Il Calcio rappresenta per il nostro Paese uno di quei pochi elementi identitari (insieme alla Cucina, alla Moda, all’Opera, all’Arte, alla civiltà Romana) per cui sentiamo di appartenere ad una Nazione.
L’orgoglio nazionale (inteso come sentimento positivo di identità ed appartenenza ad una storia e a un destino comune) trova il suo esercizio più diffuso nello sport e, in particolare, nel football.
Il popolo italiano è storicamente abituato ad essere trattato con diffidenza e pregiudizio ed è stato sempre costretto a dimostrare le proprie doti per conquistare il rispetto di quelle culture che si sono autoproclamate superiori (anglosassoni, francesi, germaniche) dimenticando che i primi passi della loro civiltà si sono compiuti all’ombra della grandiosa cultura Romana. Coloro che, in malafede, dipingono l’Italia attraverso i luoghi comuni della Pizza & Mandolino e, ancor peggio, della Mafia, fanno finta di non sapere che duemila cinquecento anni fa in Sicilia e in Calabria fiorì la civiltà magno-greca con Pitagora, Archimede, Parmenide, Zenone, Empedocle, Gorgia, Stesicoro, Clearco, Archita, Aristosseno, giusto per citare i più famosi. Il popolo italiano ha imparato, in secoli di dominazioni, il pragmatismo (che va dall’”arte di arrangiarsi” fino al “saper fare”) ovvero la capacità di misurarsi continuamente con la realtà fino a modificarla secondo i propri disegni.
Lo sport è una disciplina che mette continuamente in discussione le capacità e la determinazione e, fra gli sport, il calcio è quello che, meglio di altri, richiede queste doti senza privilegiare le caratteristiche fisiche (come l’altezza o la potenza muscolare) né l’uso di attrezzi o di luoghi particolari: serve solo un pallone. In questo senso il calcio è la metafora del percorso verso il successo e verso l’eccellenza per chiunque possieda il “saper fare”. E non è un caso che sia proprio il football lo sport di squadra più indagato e maggior fonte di ispirazione per scrittori, poeti e intellettuali in genere (così come è per la boxe, parlando di sport individuali).
Alla luce di questa premessa appare evidente perché il Campionato del Mondo di Calcio rappresenta per gli italiani un evento che va al di là della sua rilevanza sportiva e diventa l’occasione per celebrare la propria identità nazionale. Ed è per questo motivo che anche persone che normalmente non seguono le vicende del calcio, in questa circostanza che ricorre ogni quattro anni, si trasformano in tifosi sfegatati e urlanti. Questi campionati diventano l’occasione per provare l’orgoglio di essere italiani, per dimostrare a tutto il mondo che nel “saper fare” siamo i più bravi.
Quanto è accaduto in Sudafrica, eliminazione secca al primo turno, dimostra che (al di là delle questioni tecniche) la nostra Nazionale non era consapevole del ruolo che ricopre e delle aspettative meta-calcistiche degli italiani. L’assunzione di ogni responsabilità da parte del Commissario Tecnico Lippi se da un lato non consola affatto, dall’altro ci conferma che i suoi piani tattici erano completamente sballati. Probabilmente in questo caso ha giocato l’orgoglio di non voler ammettere durante la seconda partita contro il Paraguay che bisognava rivedere tutto e cambiare radicalmente l’assetto della squadra sul campo. Bisogna anche riconoscere che il Campionato italiano non è un gran bello spettacolo, e squadre come l’Inter (della quale sono tifoso con vergogna) ,che è diventata una sorta di armata di Lanzichenecchi super prezzolati, non fanno certo bene alla valorizzazione di nuovi talenti nazionali. Certo è che non si può pretendere di vincere sempre, ma questo gli italiani lo sanno bene: ma dagli ex campioni del mondo ci si aspettava almeno maggior determinazione e una sufficiente dose di dignità, giusto il minimo per perdere senza vergogna.
L’orgoglio nazionale (inteso come sentimento positivo di identità ed appartenenza ad una storia e a un destino comune) trova il suo esercizio più diffuso nello sport e, in particolare, nel football.
Il popolo italiano è storicamente abituato ad essere trattato con diffidenza e pregiudizio ed è stato sempre costretto a dimostrare le proprie doti per conquistare il rispetto di quelle culture che si sono autoproclamate superiori (anglosassoni, francesi, germaniche) dimenticando che i primi passi della loro civiltà si sono compiuti all’ombra della grandiosa cultura Romana. Coloro che, in malafede, dipingono l’Italia attraverso i luoghi comuni della Pizza & Mandolino e, ancor peggio, della Mafia, fanno finta di non sapere che duemila cinquecento anni fa in Sicilia e in Calabria fiorì la civiltà magno-greca con Pitagora, Archimede, Parmenide, Zenone, Empedocle, Gorgia, Stesicoro, Clearco, Archita, Aristosseno, giusto per citare i più famosi. Il popolo italiano ha imparato, in secoli di dominazioni, il pragmatismo (che va dall’”arte di arrangiarsi” fino al “saper fare”) ovvero la capacità di misurarsi continuamente con la realtà fino a modificarla secondo i propri disegni.
Lo sport è una disciplina che mette continuamente in discussione le capacità e la determinazione e, fra gli sport, il calcio è quello che, meglio di altri, richiede queste doti senza privilegiare le caratteristiche fisiche (come l’altezza o la potenza muscolare) né l’uso di attrezzi o di luoghi particolari: serve solo un pallone. In questo senso il calcio è la metafora del percorso verso il successo e verso l’eccellenza per chiunque possieda il “saper fare”. E non è un caso che sia proprio il football lo sport di squadra più indagato e maggior fonte di ispirazione per scrittori, poeti e intellettuali in genere (così come è per la boxe, parlando di sport individuali).
Alla luce di questa premessa appare evidente perché il Campionato del Mondo di Calcio rappresenta per gli italiani un evento che va al di là della sua rilevanza sportiva e diventa l’occasione per celebrare la propria identità nazionale. Ed è per questo motivo che anche persone che normalmente non seguono le vicende del calcio, in questa circostanza che ricorre ogni quattro anni, si trasformano in tifosi sfegatati e urlanti. Questi campionati diventano l’occasione per provare l’orgoglio di essere italiani, per dimostrare a tutto il mondo che nel “saper fare” siamo i più bravi.
Quanto è accaduto in Sudafrica, eliminazione secca al primo turno, dimostra che (al di là delle questioni tecniche) la nostra Nazionale non era consapevole del ruolo che ricopre e delle aspettative meta-calcistiche degli italiani. L’assunzione di ogni responsabilità da parte del Commissario Tecnico Lippi se da un lato non consola affatto, dall’altro ci conferma che i suoi piani tattici erano completamente sballati. Probabilmente in questo caso ha giocato l’orgoglio di non voler ammettere durante la seconda partita contro il Paraguay che bisognava rivedere tutto e cambiare radicalmente l’assetto della squadra sul campo. Bisogna anche riconoscere che il Campionato italiano non è un gran bello spettacolo, e squadre come l’Inter (della quale sono tifoso con vergogna) ,che è diventata una sorta di armata di Lanzichenecchi super prezzolati, non fanno certo bene alla valorizzazione di nuovi talenti nazionali. Certo è che non si può pretendere di vincere sempre, ma questo gli italiani lo sanno bene: ma dagli ex campioni del mondo ci si aspettava almeno maggior determinazione e una sufficiente dose di dignità, giusto il minimo per perdere senza vergogna.
1 commento:
è la prima volta che mi sono vergognato di essere italiano dopo essere stati campioni del mondo.
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