sabato 12 settembre 2009

ORAZIO NON ABITA PIU' QUI







“Nicola deve fare il liceo classico”, “Il liceo classico? Madonna! Professoressa! Il padre ci tiene tanto che vada all’Istituto Alberghiero….tiene un amico che fa il cuoco sulle navi da crociera…guadagna un sacco di soldi!”, “Signora, mi ascolti…lo dico adesso e poi non lo ripeterò più…deciderete quello che vorrete….Nicola è un ragazzo speciale, se ne trovano sempre meno oggigiorno. Pensi che in un solo anno di introduzione al latino ha imparato perfettamente declinazioni e coniugazioni….ha una vera passione…è un peccato sprecare il suo talento in questo modo…dovete iscriverlo al liceo classico! Vi darà tante soddisfazioni…credetemi!”.
Questo breve dialogo fu all’origine della svolta nella vita di Nicola. Ultimo di cinque figli, il padre faceva il bracciante e con il suo secondo lavoro di costruttore di muretti a secco era riuscito a garantire alla sua famiglia una vita serena e dignitosa. Tutti in famiglia sapevano che Nicola era diverso dagli altri fratelli; tutti in famiglia sapevano che la professoressa aveva ragione; tutti in famiglia furono d’accordo a mandarlo in una scuola dove non si impara alcun mestiere, in una scuola dove si impara a conoscere se stessi per poi saper capire le cose del mondo.
Al liceo classico Nicola era un allievo brillante, non era il primo della classe perché si poneva tante domande ed era incapace di imparare le lezioni a memoria, non era un secchione né un leccapiedi, studiava per soddisfare la propria curiosità, non era interessato a prevalere sugli altri o a inseguire il mito del voto alto ad ogni costo.
Fu al secondo liceo, il penultimo anno, che Nicola ebbe una folgorazione. Studiando la letteratura latina incontrò la figura e l’opera di Quinto Orazio Flacco. In breve tempo Orazio divenne il suo mito personale, approfondì lo studio della biografia e delle opere letterarie, il pensiero oraziano divenne il suo punto di riferimento filosofico sul quale costruire le proprie riflessioni sulla vita e sulla realtà contemporanea. Si immedesimò talmente nel grande poeta latino da decidere di rinunciare alle gite scolastiche e alle sue piccole necessità personali per mettere da parte il denaro sufficiente a fare un viaggio a Venosa, la città natale del poeta. Si era convinto che visitando quei luoghi avrebbe meglio compreso la figura umana del suo idolo, le cui umili origini tanto lo avvicinavano alla sua stessa condizione. Nicola sapeva perfettamente cosa vuol dire desiderare di partire dalla piccola provincia per poter affermare le proprie doti, così come sentiva profondamente dentro di sé il dolore della lacerazione da un mondo semplice, a stretto contatto con la natura, basato su rapporti affettivi privi di ipocrisie e falsità. Anche lui un giorno se e sarebbe andato, ma quei luoghi in cui era vissuto non li avrebbe mai dimenticati, né avrebbe mai smesso di evocarli. Così come non avrebbe mai potuto dimenticare le polemiche col professore di filosofia, il quale cercava in tutti i modi di smontare le sue convinzioni da novello epicureo per attrarlo verso il pensiero contemporaneo. Ma Nicola era più che mai convinto che proprio nella società contemporanea, dominata dal consumismo e dall’edonismo, si adattava meglio la ricerca di un distacco dalle cose e dalle passioni estreme, quello stesso distacco che Dio aveva posto tra sé e l’umanità.
L’ultimo anno di liceo passò velocemente. Agli esami di stato Nicola presentò una tesina sulla poesia oraziana e si diplomò col massimo dei voti. In casa c’era ancora aria di festa quando disse ai genitori che sarebbe partito: era giunto il momento di andare a Venosa.
Il calore era insopportabile nonostante tutti i finestrini dell’autobus fossero aperti. Dopo una curva stretta gli si parò davanti agli occhi la sagoma imponente e inconfondibile del monte Vulture. Ebbe un brivido d’eccitazione e subito la mente andò a quel passo che diceva:”Una volta, nei tempi lontani, bambino, uscito dalla casa della mia nutrice Pellia, là sul monte Vulture, in Apulia, mi addormentai stancato dal gioco.” Mentre fissava il Vulture dalla pronta memoria affioravano le descrizioni di quella terra, dei pascoli di Banzi, della valle di Forenza e della città di Acerenza, elevato nido d’aquile. Scese alla prima fermata di fronte alla chiesa della Trinità, appena fuori paese. Davanti al sepolcro della prima moglie, colei che fu ripudiata, di Roberto il Guiscardo lesse la strana epigrafe:”Quest’arca contiene Alberada, moglie del Guiscardo, se chiedi del figlio, quello (lo) tiene il canosino”. Come se il pellegrino fosse giunto fin lì inseguendo le tracce di Boemondo I d’Antiochia e per sbaglio si fosse imbattuto nelle spoglie della sfortunata madre Alberada di Buonalbergo, morta a novant’anni dopo aver patito per la morte del figlio che fu sepolto in un mausoleo nella cattedrale di Canosa.
Dietro la chiesa, una seconda, incompiuta, con colonne che sorreggono il cielo azzurro e mura costruite con le pietre tombali della necropoli romana e di quella ebraica. Nicola era in estasi, quel rudere aveva l’aspetto di un tempio unico al mondo, a diretto contatto con la volta celeste e con le pareti che trasudavano preghiere in latino, in greco e in ebraico. Un monumento che conteneva tutto il terrore dell’umanità per la morte e tutte le speranze delle genti per la sopravvivenza dell’anima.
