mercoledì 14 marzo 2012

NESSUNO LI PUO' GIUDICARE




La società dei consumi ha ormai invaso tutto il pianeta. Certo esistono grandi parti del mondo in cui si muore ancora di fame e/o si sopravvive a malapena, ma tutto ciò è funzionale al sistema globale: le aree depresse servono come serbatoio di manodopera a costi bassissimi per produrre merci che saranno altri a consumare. Il consumo è l’unico indicatore dell’efficienza di un sistema ed è l’unica garanzia dell’affidabilità economica e sociale di una comunità. Il diritto di cittadinanza viene riconosciuto solo al consumatore, chi non consuma non è nessuno e non può godere di alcun tipo di diritto politico, sociale e umano. Il consumatore non è colui che sceglie sulla base dei propri orientamenti e necessità impiegando il denaro che guadagna col proprio lavoro. Il consumatore è colui che riesce a soddisfare il proprio bisogno di possedere assecondando gli stimoli che gli vengono imposti dalla società e dai mezzi di comunicazione di massa. Il consumatore diventa tale, a pieno titolo, nel momento in cui reclama il proprio diritto a soddisfare il bisogno di possedere e lo trasforma in realtà. Attualmente, agli inizi del terzo millennio, un essere umano è consumatore riconosciuto già all’età di cinque anni. A quell’età è in grado di esprimere compiutamente e risolutamente il proprio diritto a soddisfare i vari bisogni che urgono nella sua testolina. I genitori di questo fanciullino, già per conto loro impegnati in altri consumi, sono coloro che garantiranno la piena soddisfazione dei suoi bisogni. D’altro canto la cosa non li disturba particolarmente, ancora quando il figlioletto era un poppante lo vestivano con capi firmati e dopo, quando cominciava a fare i primi passi, lo acconciavano col gel sui capelli e giubbotti jeans per soddisfare la loro gioia senza minimamente pensare che il piccolino, ridotto in quell’arnese, pareva un povero mentecatto in erba.
La famiglia, i genitori, i nonni (che sono genitori al quadrato) sono una gallina dalle uova d’oro per la società dei consumi. Alla base di tutto c’è una profonda, quanto micidiale, mistificazione secondo la quale l’affetto si misura col possesso e il rifiuto è negazione dell’amore. Le ricorrenze e le festività hanno senso solo se mercificate, solo se oggettivate in qualcosa di concreto. Il ruolo dei genitori in tutto ciò è duplice, incarna sia il carnefice che la vittima. Il genitore carnefice è colui che sfoga sui suoi figli le frustrazioni ed i rifiuti subiti nel lontano passato illudendosi che erano dovuti a ristrettezze economiche. Cosa in parte vera, ma solo in parte. Nel ventesimo secolo il rifiuto era non solo un mezzo per affermare la propria autorità, ma anche una scelta educativa che tendeva ad insegnare il senso più vero delle cose e la loro relativa importanza. Il genitore vittima è colui che si rende conto di essere entrato in una spirale consumistica spietata e che cerca inutilmente di porre un freno. Non solo non ci riuscirà, ma sarà prima sbeffeggiato e poi disprezzato dai suoi figli.
I genitori del terzo millennio sono ormai degli esseri catatonici rassegnati alla inevitabile mutazione antropologica dei propri figli. Hanno dovuto abdicare, rinunciare ad ogni autorità e trasformarsi in finanziatori, autisti, cuochi e lavapiatti. In questo sfascio generale mantengono ad ogni costo l’orgoglio paterno e materno nelle doti fisiche, morali e intellettuali della propria progenie. Non si rendono conto che i loro ragazzi si friggono il cervello con dosi massicce di tv spazzatura, che vivono in uno stato di ignoranza direttamente proporzionale alla loro presunzione, che a diciotto anni fanno quello che facevano i loro avi da vecchi, contadini e operai, chiusi nelle cantine ad alleviare il dolore del mancato riscatto col vino scadente. Fanno veramente pena quei genitori che irrompono agguerriti nella scuola a perorare la causa di un ciuccione che non conosce il congiuntivo, fanno pena perché non ammettono che un “estraneo” possa giudicare mentre loro non possono farlo più. Possono sopportare che i figli li mandino a quel paese solo perché pensano che, in fondo, sono migliori di loro; scoprire dalla pagella di essere diventati lo zimbello di un cretino ignorante è devastante. Poi ci sono gli insegnanti, i quali, essendo per la maggior parte genitori anche loro, si trovano in una situazione estremamente imbarazzante. Purtroppo si trovano a vivere una condizione schizofrenica poiché in quanto genitori sarebbero portati alla immedesimazione ma poi, in quanto professionisti dell’educazione, sono costretti a giudicare il lavoro di alunni che al posto del cervello hanno un totano.
Ormai è chiaro, la famiglia si è trasformata in un allevamento di totani e i genitori dovrebbero prenderne atto una volta per tutte. Dovrebbero smetterla di sfogare le proprie frustrazioni con gli insegnanti invocando una competenza che loro per primi non hanno.  La completa emancipazione e la totale autonomia che i figli brandiscono minacciosamente davanti agli occhi increduli dei loro genitori è uno squallido feticcio che la società dei consumi ha diffuso attraverso i mezzi di comunicazione di massa allo scopo di omologare e sfruttare al massimo i giovani consumatori. In realtà, mai come ai nostri giorni, i giovani dipendono strettamente dalla famiglia. La loro è dipendenza economica, dipendenza affettiva e dipendenza da ritmi di vita e usanze famigliari che li rendono liberi da ogni tipo di responsabilità, esenti da collaborazione nelle faccende domestiche e serviti e riveriti in ogni viziaccio che hanno deciso di praticare.
Nel nostro paese dove la retorica de “i figli so figli” e “i figli so piezz’e core” è molto diffusa e praticata risulta più difficile analizzare i comportamenti e i valori delle nuove generazioni svezzate dal consumismo più spietato. Nessun genitore si è mai fermato a riflettere sulla perfida cancrena ideologica che veicola la frase “usa & getta” o sulla mistificazione dell’assoluta necessità di soddisfare ogni tipo di bisogno. Questi ragazzi si aggirano nella realtà come fossero in uno sterminato luna park, fra loro condividono ma non socializzano, fanno sesso ma non si amano, la loro cifra non è l’egoismo ma l’egotismo. Abbiamo di fronte le prime giovani generazioni perfettamente funzionali alla società in cui viviamo, dove niente è più importante del presente.I genitori ringraziano Dio quotidianamente per aver ricevuto tale progenie e difendono con ogni mezzo chiunque osi mettere in discussione le doti e le grandi qualità che i figli possiedono. Nessuno li può giudicare. Forse, un domani, sarà la storia a dire l’ultima parola, a patto che sia rimasto ancora qualcuno in grado di scriverla.  
        



1 commento:

Unknown ha detto...

Post amaro, che mi tocca molto da vicino.
Di sicuro posso affermare di non aver mai dato addosso agli insegnanti di mio figlio, anche quando è capitato che non avesse buoni voti.
Mai fatto, nè mai pensato di farlo: mi basta il pensiero di aver esagerato in regalini e regalucci per cercare di porre rimedio all'assenza paterna, dovuta a cause di forza maggiore.
Forse lui se la caverà, tutto sommato: mi pare che le premesse ci siano.
Non io, che mi macererò in una serie imprecisata di sensi di colpa.