lunedì 31 agosto 2009

SCACCO AL RE




Il corso della vita è stato molto ben sintetizzato dalla più famosa partita a scacchi della storia del cinema (visibile anche come sfondo del titolo di questo Blog): la partita tra il Cavaliere e la Morte nel film di Ingmar Bergman “Il Settimo Sigillo”.
Si tratta di una partita che potrà essere più o meno lunga ma il cui esito è sempre lo stesso.
Ogni giocatore ha l’obbligo di andare sino in fondo col massimo impegno poiché, sebbene sappia sia una partita persa, la durata del gioco corrisponde alla durata del tempo che gli è dato da vivere. Capita che durante la partita il Giocatore abbia dei momenti in cui è in vantaggio sulla Morte, sia per numero di pezzi che per conquista di posizione. E ciò, metaforicamente parlando, rappresenta i momenti positivi della vita in cui il benessere materiale e spirituale è al suo apice. Altresì succede che, durante la partita, il Giocatore subisca il vantaggio della Morte, momenti in cui egli sia sotto scacco e debba pensare affannosamente a difendersi. Naturalmente in questo frangente si può parlare di situazione critica dove la minaccia si materializza in uno stato di debolezza psico-fisica. Questa è la fase in cui predomina lo sconforto, il pessimismo, il senso di fine imminente, il fallimento di azioni, idee e comportamenti. Ciò produce un profondo scoramento e alimenta quel senso di rinuncia alla lotta a causa della certezza dell’esito finale della partita; emerge potente la tentazione di abbandonare, di farla finita con quello stillicidio angosciante, ma anche per questa decisione ci vuole coraggio, quel coraggio che produce decisioni e azioni irreversibili, definitive. Ma, nonostante tutto, rimane una certezza: questa è l’unica partita che ci è stata concessa, non ve ne saranno delle altre e se è vero, come è vero, che è una partita persa, l’unica possibilità che ci resta è quella di fare di tutto affinchè sia una partita unica, memorabile, una partita di cui si parlerà e che potrà essere d’esempio per coloro che verranno: perdere sì, ma con stile, conservando l’onore fino in fondo. Non importa la tattica che si adotta, che sia un gioco di rimessa finalizzato a durare il più a lungo possibile o che sia un gioco d’attacco che punti a uno scontro breve ma estremamente intenso, lo scopo deve essere sempre e solo quello di vender cara la pelle.
La vita è avara di felicità e prodiga di sofferenze, non solo, essa si svolge, quasi sempre, fino al compimento di un paradosso estremo: quando arriva il momento in cui siamo più preparati a viverla, proprio allora essa finisce. Da ciò dobbiamo dedurre che la vita non ci insegna nulla, dato che quell’esperienza maturata nel tempo finirà con noi in pasto ai vermi e all’oblio. Non solo. Anche i rapporti affettivi subiscono questa sorte, poiché ci si mette del tempo a capire di aver scelto sia la persona sbagliata che quella giusta e tutto questo tempo è stato sottratto irreversibilmente sia alla ricerca di un’altra persona che all’approfondimento della conoscenza della persona giusta. Per non parlare dei figli. Nel giro di un battibaleno, quando ancora negli occhi abbiamo l’immagine di un esserino inerme bisognoso di cure, ci troviamo di fronte un essere umano adulto pronto a giudicarci senza pietà. E poi ancora, nel giro di una manciata d’anni assistiamo sbigottiti alla decadenza del nostro corpo, spesso preludio del più grave rimbecillimento.
Tutto ciò accade, inesorabilmente, mentre continuiamo a giocare la nostra partita e a perdere pezzi importanti della scacchiera. Un’antica leggenda narra che sia stata proprio la Morte a inventare il gioco degli scacchi, per poter rendere più divertente un lavoro tutto sommato piuttosto noioso. Tutti gli altri giochi li ha inventati l’uomo introducendo una componente che negli scacchi manca: l’alea.
Il Caso o la Fortuna rappresentano l’intervento positivo del Trascendente nelle cose umane, una sorta di benedizione che incorona il vincitore. L’illusione di poter vincere da parte di chi nasce perdente e muore, perduto.

5 commenti:

il mio nome è mai più ha detto...

Questo tuo post casca come...la panna montata sulla granita di caffè, per banalizzare, ma non troppo.
Ne ho dedotto che la Morte mi sta facendo marameo da mezzo secolo, che ho sprecato i miei anni migliori con uomini imbecilli, che mio figlio fra una settimana compie 17 anni e già mi bacchetta, impietoso, e che c'è una partitona a scacchi, nei miei paraggi, che si sta preparando tosta e complicata.
Chissà: magari sora Morte non la spunta. Non ancora.
Ciao, Saverio.

ap ha detto...

quando già sai che la partita è inesorabilmente destinata ad essere persa per quanto sforzi tu possa fare questa consapevolezza non mi invoglia a disputarla, e mi rassegno a cedere le armi e cambio gioco.

Saverio ha detto...

In ogni caso bisogna vender cara la pelle....

Saverio ha detto...

Spiacente ma non è possibile cambiar gioco nè tantomeno rifiutarsi di giocare.
La vittoria del vinto sta nello stile e nella durata del gioco. E poi è anche questione di una certa forma: vuoi mettere la serietà e la bellezza degli scacchi a paragone con gli altri giochi?
A scacchi si può perdere con dignità...non è la stessa cosa che subire un cappotto a tresette!

Saverio ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.