassine… Ero solo, indifeso, in balia di un “gastronomic serial killer”, ne sarei uscito vivo? Avrei potuto raccontare il pericolo scampato? Era giunto il momento di invocare qualche santo taumaturgo specializzato? Che ne so, San Pellegrino, San Marzano…
All’improvviso un cicalino ruppe il religioso silenzio “signori, sono il tecnico dell’ascensore, mi trovo nella cabina di comando all’ultimo piano, adesso vi tiro su e potrete uscire”. Ero salvo. La testa mi doleva per le apnee ripetute ma ero vivo. L’ascensore riprese la sua salita, io ero felice, avevo avuto una prova inconfutabile: lassù qualcuno mi ama.

domenica 1 aprile 2007

AI CONFINI DELLA REALTA'



Era uno di quei pomeriggi afosi, immobili, muti, in cui neanche le mosche sono in grado di volare, in cui il tempo sembra fermo, bloccato in uno spazio irreale dai colori sbiaditi come in una vecchia stampa consumata dagli anni e dagli sguardi. Sdraiato sul letto, come in un sudario, fissavo il soffitto alla ricerca di un punto su cui fermare la vista e i pensieri che vagavano persi in quel bianco oceano di intonaco. Mi veniva in mente l’assordante frinìo delle cicale che copriva i suoni dei miei giochi solitari nella campagna rovente dei nostri meriggi di luglio. Mentre tutti cercavano di sottrarsi a quelle ore rifugiandosi nel sonno, io le sfidavo apertamente in coraggiosa solitudine. Unica compagnia alla mia ombra la facevano le lucertole verdi e marroni e le invisibili cicale. Lentamente cominciai ad apprezzare quelle ore, avevo la netta sensazione di uscir fuori dalla realtà, di trovarmi in un’altra dimensione in cui il gioco diventava più verosimile; potevo quasi toccare quei personaggi con i quali interagivo: pellerossa, banditi, pirati, cavalieri e soldati. La piccola sedia, promossa sul campo a fido destriero, si animava, nitriva, sollevava nuvole di polvere. Il sapere di non essere oggetto dello sguardo divertito degli adulti, mi dava un senso di libertà totale, potevo agire e parlare come volevo. Camminavo, felice, su quella sottilissima linea ai confini della realtà. Ma ora? Ora che sono adulto, mio malgrado, a cosa servono queste ore? Mi dicevo che forse servivano alla memoria, a rammentare il passato per organizzare meglio il futuro, a fare dei bilanci, a riflettere su se stessi. E mentre cercavo di convincermi di tutto questo, immagini confuse e veloci affioravano alla mente, avevo persino delle allucinazioni olfattive. Voci, conosciute e sconosciute, mi dicevano “tu sei noi, sei il prodotto delle generazioni passate, noi viviamo in te, noi confidiamo in te..”, “confidate in me? Mi dispiace, ma siete messi male, mi conoscete e sapete la mia vita, non posso far molto per voi e neanche per me stesso”. Cosa volevano? Le generazioni finiscono, si interrompono, prendono strade collaterali; io sono una strada senza uscita, “per favore girate subito a destra sulla complanare, è uno schifo di strada, ma almeno porta da qualche parte”. Allontanai di colpo questi pensieri dalla mia mente, andai in bagno per rinfrescarmi. Asciugandomi il viso mi guardavo nello specchio, seguivo i nuovi piccoli solchi che l’aratro del tempo andava lasciando sulla mia faccia e mi chiedevo se la mia clessidra fosse stata già girata per l’ultima volta. Le voci avevano ragione: il mio corpo ospita pezzi di altri corpi, il mio cervello contiene saperi e idee prodotti da altri, il mio spazio vitale è riempito di oggetti che sono appartenuti ad altri, il mio cuore prova amori e sofferenze che altri prima di me hanno patito. C’è qualcosa di nuovo e originale in me? A parte un’ insana, inspiegabile passione per le patatine fritte in busta, non credo proprio, mi sento un frankenstein genetico-culturale, come uno che si trova ad ereditare un mare di debiti..
Il pomeriggio volgeva al termine, il tempo aveva ripreso a camminare, le mosche a ronzare, l’aria a muoversi. La mia incursione ai confini della realtà si era conclusa, solo che non mi era rimasto in bocca quel buon sapore di vittoria che assaporavo da bambino. La mia bocca era impastata, e non solo per i troppi peperoni fritti, ero a disagio e volevo sfogarlo, trovare un modo per riconciliarmi con la vita: decisi che avrei scritto tutto questo. Come al solito mi sbagliavo, scriverlo non mi è servito a nulla.