Baarìa è un film d’autore. Nel senso che ha la dote di trasmettere allo spettatore sentimenti, sensazioni e quell’immedesimazione che solo un artista è capace di comunicare con armonica compiutezza. La chiave di volta dell’opera è la memoria, quella memoria che alberga in ognuno di noi e che è fatta da un impalpabile intreccio di memoria storica, memoria collettiva e memoria personale, dove quello che è accaduto si fonde con quello che abbiamo vissuto, dove i fatti sono mescolati alle emozioni, dove la realtà non si distingue dalla fantasia, dove la cronaca è innestata nella fiaba, dove le immagini e i suoni si sviluppano secondo criteri onirici e affettivi.
Da un punto di vista del linguaggio cinematografico Tornatore privilegia la fotografia, curata per rendere quella luce e quei colori che solo a sud si possono percepire, nelle piazze assolate, nelle larghe strade lastricate di pietra, in quei panorami naturali in cui uomini e animali conferiscono il senso della vita che scorre implacabile. Questa luce unica e vibrante avvolge le vicende umane dei singoli innalzandole a metafora del destino dell’uomo, dove la vita e la morte, il gioco e il lavoro, l’amore e l’odio, assumono il senso di meri segni d’interpunzione nella narrazione di una comunità che vive il passaggio doloroso e lacerante da una civiltà contadina arcaica alla nuova dimensione della società dei consumi. La narrazione filmica fa un uso sapiente di dotte citazioni attingendo ai capolavori di Olmi (L’Albero degli Zoccoli), di Bertolucci (Novecento) e di Leone (C’Era Una Volta In America), oltre all’esplicito riferimento del troppo poco considerato “Mafioso” di Lattuada, girato proprio a Bagheria. Un altro elemento estremamente interessante è l’uso discreto della colonna sonora. Nonostante sia stata composta dal grande Morricone, Tornatore sceglie di non affidarle lo stesso compito evocativo che si può riscontrare in “Nuovo Cinema Paradiso”. In Baarìa il tema, che ricorda melodie arcaiche suonate dalla zampogna, viene utilizzato solo per sottolineare alcuni momenti del film, tutto il resto è affidato alle voci e ai suoni quotidiani: una sorta di corale laico di voci e di lingua destinati ad estinguersi.
Se, da un punto di vista concettuale, “Baarìa” può essere non a torto confrontato con “Amarcord” di Fellini, non si può non evidenziare il fatto che Tornatore abbia cercato di ricreare quel sottile equilibrio fra realtà e ricordo che è alla base della nostra memoria personale. Il ruolo del sogno, la presenza di un mondo magico e misterioso, la morte ,umana e animale, vista come un accadimento necessario e socialmente condiviso, sono tutti elementi estremamente importanti ed estremamente caratterizzanti della cultura del sud. In quest’ottica anche cose importanti come la maturazione di una coscienza politica e lo sviluppo della cultura perdono il loro primato assoluto per divenire dei mezzi di interpretazione della realtà, di una realtà che col tempo si popola di ombre e di fantasmi e che diventa memoria di quello che siamo stati e sogno di quello che avremmo voluto essere.
Baarìa è un’opera “necessaria”. “Necessaria” alla poetica di Tornatore, da sempre impegnato a raccontare storie che, in un modo o nell’altro, gli appartengono; ma “necessaria” anche, e direi soprattutto, per tutti coloro che hanno la voglia di capire e di capirsi, di interpretare il passato e il presente, di conoscere se stessi, di rincorrere il senso delle cose.
