
giovedì 27 settembre 2007
VUOTO

martedì 25 settembre 2007
CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE

L’immagine che mi viene in mente, quando la osservo, è quella di un ruscello montano, di acque fresche e limpide, di un suono soave d’acqua che scorre fra i richiami dei fringuelli sugli alberi soprastanti, odore di muschio e profumo di fiori selvatici.
Grazie Simona, la tua giovane esistenza mi rende più ottimista, mi fa sperare che la poesia continuerà ad avere uno spazio in questo mondo sporco e spietato.
DOVE SEI?

Impossibile non citare quelle anime perse che usano il cellulare con microfono ed auricolare: li vedi camminare per strada assorti in un’animata conversazione con nessuno, ridono, gesticolano, alzano la voce, sembrano degli schizofrenici in libera uscita. Inutile ricordare che l’uso in pubblico del cellulare comporta che chi sta lì vicino per caso o per necessità ascolti la conversazione suo malgrado: ebbene nell’almeno 80% dei casi si tratta di emerite cazzate, discorsi assolutamente inutili,chiacchiere a pagamento.
Questo sinistro strumento che da una parte ha frantumato i limiti dello spazio e dall’altro ci frantuma quotidianamente i maroni è estremamente pericoloso quanto estremamente utile. Chi pensa di poterlo usare in modo equilibrato, sbaglia: ci sarà sempre un imbecille o un rompiballe che avrà il nostro numero.
venerdì 21 settembre 2007
UN LUOGO

giovedì 20 settembre 2007
PRESENZE
Non si riconosceranno mai completamente.
Giacere accanto e sentire il respiro di un altro mondo,
guardare lo stesso cielo riflesso in un mare d’inchiostro.
Percepire un’esistenza meravigliosa e ignota.
Come udire una risposta lontana ad un messaggio d’aiuto.
Pura, tragica gioia di non sentirsi soli.
Come il suono di passi che accompagnano i nostri.
Piomberà il silenzio, l’urlo sarà muto, strozzato
dal ricordo di una voce, di un odore, di un istante.
Una piccola grande storia che non racconterà nessuno:
un sorriso affidato all’eternità, come un soffione
nel vento di Maggio.
mercoledì 19 settembre 2007
PASSAGGI SEGRETI

Come acqua sorgiva, le emozioni
risalgono questi anfratti sconosciuti alla mente.
Improvvise, ruscellano limpide e fresche
dalle fessure dell’anima spaccata dagli anni
siccitosi ed ostili, diffidenti ed avari.
Il cielo soffia eternità sul nostro stupore,
le nuvole scorrono sul nostro fisso pensare.
Siamo un blocco di pietra spaccata
in cui è sbocciato un piccolo fiore giallo,
livido e nudo grida attonito alla vita
che l’ha trafitto.
venerdì 14 settembre 2007
UN AMICO

Roberto è cresciuto (come tutti i suoi coetanei) nella società dei consumi e ha fatto propria l’idea (ormai irrimediabilmente imperante) che la vita è un alternarsi di fatica e godimento e che il lavoro sia il mezzo per procurarsi i piccoli e i grandi piaceri. Ci tiene molto all’abbigliamento, pensa che l’immagine rifletta il contenuto e che se vesti alla moda e griffato sarai sicuramente benaccetto dappertutto. E’ assolutamente convinto che la bellezza sia strettamente connessa ai canoni estetici dominanti, che il possedere sia simbolo di potere, che il potere scateni il volere, che il volere sia sinonimo di libertà. Egli è convinto che la sua insoddisfazione sia causata dalla dipendenza economica dalla famiglia, che le sue frustrazioni derivino dalle regole assurde e ingiuste imposte dai genitori. Nel tempo si è convinto che l’unico effettivo elemento di crisi nella sua famiglia riguardi la propria carriera scolastica e, quindi, ha deciso di interrompere gli studi e cercarsi un lavoro. La sua grande sensibilità gli fa vivere questa determinazione come una insopportabile lacerazione interiore, lui sa di aver gettato i suoi genitori in uno stato di prostrazione, di dolorosa confusione, di tremendi sensi di colpa. Ma il suo urlo di disperata insoddisfazione, la sua lotta interiore per la ricerca di una propria identità, è troppo forte, è come un torrente in piena che spazza via tutto. In questa furia emozionale, in cui la ragione è difficile da isolare dal sentimento, egli non è capace di soffermarsi sull’unico elemento certo: l’affettività. Non ha riflettuto sul fatto che il proprio stato è in gran parte determinato da quella che lui sente e vive come una carenza affettiva. C’è stato un momento della sua vita in cui si è sentito abbandonato, un momento in cui aveva più bisogno di affetto, che è passato inosservato. Tutto ciò ha innescato un meccanismo per il quale la sua attenzione si è fermata sull’avere, sul suo credito affettivo verso i genitori che pretende assolutamente di incassare. Tutto ciò ha impedito che lui riflettesse sul proprio essere, su quello che vorrà essere negli anni a venire, sulla costruzione della propria personalità e dei valori che vorrà perseguire nella vita. Forse questo riposo forzato potrà indurlo a pensare a se stesso, a riflettere sul fatto che prima di decidere sul fare è necessario decidere sull’essere, come ha scritto Erich Fromm: il principale compito dell’uomo nella vita è dare alla luce se stesso.
Ho grande fiducia in Roberto perché è un uomo sensibile, la sua umanità è la sua forza, e sicuramente nel tempo se ne renderà conto. Lui “sente” la vita. I figli non possono fare a meno di giudicare severamente i genitori, ma perdersi nel giudizio e pretendere di eseguire la condanna è inutile e doloroso, e soprattutto impedisce di evolversi, di costruire un proprio cammino e una propria dimensione esistenziale.
“gli uomini non dovrebbero riflettere tanto su ciò che devono fare, dovrebbero piuttosto pensare a quello che devono essere.” Meister Eckhart
giovedì 13 settembre 2007
PERDERE

