Piccola anima, dolce e vagabonda,/ospite e compagna del corpo,/dove andrai ora/ pallida gelida e nuda/ non giocherai più secondo il tuo costume.
Adriano imperatore
Anche il più ortodosso fra i credenti viene assalito dal dubbio sull’esistenza dell’anima quando ha a che fare con un assicuratore o si trova a lottare disperamene contro la voce senza volto di un call center. Quella che Dante chiama “angelica farfalla” a volte si manifesta come una mosca stercoraria, soprattutto se si trova al di là di uno sportello, di una scrivania o di un bancone di informazioni. In verità ammettiamo molto più facilmente che il nostro cane, il nostro gatto o il nostro criceto abbiano un’anima piuttosto che l’amministratore del condominio. La questione è che noi diamo alla parola “anima” un significato positivo, strettamente collegato a concetti come il bene e la sincerità. In realtà se l’anima esiste, non è detto che debba essere buona, anzi, se il legittimo proprietario è un sanguinoso delinquente è altamente probabile che la sua anima sia fetente almeno quanto la persona in oggetto. Decenni fa, un originale uomo di scienza americano sosteneva di avere la prova dell’esistenza dell’anima: la differenza di peso (intorno circa al mezzo chilo) fra un moribondo e un morto. Il cadavere pesava sempre qualcosa in meno rispetto al momento in cui era ancora in vita: quella differenza era il peso dell’anima. All’epoca la scoperta fu poco pubblicizzata poiché si temeva che qualcuno potesse confondere la cosa con un’iniziativa di Weight Watchers e suicidarsi allegramente. Dobbiamo ammettere, una volta per tutte, che il concetto di anima è piuttosto imbarazzante: un qualcosa che nasce con noi, che ci fa compagnia da sempre e che a un certo punto ci abbandona tranquillamente per svolazzare libera a suo piacimento. La nostra anima è menefreghista e cinica, fino a quando il corpo funziona va tutto bene, quando la nostra carcassa si rompe definitivamente, senza pensarci due volte, senza un discorso di circostanza o un pianticello d’occasione, ci abbandona velocemente. Certo per chi sopravvive è piuttosto consolante pensare che il proprio caro non sia completamente estinto, d’altra parte non è piacevole pensare che ci sono anime di mafiosi, assassini e pedofili che se la spassano nell’etere volando ubriachi e senza patente. E cosa pensare delle povere anime della pepata di cozze divorata ieri sera? E dell’anima del candido agnello sgozzato e dissanguato che mangiamo il giorno di Pasqua? Vogliamo parlare delle anime dei visoni scuoiati vivi per fare la bella giacca che indossa vostra moglie tre volte l’anno?
Forse è meglio convincersi che l’anima non esiste e che, una volta defunti, quel che resta di noi sia solo oggetto di amorevoli attenzioni da parte di batteri e vermi assortiti. In questo caso sopraggiunge un disperato senso di inutilità, ci si interroga attoniti sul senso della vita senza trovarne una risposta accettabile. La questione è tutta lì, nel fatto che vorremmo una risposta esauriente. La nostra razionalità ci impone la costruzione di scenari verosimili nei quali credere e sperare, invece, molto probabilmente, è vero l’esatto contrario, non ci sono risposte né certezze ma solo domande che generano altre domande, interrogativi che ci fanno vagare nel labirinto del sapere, mitologie vecchie e nuove che abbracciamo disperatamente per carpire un briciolo di Verità. La cifra dell’essere umano è il mistero, un mistero che il progresso della scienza dilata sempre più, un mistero che la religione promuove a inintelligibile senso compiuto, un mistero insopportabile e meraviglioso, come l’odiosa bellezza di una vetta ancora inviolata.
Esistono brevi e rari momenti in cui ci sembra di capire, o meglio, di percepire il senso di tutto questo, è una sensazione di perfezione, di annientamento nella vita che scorre dentro e fuori di noi, ma passa subito lasciando calore nel cuore e un sorriso sulle labbra. Tutto qui. Ma forse l’anima è la profonda essenza della persona e quando l’affetto e l’amore lo consentono riusciamo a vederla e ammirarla, in quell’istante privilegiato possiamo cogliere il mistero dell’umanità e abbandonarci a quella fugace visione che Paul Verlaine chiamò “un paysage chiosi”, un paesaggio squisito.
