LA MUSICA E LA GRAZIA
domenica 29 aprile 2007
sabato 28 aprile 2007
AFORISMI capitolo secondo

L’intelligenza e l’onestà intellettuale sono caratteristiche che vengono sempre considerate con molto sospetto perché il loro esercizio conduce sempre all’autonomia di pensiero.
La filosofia è un cannibale insaziabile che finisce col mangiare se stesso.
La libertà non è data dalle leggi, sono le leggi ad essere espressione della libertà.
L’unico atto gratuito dell’uomo è la creazione artistica.
La disobbedienza è il segno di una feroce e ineluttabile rivoluzione interiore.
La serietà è attigua all’imbecillità come l’intelligenza è attigua all’umorismo.
Egoista è chiunque si scontri col nostro egoismo.
Il fascino irresistibile del cristianesimo sta nella sua insolenza.
La libertà di pensiero è un ossimoro. La libera manifestazione del pensiero è un diritto inalienabile, nonostante capiti spesso che se ne possa fare a meno. La democrazia si compie ogni volta che ci viene rivelata una stupidaggine.
La fragilità dell’uomo consiste nella consapevolezza dell’indispensabile inutilità della cultura.
La legge è una triste necessità e contiene sempre il principio dell’arroganza e della prevaricazione.
Essere ridicolo è la condizione esclusiva dell’uomo.
Non sono due dei diversi, quello della bibbia e quello dei vangeli, quel che li separa è l’avvento del Cristo, il quale è stato uno scandalo per Dio stesso.
Un’idea brillante crea molte illusioni sulle capacità del proprio cervello. E’ un guizzo inspiegabile di cellule normalmente dedite a produrre banalità.
Fare sesso è un termine brutto e banale. Fornicare, invece, dà una dimensione millenaria al sollazzo dei sensi.
Non ci sono idee stupide, ma stupidi con le idee.
Mano a mano che il futuro di ieri diventa il passato di oggi, risulta sempre più difficile essere ottimisti sulle sorti dell’umanità. La speranza è la disperazione di domani.
venerdì 27 aprile 2007
FORTUNATAMENTE DI MAMME CE N'E' UNA SOLA

Naturalmente questo aspetto è comprensibile, quei nove mesi in cui una nuova vita si è preparata a nascere, non sono trascorsi senza lasciare tracce profondissime. Ma il dubbio è un altro: fino a che punto l’essere “mamma” non cessa di essere un ruolo naturale e positivo, per diventare una minaccia ed ostacolo alla maturazione del nuovo individuo? Si suole dire “la mamma è sempre la mamma”, alludendo al fatto che questo status non cessa mai di esistere come una sorta di investitura divina, di potere morale di origine trascendentale.
La mamma italica è buona e generosa, il suo cibo è il migliore di tutti, la sua casa è sempre accogliente, la sua comprensione è totale, ed è l’unica a capire veramente le sfortune amorose dei propri figli. La mamma è la quintessenza della famiglia. La mamma è il motore dell’educazione e della maturazione. La mamma può anche sbagliare, ma non si discute, mai.
Io ne ho fin sopra i capelli di questo imperante sentimentalismo mammone e mammista. Chi sono queste mamme che aggrediscono gli insegnanti, sostenendo che i propri pargoli sono dei geni incompresi? Chi sono queste mamme che stanno attente a non far rumore per non svegliare il “piccolo” venticinquenne rincasato alle sei del mattino ciucco fradicio e fumato a ripetizione? Chi sono queste mamme che accolgono a braccia aperte la progenie in esilio, colpevole solo di qualche scopatina extraconiugale? Chi sono queste mamme che educano all’irresponsabilità, facendosi eroicamente carico di tutte le incombenze e i problemi familiari? Chi sono queste mamme che insegnano solo il proprio culto, perché nella vita non ci si deve fidare di nessuno? Chi sono quelle mamme disposte a tutto pur di non litigare con i figli?
Ebbene, tutte queste mamme sono la maggioranza, e sono quanto di peggio possa accadere per il progresso dell’umanità. Questo tipo di amore materno è peggio della peste bubbonica, è la causa di un’epidemia silente che produce immaturi arroganti i quali, a loro volta, diverranno genitori degni di essere rinchiusi in un manicomio criminale. Per favore, non si tiri in ballo la faccenda che esser genitori è la cosa più difficile del mondo: è molto più difficile essere figli. Dover subire decisioni che sembrano quasi sempre ingiuste e non sentirsi compresi non è un gran bel vivere.
Un’altra cosa è estremamente fastidiosa: la figura retorica della madre “eroina”, della “santa donna” che si farebbe uccidere per i figli. Francamente questa “madre coraggio” ci ha rotto le scatole, viene dipinta come l’ultimo baluardo a difesa della istituzione famigliare, basta che abbia procreato e immediatamente anche la donna più mentecatta del pianeta diventa un’intoccabile. E’ vergognoso.
“Io sono una di quelle donne che hanno avuto la fortuna di arrivare alla maternità con una certa esperienza.
Possedevo da tre anni uno Yorkshire Terrier.
A dieci mesi i miei figli erano capaci di accucciarsi al piede. A un anno sapevano afferrare un frisbee a mezz’aria con i denti. A quindici mesi, dopo aver passato settimane a strofinargli il naso nei loro bisogni e a cacciarli fuori, erano addestrati a non sporcare per terra.”
Erma Bombeck
giovedì 26 aprile 2007
mercoledì 25 aprile 2007
martedì 24 aprile 2007
IL MISTERO DI ME STESSO, A ME MEDESIMO FINALMENTE SVELATO

