martedì 15 novembre 2011

LO SQUINTETTO




Ogni essere umano custodisce dentro di sé il proprio universo musicale fatto di esperienze di ascolto filtrate dalla propria sensibilità e da nessi metamusicali che affondano nella storia personale. Un mondo di suoni e di musica assolutamente privato e strettamente legato alle esperienze di vita, alla personale affettività, al tempo della musica che sospende lo scorrere del tempo dell’esistenza.
Questo bagaglio musicale che ognuno di noi si porta dentro, e che non cessa mai di arricchirsi e di appesantirsi, è il punto di partenza del percorso che Lo Squintetto offre al proprio pubblico.
I cinque musicisti analizzano i propri universi musicali per estrarre quel “minimo comune denominatore” che sarà la base del loro repertorio; un repertorio estremamente variegato nei colori ma anche formalmente omogeneo, dotato di una fluidità a volte sorprendente. Per fare tutto ciò non è sufficiente attingere a piene mani fra i generi e saper esercitare gli stili; è necessario prima di tutto un approccio rigoroso che si fonda sul “cimento”, sulla prova, sulla sfida, dove la prassi musicale passa attraverso il controllo assoluto dello strumento e dove il materiale musicale eterogeneo viene impiegato per la costruzione di una nuova architettura, una sorta di “opus incertum”. La “malta” che adopera Lo Squintetto per unire i diversi materiali è l’ironia, la gag verbale e mimica, il gioco. Giocare, to play, che in inglese significa anche suonare e recitare, è un mettersi alla prova, esplorare le proprie capacità, cercare i propri limiti. Ma è anche abbattere il muro invisibile che spesso divide il palcoscenico dagli spettatori, è annullare quella distanza tra artista e pubblico tanto cara all’estetica tardo romantica, è distruggere l’iconografia novecentesca (Adorno docet) dell’artista intellettuale comprensibile solo da parte di pochi “sacerdoti” dell’Arte.

Lo Squintetto fa un racconto giullaresco della musica creando un’atmosfera circense nella quale spiccano gustose citazioni che rimandano ai fratelli Marx, a Oliver & Hardy, a Totò, a una vena goliardica spietatamente autoironica. In questo magma caleidoscopico fluisce costante l’amore per tutta la musica, intesa come veicolo di comunicazione universale al di là dei generi e delle culture.
Non è musica da ridere, è musica che lascia un segno: un guardarsi in uno specchio col sorriso sulle labbra.


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