Adriano imperatore
Anche il più ortodosso fra i credenti viene assalito dal dubbio sull’esistenza dell’anima quando ha a che fare con un assicuratore o si trova a lottare disperamene contro la voce senza volto di un call center. Quella che Dante chiama “angelica farfalla” a volte si manifesta come una mosca stercoraria, soprattutto se si trova al di là di uno sportello, di una scrivania o di un bancone di informazioni. In verità ammettiamo molto più facilmente che il nostro cane, il nostro gatto o il nostro criceto abbiano un’anima piuttosto che l’amministratore del condominio. La questione è che noi diamo alla parola “anima” un significato positivo, strettamente collegato a concetti come il bene e la sincerità. In realtà se l’anima esiste, non è detto che debba essere buona, anzi, se il legittimo proprietario è un sanguinoso delinquente è altamente probabile che la sua anima sia fetente almeno quanto la persona in oggetto. Decenni fa, un originale uomo di scienza americano sosteneva di avere la prova dell’esistenza dell’anima: la differenza di peso (intorno circa al mezzo chilo) fra un moribondo e un morto. Il cadavere pesava sempre qualcosa in meno rispetto al momento in cui era ancora in vita: quella differenza era il peso dell’anima. All’epoca la scoperta fu poco pubblicizzata poiché si temeva che qualcuno potesse confondere la cosa con un’iniziativa di Weight Watchers e suicidarsi allegramente. Dobbiamo ammettere, una volta per tutte, che il concetto di anima è piuttosto imbarazzante: un qualcosa che nasce con noi, che ci fa compagnia da sempre e che a un certo punto ci abbandona tranquillamente per svolazzare libera a suo piacimento. La nostra anima è menefreghista e cinica, fino a quando il corpo funziona va tutto bene, quando la nostra carcassa si rompe definitivamente, senza pensarci due volte, senza un discorso di circostanza o un pianticello d’occasione, ci abbandona velocemente. Certo per chi sopravvive è piuttosto consolante pensare che il proprio caro non sia completamente estinto, d’altra parte non è piacevole pensare che ci sono anime di mafiosi, assassini e pedofili che se la spassano nell’etere volando ubriachi e senza patente. E cosa pensare delle povere anime della pepata di cozze divorata ieri sera? E dell’anima del candido agnello sgozzato e dissanguato che mangiamo il giorno di Pasqua? Vogliamo parlare delle anime dei visoni scuoiati vivi per fare la bella giacca che indossa vostra moglie tre volte l’anno?
Forse è meglio convincersi che l’anima non esiste e che, una volta defunti, quel che resta di noi sia solo oggetto di amorevoli attenzioni da parte di batteri e vermi assortiti. In questo caso sopraggiunge un disperato senso di inutilità, ci si interroga attoniti sul senso della vita senza trovarne una risposta accettabile. La questione è tutta lì, nel fatto che vorremmo una risposta esauriente. La nostra razionalità ci impone la costruzione di scenari verosimili nei quali credere e sperare, invece, molto probabilmente, è vero l’esatto contrario, non ci sono risposte né certezze ma solo domande che generano altre domande, interrogativi che ci fanno vagare nel labirinto del sapere, mitologie vecchie e nuove che abbracciamo disperatamente per carpire un briciolo di Verità. La cifra dell’essere umano è il mistero, un mistero che il progresso della scienza dilata sempre più, un mistero che la religione promuove a inintelligibile senso compiuto, un mistero insopportabile e meraviglioso, come l’odiosa bellezza di una vetta ancora inviolata.
Esistono brevi e rari momenti in cui ci sembra di capire, o meglio, di percepire il senso di tutto questo, è una sensazione di perfezione, di annientamento nella vita che scorre dentro e fuori di noi, ma passa subito lasciando calore nel cuore e un sorriso sulle labbra. Tutto qui. Ma forse l’anima è la profonda essenza della persona e quando l’affetto e l’amore lo consentono riusciamo a vederla e ammirarla, in quell’istante privilegiato possiamo cogliere il mistero dell’umanità e abbandonarci a quella fugace visione che Paul Verlaine chiamò “un paysage chiosi”, un paesaggio squisito.
1 commento:
Secondo Inarritu l'anima pesa solo 21 grammi, pensa.
Personalmente immagino che l'anima altro non sia che una forma di energia che, dopo la morte, vada a disperdersi nell'universo.
Certo, credere è una grande consolazione per chi perde una persona cara.
E allora mi dico: che male c'è ad attaccarsi ad un'illusione, se ci aiuta a sopportare meglio l'idea della caducità della nostra vita?
Caspiterina, stanotte mi sento Gabriele La Porta. ,-)
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