Ma alla fin fine, sono riuscito a conoscere il mistero di me stesso? Devo dire che non è stato facile, anzi, è stata dura convincere me stesso a smetterla di ingozzarsi di patatine fritte e parlare seriamente. Ma alla fine ci sono riuscito. E’ stato molto commovente, non immaginavo di essere una persona così sensibile e delicata, avrei voluto farmi delle domande importanti, ma me stesso era veramente esausto e mi ha chiesto una pausa, una birra grande e un sandwich al gorgonzola.
Ho scoperto di avere tanto amore da dare, anche a più donne contemporaneamente; di avere ancora tanta sete di conoscenza, ci sono circa una cinquantina di vini che devo assolutamente conoscere; di avere qualche desiderio da realizzare, come imparare a fare il babà; di dover controllare determinati impulsi, come l’istinto omicida alla vista di Maurizio Costanzo; di arrotondare alcuni spigoli del carattere, come la facile irritabilità in presenza di cretini in fase conclamata. Ma la cosa più importante, quella a cui ci tengo particolarmente, è trovare una spiegazione definitiva alle mie contraddizioni: credo di aver finalmente capito che io, nonostante il mezzo secolo d’età, non ho ancora deciso chi essere, ovvero mi barcameno miseramente tra il romanticismo estatico e il razionalismo blasè. Come dire fra un bignè alla crema e un biscotto digestive. Questo stato ondivago è causa di incomprensioni ed equivoci oltre a crearmi una sorta di senso di colpa verso tutti coloro (quasi la maggioranza) che non conoscendomi abbastanza hanno qualche perplessità sulla mia salute mentale. Ho pensato a diverse soluzioni: maglietta T-shirt con scritta “state parlando solo con una parte di me, il resto arriverà più tardi, in pullman”; fingere di avere un fratello gemello al quale appioppare tutte le stranezze; diventare molto amico di uno psicoterapeuta.
Ma è proprio questa la mia maggiore urgenza? Quanto me stesso è più importante di un piatto di spaghetti con le vongole? Mi ripeto che conoscere se stessi è fondamentale mentre i gusci vuoti delle vongole mi fissano con abissale disgusto.
lunedì 23 aprile 2007
IL COMMIATO DEL GIORNO

Promessa mai violata di nuova luce,
promessa mai violata di nuova morte.
Guardare la colorata e serena agonia,
riconoscere il rintocco del proprio vespro,
sentire l’odore del giorno che muore,
lasciare che gli ultimi suoni rimbalzino su se stessi,
pensarsi pensanti davanti al vuoto che sorge.
Il commiato del giorno,
lamento di luce,
urla cromatiche,
ultimo respiro delle nuvole.
Fra poco la notte,
foriera di baci o di pianto.
sabato 21 aprile 2007
ASSASSINI NATI

