domenica 6 gennaio 2008

PELLEGRINO


Pellegrino Appulo verso il santuario della Coscienza,
ho il mare negli occhi, il suo rombo nelle orecchie.
Ogni cosa vista trasfigura in liquida superficie,
ogni cosa udita si dissolve in suono d’acqua in movimento.
Non c’è latitudine che sconfigga l’allucinazione primigenia.
Cerco l’orizzonte mobile al di là del quale i sogni sono realtà.
Il ricordo riempie gli occhi di lacrime, un brivido percorre la pelle.
Il mare sa quello che sono stato, conosce quello che sarò,
custodisce quando e come non sarò più.
Forse la riva pietosa, che accoglie materna il naufrago, avrà pena di me.
Nonostante il mugghiare del mare, la spiaggia benigna mi vorrà parlare.
Parole oscure, presagio ascoso nel fragore dei flutti, la fine celata nella risacca scrosciante.
Ovunque è il mare.
Nella murgia pietrosa, nelle verdi colline, nei boschi intricati, nei trulli ricoperti di licheni.
La pianura salata riverbera come la superficie marina.
Le bianche pareti del Monte Gargano sorgono dritte dalla spuma del pelago.
Le pietre e i tufi scavati nelle viscere della terra si dischiudono mostrando fossili abissali.
Le cripte delle bianche cattedrali trasudano sale emanando odore di vecchi acquari marini.
La tramontana salsa e feroce porta il fragore delle onde a rompersi sulle pendici del Vulture.
Bianchi gabbiani incrociano il volo coi falchi bruni nel cielo sulla terracqua del Levante.
Pesante è il fardello che trascino con me lungo la strada per la Coscienza.
Il tempo mi insegue senza sosta, la memoria mi rode le viscere senza pietà.
Nel silenzio che odora di finocchio selvatico sento le urla delle pietre spaccate dall’aratro,
le bestemmie dell’umanità sudata e miserabile contro le nuvole avare,
il pianto di pagane sepolture.
Nella luce accecante del sole meridiano ecco il mare testimone di vita e di morte.
Se giungerò alla fine del viaggio non troverò un oracolo a svelarmi il mistero,
ma saprò decifrare il linguaggio di Poseidone e potrò leggere il mio destino.
Pellegrino, povero e nudo, ho un voto da sciogliere, la promessa che non avrei mai cessato
d’esser testimone d’una vita contraddittoria e sofferente,
carica di pesi ancestrali e nuove miserie.
Dopo aver lottato contro le fredde e spietate correnti, giacerò sulla riva come un ciuffo d’alghe
in decomposizione, come una vuota opaca conchiglia,
come un grumo di nero catrame sulla pietra liscia.
Ovunque è il mare.
Alfa e omega dell’esistenza, scrigno infinito della coscienza, di selvaggia bellezza pura essenza.

1 commento:

Dyo ha detto...

Oso una battuta incongrua: overdose di Aglianico?
;-)