Da un punto di vista del linguaggio cinematografico Tornatore privilegia la fotografia, curata per rendere quella luce e quei colori che solo a sud si possono percepire, nelle piazze assolate, nelle larghe strade lastricate di pietra, in quei panorami naturali in cui uomini e animali conferiscono il senso della vita che scorre implacabile. Questa luce unica e vibrante avvolge le vicende umane dei singoli innalzandole a metafora del destino dell’uomo, dove la vita e la morte, il gioco e il lavoro, l’amore e l’odio, assumono il senso di meri segni d’interpunzione nella narrazione di una comunità che vive il passaggio doloroso e lacerante da una civiltà contadina arcaica alla nuova dimensione della società dei consumi. La narrazione filmica fa un uso sapiente di dotte citazioni attingendo ai capolavori di Olmi (L’Albero degli Zoccoli), di Bertolucci (Novecento) e di Leone (C’Era Una Volta In America), oltre all’esplicito riferimento del troppo poco considerato “Mafioso” di Lattuada, girato proprio a Bagheria. Un altro elemento estremamente interessante è l’uso discreto della colonna sonora. Nonostante sia stata composta dal grande Morricone, Tornatore sceglie di non affidarle lo stesso compito evocativo che si può riscontrare in “Nuovo Cinema Paradiso”. In Baarìa il tema, che ricorda melodie arcaiche suonate dalla zampogna, viene utilizzato solo per sottolineare alcuni momenti del film, tutto il resto è affidato alle voci e ai suoni quotidiani: una sorta di corale laico di voci e di lingua destinati ad estinguersi.
Se, da un punto di vista concettuale, “Baarìa” può essere non a torto confrontato con “Amarcord” di Fellini, non si può non evidenziare il fatto che Tornatore abbia cercato di ricreare quel sottile equilibrio fra realtà e ricordo che è alla base della nostra memoria personale. Il ruolo del sogno, la presenza di un mondo magico e misterioso, la morte ,umana e animale, vista come un accadimento necessario e socialmente condiviso, sono tutti elementi estremamente importanti ed estremamente caratterizzanti della cultura del sud. In quest’ottica anche cose importanti come la maturazione di una coscienza politica e lo sviluppo della cultura perdono il loro primato assoluto per divenire dei mezzi di interpretazione della realtà, di una realtà che col tempo si popola di ombre e di fantasmi e che diventa memoria di quello che siamo stati e sogno di quello che avremmo voluto essere.
Baarìa è un’opera “necessaria”. “Necessaria” alla poetica di Tornatore, da sempre impegnato a raccontare storie che, in un modo o nell’altro, gli appartengono; ma “necessaria” anche, e direi soprattutto, per tutti coloro che hanno la voglia di capire e di capirsi, di interpretare il passato e il presente, di conoscere se stessi, di rincorrere il senso delle cose.
9 commenti:
Mi sarebbe piaciuto leggere questa recensione dopo aver visto il film, ma credo di essermene fatta un'idea verosimilmente compatibile con la narrazione (perchè, forse, "trama" sarebbe riduttivo).
Sempre impeccabile, Saverio.
Non è facile, in questi tempi, poter vedere un grande film, capace di commuovere, di far ridere, di far pensare. E quando capita l'occasione è necessario che la cosa si sappia: più che una recensione è un accorato invito ad andare a vederlo.
Grazie.
Non posso che associarmi al plauso per aver saputo intelligentemente commentare un film che si presta, ma se lo si vuole, a parecchi equivoci.
Competenza e buongusto accomunano le menti.
Bravo... sì , il cinema lo descrivi in maniera tanto reale da far innamorare chi sà leggere.
Nell'arte del racconto si rivivono emozioni di tempi e vissuti di popoli altrimenti destinati all'oblio del tempo.Un abbraccio.Maria
Grazie a tutti, ma soprattutto a "Peppuccio" Tornatore, uno dei pochissimi cineasti italiani contemporanei che ha saputo raccogliere l'eredità del miglior cinema nazionale per elaborare una propria e profonda dimensione poetica.
Ho visto il film e vengo a rileggerti, un bel film e se non ho visto male, i contadini nei campi mangiavano pane e cipolle di acquaviva.Ciao Francesco
Potrebbe anche essere la cipolla di Tropea...chissà
Post davvero di spessore che mette quasi in ombra il mio....
Marco
Grazie..troppo gentile.
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