Non dimentichiamo che siamo l’unica specie vivente che uccide non a scopo alimentare. Non dimentichiamo che nei dieci comandamenti, “non uccidere” è al quinto posto preceduto da “onora il padre e la madre”; non dimentichiamo che si può uccidere legalmente per difendersi, per eseguire una sentenza, per fare la guerra. L’assassinio è alla base della civiltà (Caino uccide Abele) e la tortura, il martirio e la morte violenta sono alla base della religione cristiana. L’assassinio è tuttora uno dei mezzi più praticati di conquista del potere politico. Non dimentichiamo che ogni giorno noi abitanti dell’occidente del mondo assassiniamo indirettamente migliaia di abitanti del terzo mondo: le nostre bistecche quotidiane condannano all’inedia uomini, donne, bambini innocenti. Se siamo consci di tutto ciò, non dobbiamo scandalizzarci se il nostro pensiero indugia sull’idea di dare la morte ad un nostro nemico o avversario o, più semplicemente, ad un ostacolo che ci impedisce di raggiungere quella che per noi è sicura felicità. Noi esseri umani siamo assassini nati.
Perché uccidere non solo consente di raggiungere subito un determinato scopo, ma rappresenta anche un momento di totale onnipotenza, di infinito piacere di dominio su tutto: l’assassinio è la più grande bestemmia contro Dio e contro la natura. E la bestemmia è una creazione dell’uomo.
Da un punto di vista morale, desiderare ardentemente la morte di qualcuno e pensare a lungo e dettagliatamente al suo omicidio non è molto distante dal metterlo in atto. Se non uccidiamo è perché abbiamo terrore delle conseguenze legali, non certo di ipotetici sensi di colpa. Quando si odia mortalmente, la colpa non esiste. Infatti, anche in letteratura, quello che sconvolge la mente e il cuore di Macbeth e sua moglie è l’empietà dell’assassinio lucido, privo di odio, dettato solo da un freddo calcolo politico. Invece la fredda, atroce vendetta di Montresor (E.A.Poe: “La botte di Amontillado”) che mura vivo Fortunato è la logica conseguenza di un odio mortale senza limiti e senza pentimenti.
Anche l’amore, anzi, l’amore più di altri sentimenti, può trasformarsi in odio profondo e dare vita ad una guerra senza quartiere e senza regole. La voglia di uccidere, il desiderio di annientare è così forte da fare terra bruciata tutt’intorno, i figli diventano oggetto di scambio e di ricatto, strumenti per esercitare violenza. Così anche i figli impareranno subito a gestire un gran bel genuino odio assassino verso i genitori. Magari daranno sfogo a questi sentimenti organizzando una bella ripresa video dello stupro di gruppo di una compagna di scuola.
La violenza, la crudeltà, la vendetta atroce, l’odio mortale, non devono meravigliarci. Sono i sentimenti tipici dell’uomo. Non è l’amore la peculiarità dell’essere umano: in natura ci sono cetacei, uccelli e primati che potrebbero darci lezioni d’amore. La peculiarità dell’essere umano è la sua infinita capacità di odio e la sua lucida, unica capacità di organizzarlo fino all’assassinio.
Siamo assassini nati.
venerdì 20 aprile 2007
COME UNA NUVOLA

Come una nuvola, lontana
attraversi il cielo del mio giardino.
Oscurando il sole muti i colori,
rinfrescando l’aria plachi l’arsura,
passando maestosa riveli la bellezza impalpabile
delle tue volute ed il mistero del tuo ventre.
Guardo rapito e la tristezza m’assale.
Inadatto a vivere, impreparato a comprendere,
genufletto l’anima, rinuncio all’arena quotidiana.
una farfalla volteggia, a sancire
la crudele bellezza del creato.
giovedì 19 aprile 2007
DUBITO, ERGO...ZUM !

E l’amore? E’ anch’esso ostaggio dell’odierna volgarità, o può ancora lanciarci in stupende riflessioni filosofico-affettive? Difficile crederlo quando si scopre che la propria donna chatta da tempo con il nick “ziaporcona” e ha piazzato la webcam sotto la scrivania. Ma ci dev’essere da qualche parte l’anima gemella che ci aspetta, sperando che nell’attesa non abbia incontrato un’anima cugina e non si sia accontentata. In fondo l’amore per l’altro non è che il pallido riflesso dell’amore ultraterreno, un piccolo anticipo su un capitale futuro. Quello che preoccupa sono le rate del mutuo: ricordarsi degli anniversari, subire decine di telefonate al giorno, ripetere continuamente che ami senza farsi venire il dubbio, non cedere mai alla tentazione di girare per casa in mutande e pantofole, dimostrare comprensione anche il giorno del derby, non confessare mai (neanche sotto tortura) che non furono i suoi occhi a conquistarti ma il suo culo.
In tutta questa complicatissima realtà è facile smarrire se stessi, è normale essere assaliti da dubbi e paure ancestrali (chi siamo? Dove andiamo? Quando scade il mio bancomat?), ma dobbiamo sforzarci di essere consapevoli del nostro piccolo ma indispensabile ruolo nell’orchestra della vita, silenzio….un, due, tre: zum papa, zum papa, zum!
martedì 17 aprile 2007
AFORISMI