Dov’è la vita che abbiamo persa vivendo?
Dov’è la saggezza che abbiamo persa nel sapere?
Dov’è il sapere che abbiamo perso mettendo insieme nozioni?
Thomas Stearns Eliot
Pare che la vita umana sia un susseguirsi di perdite, si perde l’innocenza, la verginità, la fiducia nel prossimo, l’efficienza psico-fisica, le persone, gli affetti, le chiavi di casa e, a volte, anche il portafoglio. A fronte di tutto ciò si guadagna l’esperienza, la disillusione, le rughe, l’artrosi, i ricordi e la certezza che il nostro tempo è limitato. Non è un gran guadagno in confronto a ciò che si è irrimediabilmente perduto. Arrivati ad una certa età si ha la sensazione di essere come la bottiglia di una bibita vuota per tre quarti: si è persa molta effervescenza, molta freschezza e soprattutto ci si accorge di essere un vuoto a perdere. La tanto decantata saggezza si rivela per quella che è: la paura di perdere la vita e la conseguente reazione di cercare di viverla con maggiore consapevolezza e profondità. Il paradosso tragico dell’esistenza sta proprio nell’accorgersi dell’importanza delle cose dopo che le si è perse definitivamente. Il ricordo, la rabbia, il rimpianto, diventano sempre di più compagni inseparabili della nostra esistenza, condizionandola molto di più di quanto non si possa pensare. La vita assume le sembianze di una tavola riccamente imbandita di cibi prelibati di ogni genere, noi commensali non riusciremo mai ad assaggiarli tutti perché mentre ne gustiamo uno arriva il cameriere a portar via un piatto, e poi un altro, finchè non ci ritroviamo solo con quello che abbiamo davanti, se sarà pasta in bianco o sartù di riso dipenderà da noi, dalle nostre scelte. In ogni caso sarà bene non eccedere, crepare di indigestione fulminante non è bello né decoroso.
Gli ottimisti e i credenti sostengono che la vita è un dono che bisogna saper apprezzare fino in fondo, altri invece dicono che è una fregatura colossale in quanto finisce proprio quando incominci a prenderci gusto, altri ancora riconoscono che si tratta di un dono ma che spesso è riciclato, in origine non era destinato a te, di questo parere sono, ad esempio, i transessuali, i commercialisti, i mendicanti e gli artisti incompresi. Di fronte a questa esistenza che si configura come uno scippo continuo senza speranza è inutile tentare di difendersi, ostinarsi a combattere contro un destino che è ineluttabile, è molto più proficuo adattarsi alla situazione e coltivare la certezza che anche se ci blindiamo in casa, arriverà il momento in cui ci taglieranno il gas e la corrente elettrica. Dobbiamo convincerci che siamo destinati a perdere e che l’unica cosa da fare è fare di tutto per non perderci, evitare cioè che insieme a quello che lasceremo per strada non rimangano parti essenziali di noi stessi. Certo non è cosa semplice, quando si perdono le persone e gli affetti è impossibile non cedere una parte di noi stessi ed è impossibile pretendere di continuare a vivere senza un senso di vuoto incolmabile. Ma questo capita a tutti, prima o poi, senza eccezioni. Ci consoliamo sapendo che ciò accade anche fra gli animali: le balene, i delfini, le tortore, i primati, i mafiosi, e lasciamo spazio a quell’istinto di sopravvivenza che è comune a tutte le specie viventi, persino agli assicuratori. Perdere (che deriva da per e dare) è una dimensione passiva dell’aver avuto, è una condizione esclusiva solo di chi ha; quando perdiamo qualcosa è perché abbiamo qualcosa da perdere e quindi possiamo provare a vedere la vita come un processo di, più o meno, lenta sottrazione di parti di noi stessi per giungere ad uno stato di essenzialità: uno stato in cui saremo soli con noi stessi di fronte all’ enigma eterno. Sarà puramente casuale se arriveremo a quel momento vecchi e malati o a causa di un piatto di funghi con Amanita Phalloides, c’è solo da sperare che non accada il giorno dopo aver pagato un abbonamento annuale a teatro.
martedì 11 settembre 2007
lunedì 10 settembre 2007
IL TORMENTO DEL SAPERE

