venerdì 26 giugno 2015

L'EREDITA' DI CARLO LEVI



Da quarant’anni (gennaio 1975) Carlo Levi non è più nel mondo. La grande eredità artistica, poetica, letteraria e politica  che ci ha lasciato continua tuttora a testimoniare una vitalità e un’attualità sorprendenti, poiché il solco che ha arato nella nostra cultura è ancora profondo, fertile e, sotto molti aspetti, ancora ricco di elementi su cui riflettere approfonditamente. La fortissima spinta propulsiva impartita alla cultura italiana del dopoguerra (a partire dal Cristo Si E’ Fermato A Eboli in poi) non solo non si è esaurita, ma trova in questi tempi segnati dalla disillusione, dall’incertezza, dall’esaurimento dei riferimenti simbolici e culturali del novecento, una nuova forza e un’inaspettata carica eversiva.
Come ha lucidamente scritto Franco Cassano nell’introduzione a Le Ragioni Dei Topi (Donzelli Editore, Roma, 2004, pp.XXII-XXIII):
 “ Si apre qui il punto più delicato e importante del ragionamento di Levi. Questa attenzione per il mondo naturale e per gli animali non è un desiderio di regressione, ma, al contrario, la capacità di aiutare l’uomo contemporaneo ad acquistare una cultura più ricca e più ampia, di andare al di là dell’esaltazione delle magnifiche sorti e progressive del progresso tecnologico. L’espressione chiave, che ricorre in modo sempre più fitto in Levi, è la «compresenza dei tempi», la capacità di un’umanità così larga  da ospitare dentro di sé l’intera complessità del mondo, la molteplicità delle sue forme di vita, la ricchezza dei suoi ritmi. L’uomo moderno crede in una gerarchia e in un racconto che esaltano l’accrescimento della sua potenza, misura il progresso sulla base del grado di allontanamento della natura. Il suo etnocentrismo è potente, ma rimane angusto, come ogni forma di etnocentrismo. Ebbene, la compresenza dei tempi designa una prospettiva  totalmente diversa, di complicità e amicizia goethiana con il mondo e con tutte le sue espressioni. (…) I piccoli sacerdoti del progresso, che lo rimproverarono di nostalgie reazionarie, non erano in grado di cogliere la forza di questa proposta perché essa valicava i poveri schemi del loro catechismo. Levi fu un’anima larga, ospitale, aperta, attirata da tutto ciò che non conosceva.

Se noi siamo nelle cose con un rapporto di somiglianza, di vicinanza e comunanza, con un rapporto di amore, […] allora queste cose raggiungono in noi la loro autonomia. […] ogni volta che mi sono trovato o mi troverò di fronte a qualcosa che fino ad allora mi era sconosciuto mi viene naturale buttarmici dentro come in un rapporto reale e soprattutto […] mi viene di rapportarmi a questa cosa nuova spogliandomi di tutte le conoscenze precedenti.

(…) Il sentimento della compresenza dei tempi è quindi il sentimento di una fraternità primordiale, capace di collegare l’enorme massa delle differenze che abitano il pianeta evitando ogni fondamentalismo, l’avversione radicale per la convinzione che un solo tempo possa contenere dentro di sé la perfezione. “
Ed ecco che la nuova consapevolezza che ci sono dei luoghi dove «l’arcaico è vicinissimo e familiare, ogni cosa rimane senza perdersi […] i secoli si sovrappongono, […] e le contraddizioni divengono identità », altro non è che la rivelazione della compresenza dei tempi. Una nuova attenzione ed un’amorevole cura di questi luoghi, in cui natura e umanità convivono ancora senza soluzione di continuo, diviene una prassi necessaria (anche se non sufficiente) affinché non si perda definitivamente la dimensione di un’esistenza basata sulla relazione, sulla solidarietà, sulla coltivazione della memoria collettiva. I paesi diventano così luoghi d’elezione in cui si può contrastare attivamente la mutazione antropologica che ha prodotto l’homo consumens, caratterizzato dall’”autismo corale” che si celebra quotidianamente nei “non luoghi” consacrati al consumo parossistico. 
La compresenza dei tempi è il nocciolo duro attorno al quale si solidifica la paesologia di Franco Arminio, una scelta che parte dall’amore e dallo sguardo poetico verso questi luoghi ma che si alimenta di tensione socio-politica spingendo ad una nuova consapevolezza riguardo il destino della società e delle coscienze dei cittadini. I paesi, luoghi consegnati dalla cieca violenza dell’economia alla marginalità, diventano il centro geografico e culturale di incontro, di discussione, di creazione, di elaborazione di nuovi progetti, di cura e di raccolta degli innumerevoli giacimenti culturali e naturali che ancora in quei luoghi sopravvivono mantenendo intatto il loro senso più profondo. Ma anche, e forse soprattutto, luoghi di riflessione sulla falsa complessità della società contemporanea, luoghi di meravigliosa riscoperta dei propri sensi come recettori di poesia, luoghi in cui è possibile concepire un nuovo umanesimo e una nuova prassi. Luoghi in cui si realizza il ritorno, il nostos, il ricongiungimento con la nostra dimensione più profonda ed autentica.  

                                                                                                                Francesco Saverio Sasso

   
         




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