L’amore è intravedere nell’altro l’ombra di un supremo, ignoto disegno.
La creazione artistica è un atto misterioso che ci illude di essere simili a Dio.
L’umorismo è l’uscita d’emergenza di un edificio tetro e pericolante quale è la vita quotidiana.
Vivere il sogno e sognare la vita sono due aspetti della medesima assurda avventura umana di cui ci è sconosciuto sia l’inizio che la fine.
La saggezza è un atto di fede nell’incapacità di comprendere e nella necessità di conoscere.
Ridere è una pratica religiosa perché scaturisce dall’osservazione dell’incompletezza umana
La somma barbarie è la mistificazione della storia.
Il successo di un’idea è direttamente proporzionale alla quantità di eresie che provoca.
Solo per l’amante l’anima ha un corpo.
L’apice dello sfruttamento umano è raggiunto quando si arriva a mercificare l’anima:il consumismo è lo sfruttamento più atroce e completo dell’uomo sull’uomo.
L’arte si offre a tutti, ma non concede interviste.
L’economia non è il senso della vita, ci concede di cercarlo.
La scienza non è un valore ma una pratica. Così come la filosofia è l’esercizio dialettico del dubbio.
L’antitesi della fede è il dubbio, poiché l’ateismo è anch’esso un atto di fede.
Il vero bestemmiatore è sempre timorato di Dio.
La grande critica d’arte è sempre il risultato di una violenza perpetrata su se stessi.
L’unica seria ambizione dell’essere umano è la trascendenza.
Conoscendo l’indole umana, si rimane sempre piuttosto meravigliati di fronte agli splendori delle civiltà.
La sana consapevolezza del pregiudizio è l’unica difesa dai falsi pregiudizi.
L’arte non esiste senza l’artigianato. L’artigianato dell’arte concettuale è un’intuizione estetica.
La giustizia è un arbitrio necessario della maggioranza sulla minoranza. Il giudice non deve mai dimenticare di essere un indispensabile aguzzino.
lunedì 16 aprile 2007
IL CAFONE ALL' INFERNO

Allora Lucifero, sentendo queste cose, chiamò a sé tutti i diavoli e disse loro:” Fratelli, come ha potuto constatare coi suoi occhi questo nostro fratello che viene di lassù, noi stiamo per essere sopraffatti da un altro inferno che ci fa concorrenza. Dunque, per conservare la nostra sovranità, prendete tutti gli attrezzi e andiamo a stabilirci nel Tavoliere delle Puglie”.
domenica 15 aprile 2007
sabato 14 aprile 2007
LA STIRPE DI CAINO

L’amore fa credere che l’altro sia indispensabile (difetti compresi), che l’altro sia fonte inesauribile di gioia e sicurezza, che la vita sia una cosa meravigliosa. Perché? Forse il motivo consiste nel fatto che se non ci fosse una spinta così forte sarebbe molto difficile decidere di stringere quel famoso patto di alleanza di cui sopra ed accettarne tutte le conseguenze; solo un sentimento così forte e misterioso può vincere la naturale reciproca diffidenza e il legittimo timore di un ignoto, sinistro futuro. Il destino dell’uomo e della donna è stato scritto migliaia di anni fa quando il prototipo di uomo, narcisista e fessacchiotto, fece combutta col prototipo di donna, curiosa e coraggiosa, e finirono con l’essere cacciati a calci nel sedere dal paradiso terrestre. Ma non finisce qui. Le scritture ci dicono incontestabilmente che siamo votati allo scontro, alla ybris, all’invidia sacrilega, alla sopraffazione e all’empietà; l’umanità deriva da un pazzo assassino: noi siamo la stirpe di Caino.
venerdì 13 aprile 2007
giovedì 12 aprile 2007
RISVEGLI
Il suono della sveglia mi fece saltare dal letto…avevo sognato! Mi ero appena messo in piedi quando udii dalla strada “scarcioffiiii”, il sangue mi si gelò, andai in cucina e cominciai a preparare il caffè solubile.
mercoledì 11 aprile 2007
LINA WERTMULLER - Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto
LE VETTE DELLA CIVILTA'
capitolo secondo
PARI SIAMO ! IO LA LINGUA, EGLI HA IL PUGNALE

