venerdì 19 giugno 2009

DIRITTI E DOVERI


Il referendum abrogativo è l’unico mezzo previsto dalla nostra costituzione attraverso il quale i cittadini possono censurare, modificare o confermare il lavoro legislativo delle due camere. Il referendum è uno strumento democratico preziosissimo poiché sancisce in modo inequivocabile la priorità della sovranità popolare sul funzionamento dello Stato. Nella storia dell’Italia repubblicana il referendum ha avuto un ruolo fondamentale nel progresso della civiltà giuridica e nel riconoscimento dei diritti civili. Senza il referendum non avremmo avuto il divorzio e la peste dell’aborto clandestino avrebbe continuato ad affliggere la nostra società. Senza il referendum si sarebbero moltiplicate le centrali nucleari e saremmo infestati da rifiuti radioattivi sparsi e occultati chissà dove dalle varie mafie nazionali. Il referendum rappresenta per i partiti politici un grosso pericolo per almeno due ordini di motivi: scavalca di fatto il potere politico costringendolo a dover fare i conti con l’espressa volontà popolare senza mediazioni e compromessi; l’esito referendario assume di fatto un consistente valore politico poiché rivela il grado di sintonia e di consenso dei cittadini nei confronti dei vari schieramenti. Il primo uomo politico che ha escogitato il sistema per neutralizzare la mina vagante referendaria è stato Bettino Craxi, il quale invitò gli italiani a disertare le urne e ad andare al mare, confidando nella scarso senso dello stato degli italiani e nella loro grande passione per la pasta al forno, melone rosso e pennichella sotto l’ombrellone. Da quel momento in poi, ogni volta che è stato posto un quesito referendario, i partiti politici si sono espressi non più sul merito del referendum bensì sul fatto se fosse opportuno o meno andare a votare. Da quel momento sono stati diversi i referendum che non hanno raggiunto il quorum dei votanti che ne sancisse la validità. E qui emerge la contraddizione di coloro che, politici e alte cariche dello stato, quando si tratta di elezioni parlano del voto come di un diritto-dovere, ma quando si tratta di un referendum tacciono o, peggio, propagandano l’astensionismo. Il senso di questo binomio diritto-dovere (che potrebbe sembrare un ossimoro) sta nel fatto che il diritto è sancito dalla costituzione mentre il dovere è una sorta di senso di responsabilità, ovvero è un dovere in senso etico, è un sentimento che ogni cittadino consapevole e democratico dovrebbe sentire come dovere nei confronti di se stesso, della società e dello stato (inteso come patria, come identificazione e orgoglio culturale). Non è detto che tutti i cittadini accettino questo binomio, ognuno è libero di pensare come vuole, ma è assolutamente indispensabile che i politici e le cariche dello stato non solo lo accettino quanto, soprattutto, lo pongano alla base della vita democratica delle istituzioni. Non è ammissibile che chi ricopre cariche istituzionali (dal consigliere di circoscrizione al ministro, dal senatore al presidente del consiglio) inviti apertamente e spudoratamente all’astensionismo. Chi lo fa disprezza le istituzioni e mostra il suo vero volto di uomo dedito alla politica per il raggiungimento del potere da usare per fini personali. Chi invita a disertare le urne non ha alcun senso dello stato e infanga il ruolo istituzionale che ricopre. Propagandare l’astensionismo rappresenta un insulto alla democrazia, alla costituzione e ai liberi cittadini; è come se dicessero: lasciate stare, non è roba per voi, andate a divertirvi e lasciate le cose serie a noi, che ci sappiamo fare, della vostra opinione non ce ne frega niente, voi cittadini dovete solo votare chi diciamo noi e pagare le tasse.
A cominciare da Voltaire fino a Gaetano Salvemini (uomini che hanno dedicato la vita alla libertà) i dubbi sulla imperfezione della democrazia (sulle conseguenze anti progressiste del criterio quantitativo) non sono mancati, ma se poniamo come base fondamentale i diritti di ogni essere umano non possiamo fare altro che accettarne le conseguenze, solo in un secondo momento potremo dedicarci alla crescita civile e culturale dei cittadini e investire sulla qualità delle opinioni. Il referendum è una pratica democratica che induce alla formazione di opinioni autonome e sviluppa il senso della responsabilità civile perché collega direttamente il cittadino all’istituzione, senza la mediazione dei partiti. Attraverso il referendum la voce e le opinioni della gente entrano di forza nella stanza dei bottoni con un’autorità assoluta. Chi diserta le urne avvalla un concetto “pederasta” della politica per cui chi è al potere tiene per il culo tutti gli altri. Andare a votare (indipendentemente dall’opinione che si esprime) è un atto di civiltà, di responsabilità democratica e rappresenta anche un bel calcio nel culo a tutti quei politici marci e arroganti che ammorbano le istituzioni repubblicane.

2 commenti:

ap ha detto...

le risorse destinate al referendum potevano avere un destinazione migliore. Perchè scaricare su di noi la responsabilità di un si o un no dal momento che li abbiamo mandati al parlamento? Se non sono in grado di decidere che si dimettano-

Saverio ha detto...

Caro Piero,
per quanto riguarda le risorse economiche impegnate per lo svolgimento del referendum bastava che esso si fosse svolto in contemporanea con le elezioni europee. Invece i partiti che propagandano l'astensionismo hanno opportunamente fatto slittare la data per evitare che tale campagna influenzasse l'afflusso alle urne per le elezioni europee. Ce la vogliamo prendere, una volta tanto, la responsabilità di esprimere le nostre opinioni? Per quanto riguarda il decisionismo dei partiti al potere, mi sembra evidente che esso sia molto attivo solo su questioni che riguardano i loro biechi interessi.
Grazie, a presto.