Era giunto in un luogo magico, in un luogo in cui si poteva leggere gli strati della storia, l’operosità e il dramma del genere umano. Non poteva essere un caso che Orazio fosse nato qui.
Entrò in paese seguendo le indicazioni per raggiungere la casa di Orazio. Egli sapeva che quasi sicuramente quella antichissima casupola non era mai stata abitata dal poeta, ma si era adeguato alla tradizione locale che per ricordare il grande venosino gli aveva attribuito un luogo fisico in cui avrebbe vissuto i suoi primi anni. Il caldo si era fatto soffocante, i muri bianchi riverberavano una luce abbacinante, le stradine si srotolavano contorte e vuote come in un labirinto. Nell’aria un odore di fumo che ad ogni curva cangiava aroma: salsa di pomodoro, ragù, peperoni al forno, ma nessuna presenza umana. Qualche cane randagio steso sul marciapiedi si dichiarava vinto dall’ attacco del caldo e delle mosche. Nicola continuava a camminare ma era sicuro di essersi perso, non aveva più incontrato segnali turistici che confermassero la direzione per la casa di Orazio. Mentre pensava che forse avrebbe dovuto tornare indietro, giunse alla fine della stradina, dove si apriva una specie di corte sulla quale si affacciavano diverse abitazioni. Solo una era aperta, davanti all’uscio una corda stesa dalla quale pendeva poca e povera biancheria dall’intenso profumo di sapone.
“Buongiorno!! C’è nessuno in casa? “ non rispose alcuno, allora Nicola bussò sui vetri della porta semiaperta “C’è nessuno? Posso entrare?”, dopo qualche istante vide un’ombra che rispose “Chi siete? Che volete?”, “Scusate signora, forse mi sono perso in queste stradine…”, uscì al sole una donna anziana, ossuta, vestita di nero, “Vi siete perso? Ma voi non siete di qua…siete straniero..”, “No…no , non sono straniero sono venuto a visitare Venosa” e la donna burbera”Se non siete di Venosa siete straniero….ma non vi dovete vergognare….non fa niente”, Nicola era molto confuso “Ma io non mi vergogno….no..e perché?”, “Bravo….e fate bene…anche dove si nasce è un fatto di fortuna…che colpa c’avete se siete straniero?”, Nicola era sbigottito “Sì avete ragione…è proprio così….scusate…vi posso chiedere un’informazione?” “Volete sapere qualcosa? E dite….dite…ma dovete parlare italiano se no non vi capisco” “Ecco…sto cercando la casa di Orazio…è qui vicino?” “Volete la casa di Orazio?....mmm…ah!..si..si…è qui vicino ma….mi dispiace assai…” “Perché? Cosa vi dispiace? Non capisco..” “Mi dispiace assai per voi….siete venuto da così lontano…mannaggia….”, Nicola era senza parole, aveva gli occhi sgranati e la bocca semiaperta, sembrava un babbeo, “Eh sì….signore mi dispiace…ma Orazio non abita più qui…” disse allargando le braccia e abbassando gli occhi. Nicola temeva di non aver capito “Non abita più qui?..Mi state dicendo che Orazio non abita più qui??” “Emigranto…”, Nicola era stupefatto ”Orazio….emigranto…” “Sì…sì..ma non adesso…no….tanto tempo fa….se ne andò all’altr’Italia…a Roma”, “Orazio…all’altr’Italia….a Roma”, la donna seccata “Giovanotto!..E siete un pappacallo! Avete capito? Non gi stà più qui…Orazio sta a Roma…e non so niente più!!!”, Nicola stemperò lo stupore in un sorriso e con voce calma disse “Ho capito…ho capito…scusate se vi ho disturbato…”, la donna rispose al sorriso mostrando quella manciata di denti che ancora le erano rimasti e rispose “Va bene, va bene….fà caldo…lo volete un bicchiere di vino fresco?” Nicola si tolse il berretto e disse “Grazie, grazie…con grande piacere!” Mentre la donna con mano tremante riempiva il bicchiere Nicola diceva fra sé e sé “Versa il vino! Cogli l’attimo!” e quando portò alle narici il bicchiere ricolmo ebbe una sensazione fortissima e stranissima: in quel luogo e con quel vino sentì di essere a casa di Orazio, non in quella casupola per turisti, ma nella vera casa dove era cresciuto il poeta. Quella donna sdentata avrebbe potuto essere una discendente di Pellia, la nutrice di Orazio. La fissò sorridendo, anche lei sorrise e accarezzando il suo giovane volto gli disse “Mi dispiace assai…sei venuto fino qui per niente….ma devi capire…qui la vita è dura e Orazio è andato via in cerca di fortuna….aveva una bella testa e forse ce l’ha fatta….forse un giorno sentiremo parlare di lui…”.

2 commenti:

il mio nome è mai più ha detto...

Bella fortuna avere un figlio interessato e curioso. Un figlio per il quale lo studio non rappresenti solo un'incombenza spiacevole da espletare velocemente.
Orazio...
La tua filolucanità, che comprende Matera, Orazio e l'Aglianico, mi ricorda molto quella di mio padre.
Che io, magari, non condivido del tutto.

Saverio ha detto...

A parte l'incorrotta bellezza della natura e i segni ancora vivi di un essere in armonia con la terra, per me la Basilicata è un fossile geografico-sociale attraverso il quale è possibile immaginare com'era il Sud prima del boom economico. In quei luoghi riscopro una dimensione nella quale mi riconosco completamente.