L’arte dell’insulto nasce nel momento in cui unendo psicologia e creatività si riesce a forgiare l’ingiuria ad personam, si riesce cioè, pur attingendo allo sterminato repertorio esistente, a “costruire” un insulto su misura, personalizzato, che va a colpire mortalmente le debolezze e le contraddizioni dell’avversario. Non è cosa da tutti, essa richiede consapevolezza delle potenzialità del mezzo e perfetta conoscenza e padronanza di tutto il repertorio. Saper insultare con successo può essere paragonato al saper tirare di scherma, o alla famosa disciplina zen del tiro con l’arco.
Non c’è da fidarsi molto di coloro che non ricorrono mai all’uso dell’ingiuria, potrebbero rivelarsi persone che preferiscono la violenza fisica a quella verbale o potrebbero essere persone talmente beate ed in pace col mondo da risultare folli, affette da quel genere di follia che rasenta la santità ma che impedisce di condurre una vita normale. Anche il bestemmiatore abituale è da evitare, per lui la stessa vita è un insulto e quindi non è in grado di discernere tra la realtà che va pazientemente sopportata e quella contro la quale bisogna insorgere e reagire. Poi ci sono gli educati, i perbenisti, quelli che non perdono mai la bussola e che spesso si confortano con ansiolitici e consulenze psicoterapeutiche. A costoro vogliamo ricordare che dicendo caspita, corbezzoli, cribbio, osteria, porcogiuda, ed altro, non fanno altro che usare eufemismi per significati ben poco edificanti e comunque tutti riconducibili alla pratica del turpiloquio. Allora forse è meglio dirla qualche volta una gran bella parolaccia, così come togliersi la soddisfazione di “colpire” culturalmente una persona che ci sta tanto antipatica e che non vorremmo più vederci intorno.
Una pratica consapevole ed equilibrata dell’insulto è sicuramente una cosa positiva: ripristina le giuste distanze sociali e personali ed è altamente liberatoria. E poi a volte accade che dopo essersi reciprocamente mandati affanculo si scopre di amarsi disperatamente.
martedì 10 aprile 2007
LASSU' QUALCUNO MI AMA

All’improvviso un cicalino ruppe il religioso silenzio “signori, sono il tecnico dell’ascensore, mi trovo nella cabina di comando all’ultimo piano, adesso vi tiro su e potrete uscire”. Ero salvo. La testa mi doleva per le apnee ripetute ma ero vivo. L’ascensore riprese la sua salita, io ero felice, avevo avuto una prova inconfutabile: lassù qualcuno mi ama.
lunedì 9 aprile 2007
LA PASQUETTA PERFETTA

Sicuramente qualcuno obietterà che è una tradizione e che come tale va rispettata e onorata. Mi permetto di far notare che la Pasquetta è tradizione alla stregua di altre festività tipo la festa della mamma, la festa del papà, san Valentino, ecc,; ma anche se fosse una tradizione, che vuol dire? Per caso la corrida, in Spagna, non è un’antichissima tradizione? Eppure dovrebbe essere immediatamente vietata. Il senso profondo e autentico della tradizione consiste nel tramandare di generazione in generazione valori positivi, senso di identità culturale e di appartenenza a una comunità. Non mi sembra che festeggiare il consumismo campestre a suon di musica da discoteca e sonore scoreggie rappresenti un evento culturale o contenga valori degni di essere tramandati.
Comunque sia, oggi 9 Aprile 2007, giorno di Pasquetta, il sole splende caldo sulla campagna fiorita, sarà una bella giornata per i milioni di gitanti italiani, un giorno da dimenticare per la fauna e la flora selvatica, il giorno della graticola per agnelli e capretti sgozzati per farci felici.
Buona giornata.
domenica 8 aprile 2007
sabato 7 aprile 2007
CIELO, MIO MARITO !!

