lunedì 13 dicembre 2010

NOI CREDEVAMO


In pieno clima celebrativo dell’anniversario dell’unità d’Italia e della sacrosanta ripresa, ancora da parte di pochi coraggiosi, del racconto della verità storica sulla spedizione dei Mille (raccomando la lettura di “Terroni” di Pino D’Aprile o, più semplicemente, gli scritti sull’argomento di Gaetano Salvemini e di Antonio Gramsci), giunge nelle sale cinematografiche italiane il film di Mario Martone “Noi Credevamo”. Si tratta di un racconto lucido e amaro sugli ideali risorgimentali e sugli uomini e donne che decisero di abbracciarli e farne unico scopo di vita. Martone ha il coraggio di sollevare lo spesso velo di retorica e di menzogne che era stato calato dal nuovo potere dell’Italia unita per nascondere la verità storica e per legittimare anche da un punto di vista ideologico il progetto di Cavour di annessione al Piemonte degli altri stati della penisola. Martone non mette in discussione la genuinità dello slancio patriottico dei giovani che aderirono alla Giovine Italia ma, allo stesso tempo, non nasconde la loro ingenuità, le loro contraddizioni di origine aristocratica o alto borghese, il loro populismo, la loro totale mancanza di sintonia col popolo reale. Questi giovani ingenui e pieni di impeto vengono usati, fino al punto di essere carne da macello, da coloro che tengono le fila della cospirazione, personaggi come Giuseppe Mazzini e Francesco Crispi, giusto per citare i più famosi passati alla storia. Il film narra le vicende di tre giovani amici di un paese del Cilento che aderiscono alla Giovine Italia e si votano alla causa di un’Italia unita e repubblicana. Essi vivono fino in fondo l’oscura stagione della cospirazione anti Savoia e anti Napoleone III costellata di tentativi insurrezionali falliti, di tradimenti, di attentati andati a vuoto. La fede libertaria consente di resistere al carcere borbonico ma la disillusione della violenza e della prepotenza piemontese che si abbatte sull’economia e sulle vite del popolo del sud non concede alcun margine alla speranza per un mondo migliore. Uno solo dei tre sopravvive ma è costretto ad assistere al naufragio disperato di tutti quegli ideali che lo avevano tenuto in vita: l’aver creduto non è stata un’attenuante, anzi, forse è stata la colpa maggiore.
Il film si avvale di una sceneggiatura complessa ma fluente, i dialoghi sono densi di teatralità ma acquistano agilità grazie a un montaggio estremamente efficace. Una menzione particolare va alla fotografia tesa a rendere la luce realistica e naturale, ricca di inquadrature che rivelano uno studio attento dell’iconografia dell’epoca. Anche la scelta musicale di impiegare brani di quel periodo (da Verdi a Donizetti) si rivela molto efficace. In questo film Martone acquista definitivamente un’identità estetica autonoma pur non nascondendo le influenze di grandi maestri come Visconti (il senso del particolare e la ricercatezza dell’inquadratura), Kubrik (la luce come elemento narrativo), Leone (la “geografia” dei volti, il viso come finestra sull’anima).
La tematica dell’ideale deluso, della disillusione, del tradimento della speranza di cambiamento non è nuova nel cinema italiano, basti pensare a film come “I Compagni” di Monicelli, “San Michele Aveva Un Gallo” e “Allonsanfan” dei fratelli Taviani per cogliere il filo rosso che unisce il film di Martone alla storia del cinema italiano. Ma è sicuramente la prima volta che questa tematica viene raccontata in una precisa e puntuale dimensione storica diventando un atto di accusa contro la retorica di stato, contro la menzogna della storia che ancora imbratta i libri di testo delle nostre scuole.
“Noi Credevamo” è una produzione di RaiCinema la quale ha deciso di stamparne solo trenta copie da distribuire nelle sale cinematografiche italiane. Perché? Perché solo a film ultimato i burocrati della Rai al soldo dei partiti si sono accorti che si tratta di un film estremamente scomodo, anzi pericoloso. Il nostro Risorgimento non è stata una fulgida epopea bensì un periodo cupo denso di tradimenti, intrighi, menzogne lavate col sangue innocente di giovani ingenui e idealisti. L’unità d’Italia fu il risultato di “inciuci” e intrighi internazionali architettati da cinici uomini di potere che seppero sfruttare le mire espansionistiche delle super potenze di allora e il forte ascendente di alcuni “cattivi maestri”. Come al solito a pagare sono stati sempre i soliti: il popolo e gli ingenui.

2 commenti:

ap ha detto...

Ben tornato Saverio. -Noi credevamo- a torto, che ti fossi stancato di arricchire il tuo Blog con riflessioni stimolanti rigurdanti problematiche attuali, anche con riferimento ad un passato travagliato dell'unità d'Italia ai nostri giorni ancora non pienamente compiuta. Mi chiedo e tichiedo se Siamo ancora in tempo a sganciarci e riaffermare le nostre nobili radici quali eredi della magna grecia- Piero

Saverio ha detto...

Grazie Piero,
la tua domanda è più che mai pertinente visto che stiamo vivendo un periodo in cui sta emergendo la verità su questioni tipo i rifiuti, la crisi dell'industria, la scuola, ecc.
E' cosa ormai assodata che la "questione meridionale" sia nata proprio con l'unità d'Italia quando l'indebitato Piemonte spogliò il Regno delle Due Sicilie di tutte le sue ricchezze lasciando la popolazione a morire di fame e a emigrare.
Secondo me il possibile "riscatto del Sud" passa attraverso due strade: una culturale che deve costruire una vera identità orgogliosa della propria storia e delle proprie potenzialità; ed una politica attraverso la quale bisogna avere il coraggio di rifiutare la logica del voto di convenienza e usare la delega per dare fiducia a persone oneste realmente impegnate a servire la comunità. I partiti sono fatti da persone e noi dovremmo guardare le persone. Tutto ciò diventa difficile con l'attuale legge elettorale, se non verrà cambiata non ci resta che far sentire il nostro peso...Ti immagini cosa potrebbe succedere se tutti i cittadini del Sud decidessero di fare lo sciopero del voto?
A presto e tanti auguri..