Normalmente si crede che vi siano due grandi categorie tipologiche di tradimento amoroso: quello unicamente sessuale, che non pregiudica i rapporti sentimentali esistenti, anzi, paradossalmente ha lo scopo di rafforzarli; quello sentimentale, in cui l’innamoramento di un’altra persona viene solo temporaneamente nascosto e vissuto clandestinamente per motivi di vario genere, ma che è inevitabilmente destinato a uscire allo scoperto. In realtà vi è un’altra categoria, non poco frequentata, assolutamente originale e non riconducibile alle precedenti già citate: il tradimento autoreferenziale è una forma di infedeltà particolare, in cui la molla che spinge a cercare un altro partner non è né di tipo sessuale né di tipo affettivo. E’, sostanzialmente, la risultante di diversi elementi: necessità di alimentare la propria autostima, necessità di dimostrare a se stessi di essere capaci di trasgredire, necessità di verificare l’efficacia della propria finzione, necessità di dimostrare ogni volta la propria cinica visione della vita e dei rapporti personali. Insomma una sorta di tecnica relazionale per soddisfare alcune pulsioni molto forti, niente che non riguardi il proprio io profondo.
Questo è il tipico caso in cui si tradisce il proprio partner per essere fedeli a se stessi, per provare a se stessi di non essere rimasti in gabbia in un rapporto fossilizzato, basato sulla consuetudine. E’ il tipico tradimento che si consuma “a prescindere” da chi ne è oggetto e da chi ne è vittima; è il tipico tradimento inevitabile e soprattutto ripetibile all’infinito,non vi è alcuna possibilità di neutralizzarlo. Eppure c’è chi si ostina a combatterlo: nuove lune di miele, consulenti matrimoniali, rinnovata creatività nella disponibilità sessuale, regali, coccole esagerate, eccetera eccetera.
Perché il tradimento, in generale, è così destabilizzante? Prima di tutto perché rompe degli archetipi legati alla sopravvivenza della specie: per la donna è sinonimo di abbandono, di privazione della sussistenza e della protezione per sé e per i suoi figli; per l’uomo è grave minaccia per la propria riproduzione e per il ruolo e prestigio sociale all’interno della tribù. Poi subentrano aspetti psicologici: il tradimento del partner è una minaccia gravissima al proprio livello di autostima, ci si sente “preferiti” ad un altro/a, e questo è estremamente doloroso; la paura della privazione, della perdita, del lutto, una morte affettiva improvvisa alla quale non si riesce a rassegnarsi; la frustrazione del senso di “possesso” del partner, la perdita dell’esclusiva affettiva che distrugge quel senso di unicità indispensabile che si credeva di rappresentare per l’altro; dolore per il sentirsi truffati, presi in giro, da chi mai avreste pensato essere capace di farlo.
Il “tradimento”, accezione cristiana di una parola latina che significava “consegnare”, tradere, (infatti la “consegna” di Gesù fatta da Giuda nell’Orto dei Getsemani rappresenta “il tradimento” per antonomasia). Il tradimento, nei suoi molteplici aspetti, è sempre presente nella vita di ciascuno di noi, primo fra tutti forse il tradimento più grave, il più serio, quello verso se stessi: non esiste uomo e donna che almeno una volta nella vita non abbia tradito le proprie convinzioni, le proprie autentiche aspirazioni, i propri veri sentimenti. Poco importa sapere che si avevano dei buoni motivi, ci sono sempre dei buoni motivi alla base del tradimento di se stessi, ma ci serve convincerci di questo per poterci perdonare e dimenticare al più presto. Strano, la comprensione e la pietà che abbiamo con noi stessi è infinitamente più grande di quella che abbiamo verso gli altri, con le persone che amiamo; noi ci perdoniamo in fretta, ma non perdoniamo agli altri; noi abbiamo sempre un buon motivo, gli altri non hanno mai dei buoni motivi.
Comunque si dispongano gli elementi di questa questione non si sfugge ad una realtà oggettiva: siamo dei grandi fetenti, bugiardi e traditori. Per cui costruire la propria esistenza inseguendo il miraggio dell’”anima gemella” può essere molto pericoloso, impariamo ad accontentarci dell’”anima cugina”, magari non è il massimo, ma ha un vantaggio: non è merce rara, i cugini, più o meno alla larga, si trovano molto più facilmente dei gemelli.
venerdì 6 aprile 2007
IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI

La Pasqua cristiana, il giorno della resurrezione a nuova vita di pace e di amore, noi la festeggiamo con lo sgozzamento di oltre due milioni di agnelli, un mare di sangue.
Tutto sommato la vittima sacrificale, il capro espiatorio, è sempre appartenuta alla nostra cultura; pensiamo di essere moderni, di esserci liberati di pesanti e discutibili consuetudini, crediamo che i veri valori siano l’amore, la pace e la tutela della natura. In realtà siamo cambiati ben poco o forse siamo peggiorati, siamo pronti a qualsiasi sacrificio per non turbare il nostro cane o il nostro gatto ma non abbiamo nessuna difficoltà a comprare, cucinare e mangiare un agnellino trucidato e dissanguato. Dobbiamo festeggiare la Pasqua, la vita che vince sulla morte, e lo facciamo procurando la morte di milioni di indifesi esseri viventi. Buona Pasqua.
giovedì 5 aprile 2007
LA MORTE, QUESTA SCONOSCIUTA

Ricapitolando, la questione sta in questi termini: temiamo la morte ma non ne sappiamo nulla. Non è solo legittimo timore di patire dolore e sofferenze, è proprio paura dell’ignoto, paura di dover lasciare ciò che si conosce per una cosa che non si conosce, certi che mai nessuno la conoscerà. E’ questo il motivo per cui l’uomo non vuole morire e fa di tutto per procrastinare questo ineluttabile evento. La cosa paradossale è che questo voler vivere il più possibile si verifica a tutte le latitudini, un giovane sudamericano che sopravvive faticando come una bestia per dieci ore al giorno in una miniera a cielo aperto ha la stessa determinazione di un impiegato della Provincia, noto luogo ameno in cui si pratica allegramente otium et negotium fra cappuccini e cornetti. Poi ci sono i poeti, coloro che sostengono che si può vivere la vita ma essere interiormente, affettivamente e culturalmente, morti. Ma questa è un’altra faccenda.
Non c’è molto da fare e men che meno da dire su questa faccenda, la cosa più intelligente da fare è aspettare, stare a vedere che succede, essere curiosi ma calmi; la calma è fondamentale, non bisogna avere alcuna fretta. Anche quando avremo la sensazione che il nostro tempo stia per finire dobbiamo restare calmi, la fretta non serve a niente, se la nostra ora è arrivata scopriremo l’arcano, se invece è stato un errore ricordatevi la prossima volta che non è opportuno mangiare due chili di cozze crude e tuffarsi in acqua per digerire meglio.
mercoledì 4 aprile 2007
L'ECCEZIONE E LA REGOLA

Feriscono
Come fulmini
La campana fioca
Del cielo
Sprofondano
Impaurite
“Solitudine” di Giuseppe Ungaretti
La solitudine è uno stato mentale, una dimensione dello spirito. Ci si sente soli in un supermercato, mentre si fa la fila alla cassa e tutti guardano sbigottiti il tuo carrello che contiene solo carta igienica e pizza surgelata. Ci si sente soli in un cinema, il lunedì pomeriggio al primo spettacolo. Ci si sente soli a messa, quando si scambia il segno della pace con gente della quale non te ne frega nulla. Ci si sente soli di notte, mentre si divora un pessimo panino con le acciughe. Ci si sente soli dopo una telefonata all’amico lontano. Ci si sente soli quando non si è creduti. Ci si sente soli quando ti sembra che la vita si sia dimenticata di te. Ci si sente soli quando si girovaga sul web per passare il tempo che non passa. Ci si sente soli quando ci si sforza di essere allegri per non essere costretti a dare spiegazioni che non ci sono. Ci si sente soli quando si accende il televisore per non sentire il silenzio che ti assedia. Ci si sente soli quando si incontra un’altra solitudine e non c’è nulla da dire.
Ognuno di noi è un mondo a parte. In ognuno di noi sono serbati ricordi ed esperienze che mai nessun altro potrà condividere. Pensieri intimi, fantasie innominabili, piccoli e grandi segreti. Siamo soli nel momento della nascita e in quello della morte, dovremmo essere abituati a questa ineluttabile condizione monadica. E invece no, ogni volta ci ribelliamo e facciamo di tutto per spezzare questo destino, illudendoci che un giorno ci riusciremo. Canzoni, poesie, romanzi, teatro, cinema, tutti hanno cercato di esorcizzare questo demone, questa scimmia infernale appollaiata sulla nostra spalla. Per molte persone questo stato può essere causa di profondo disagio e di nevrosi, per altre è fonte di reddito (psicoterapeuti, dietisti, artisti, lenoni, agenzie di incontri, siti web, ed altro), per la maggioranza è un peso da sopportare non senza difficoltà. Forse l’aspetto più pericoloso di questa condizione consiste nella presunzione che la propria solitudine sia più pesante e insopportabile di quella degli altri, che il proprio fardello sia il più grosso, che nessuno sia in grado di capirci.
In realtà siamo grotteschi. La nostra presunzione ci trasforma in macchiette sempre preoccupate a raggiungere “la felicità”, come deformi fenomeni da baraccone ostentiamo il nostro sublime dolore e innalziamo penose invocazioni per un destino meno crudele; come marionette ci sbattiamo in ogni modo per sfuggire all’eccezione della solitudine in una regola fatta di vita serena e gioiosa. Ma non abbiamo capito nulla, o ci ostiniamo a non volerlo capire, non vediamo che la solitudine è la regola e che la sua eccezione consiste in brevi momenti di gioia e serenità. Se avessimo il coraggio e l’intelligenza di considerare questa realtà forse vivremmo molto più intensamente e consapevolmente quelle poche eccezioni che la vita ci concede; la regola, la solitudine, sarebbe più sopportabile e molto meno dolorosa. Parole inutili.
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
“Ed è subito sera” di Salvatore Quasimodo
martedì 3 aprile 2007
FLATUS VOCIS

L’ambivalenza della voce, intesa come emissione di suono puro e suono articolato nel linguaggio, consente la realizzazione di quella magica e unica forma di espressione musicale quale è il canto. Con il canto la voce viene arditamente piegata alle regole della musica e a quelle del linguaggio per poter raggiungere un livello di comunicazione linguistico-affettiva che tende all’espressione totale di poesia e musica. Attraverso il canto i connotati della voce (tono, timbro, registro) acquisiscono valenze e significati che superano l’individualità del cantante per diventare strumenti di evocazione emotiva e di narrazione simbolica. Essi non rappresentano solo l’essenza del cantante ma diventano oggetto di identificazione affettiva dell’ascoltatore: la voce del cantante si trasfigura in quella dell’ascoltatore, passa da una dimensione privata ad una collettiva.
Le due componenti, quella linguistica (logos) e quella affettiva (pathos), si manifestano in modi, quantità e rapporti diversi, in base alle caratteristiche della composizione musicale, pur essendo sempre presenti in contemporanea. Per cui avremo composizioni in cui la parte linguistica sarà prevalente su quella affettiva e viceversa, il tutto dipenderà dall’autore, dal genere musicale e dall’esecutore, ovvero dal cantante.
La grande potenza evocativa della voce non ha paragoni nel vasto repertorio degli strumenti musicali del mondo, poiché la voce è l’unico strumento/persona; la voce cantata non emette solo suono e linguaggio ma trasporta con sé l’umanità, il senso dell’essere, la volontà di esistere. La voce cantata non solo dice, ma si dice; racconta, ma si racconta; manifesta, ma si manifesta.
In questa dimensione anche il silenzio assume un significato profondo, esso diventa parola non detta, voce non espressa; il silenzio entra, assordante, nell’espressione del linguaggio non profferito, nello spazio dell’affetto non espresso. La “voce” del silenzio racconta anch’essa una storia nata con l’uomo: il silenzio “è” quando la voce “non è”, senza la voce il silenzio non esisterebbe.
lunedì 2 aprile 2007
CEFALO IN LOVE

La questione è complessa ed è stata oggetto di studi di vario genere senza che si siano raggiunti risultati univoci. Il problema principale è che l’uomo è biologicamente e culturalmente modellato per rispondere a precise esigenze di carattere riproduttivo della specie e di carattere sociale. Il linguaggio, ad esempio, è per lui soprattutto mezzo di scambio di informazioni piuttosto che esternazione della propria interiorità; e infatti due uomini che chiacchierano del più e del meno sono infinitamente più noiosi di quanto non lo siano due donne, la chiacchiera femminile “produce” sempre qualcosa, quella maschile non per nulla è definita “cazzeggio”, ovvero totalmente inutile. L’uomo viene educato a risolvere i problemi, ad avere un approccio meccanicistico alla vita, a tendere alla razionalizzazione di tutto, ad apparire forte e sicuro. Quando accade, e quasi sempre contro la sua volontà, di essere travolto dall’amore, ecco che si trasforma in un cefalo, una copia squamata e catatonica di quello che era prima. Uomini grandi e grossi, magari anche un po’ burberi, si lanciano senza vergogna sul terreno minato del “love talking”: amoruccio, tesorino, passerotto, gattina, polpettina e altri ameni appellativi che mai ci si sarebbe sognati di usare. Anche il modo di parlare cambia, si diventa preda del “baby talking”, in cui il normale timbro di voce muta assumendo toni infantili ed emettendo suoni demenziali. Il cefalo ora è sulla graticola, ma lui, come il martirio di San Lorenzo, non sente il dolore, anzi è felice di esserci perché quel ferro rovente è sicura promessa di eterna beatitudine. Domande oscene come “quanto mi ami?” o “mi hai pensato oggi?” suonano come armonie celestiali e si affanna a rispondere con iperbolica affettazione; anche quando le domande tendono ad assumere il tono di un perfido interrogatorio riesce a mantenere quell’aura e quell’espressione da mercato ittico. Come fare a rispondere, senza essere prosaici o svelare le proprie miserie umane, alla domanda “perché non mi hai risposto al telefono?”, non si può dire impunemente “cara, stavo facendo la cacca” e allora ci si inventano docce bibliche o raccomandate da firmare giù al portone. Ma l’apice della totale metamorfosi in muggine viene raggiunto nell’intimità: quei rifiuti ripetuti e quelle brusche inspiegabili interruzioni, che in altri casi sarebbero stati motivo di immediata irritazione e rapido definitivo commiato, vengono vissuti con serafica pazienza e immutata adorazione.
Questa faccenda della metamorfosi amorosa è una nemesi per l’uomo, nessuno ne è sfuggito e nessuno mai ne sfuggirà. L’uomo, per poter entrare in sintonia sentimentale con la donna, deve cambiare, deve squarciare il suo bozzolo spinoso e con le nuove squame lucenti tuffarsi nel mare dei sentimenti; ma quest’uomo rinnovato, a dispetto della stupenda canzone napoletana, non è O’ Guarracino, è un grosso, stupido, cefalo.