Questa profonda, tragica consapevolezza viene da lontano, ne troviamo testimonianza nella Bibbia, nei discorsi di Socrate, nelle disperate riflessioni di Seneca, nel Trionfo della Morte di Petrarca, e via via scendendo fino ai giorni nostri in cui la filosofia si cimenta nella riflessione sulla complessità della società contemporanea che sfuggendo ad ogni schematizzazione teorica mette in crisi i modelli di interpretazione, le scale dei valori, il sapere in generale.
Ci troviamo di fronte all’eterna antinomia che vede da una parte il sapiente tormentato e pessimista, dall’altra l’ignorante ilare ed ottimista. Il pessimismo del primo si fonda sulla consapevolezza che il sapere comporta interrogativi senza risposta, il sentirsi pellegrini in un percorso labirintico che durerà per tutta la vita; l’ottimismo del secondo è dato dal vivere cogliendo le piccole gioie e le momentanee soddisfazioni nella certezza che chi sa provvederà anche per lui. Per il sapiente la morte è una violenza culturale, una vessazione che impedisce di dare un senso compiuto all’esistenza e di rispondere in modo definitivo alle domande cruciali dell’umanità; per l’ignorante la morte è un accidente, un accadimento ineluttabile che interrompe il flusso vitale del patimento/godimento. Ma se “Chi aumenta sapienza, aumenta dolore”, come scrisse Giordano Bruno, perché dovremmo immergerci nella ricerca, nello studio e nell’approfondimento? Forse che il sapere è una forma di perversione masochista? Sebbene la domanda sia più che pertinente, essa non ha risposta. Poiché il sapere risponde alla curiosità dell’uomo, al desiderio invincibile di indagare, di congetturare, di soddisfare l’interrogativo: perché? Il sapere è una sorta di furore intellettuale che non ha fine, è una fame insaziabile di conoscenza che spinge a fagocitare qualsiasi cosa, è un furore che si autoalimenta diventando, nel tempo, sempre più avido e vorace. E’ scritto nell’Ecclesiaste (1,18) “Quanto più cresce la sapienza, altrettanto crescono gli affanni”, il monito biblico è chiaro: il sapere porta a cogliere la complessità, l’estrema contraddizione della condizione umana, e inevitabilmente porta a maturare un senso di tragica inutilità sul quale ci si interroga e al quale non si può fare a meno di cercare disperatamente una risposta. Indipendentemente dalle circostanze e dalle situazioni, la domanda è sempre la stessa: perché?
Se siamo davanti a un cielo stellato o sbigottiti davanti alla nostra auto in panne, dopo aver pagato trecento euro per il tagliando, il nostro pensiero vaga lontano… nei misteriosi spazi siderali o nella misteriosa progenie mercenaria del nostro meccanico. Quando contempliamo gli occhi innocenti e luminosi di un bambino potremmo anche ammettere che siamo ad immagine e somiglianza divina, ma come la mettiamo con l’impiegato allo sportello con lo sguardo spento di un lobotomizzato? Forse potrebbe aver ragione Sant’Ignazio di Loyola quando scrive che “non la dovizia del sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente”, ma allora, se così fosse, perché non ci fermiamo ad un approccio affettivo, emozionale, della realtà? Perché quando pronunciamo, con l’aria di una sentenza da ergastolo, la parola “ti amo”, lei, con la grazia e la dolcezza di un poliziotto impegnato nel terzo grado, risponde “mi ami o, semplicemente, mi vuoi bene?” e continua “ma la tua è passione o amore?”, concludendo “non mi guardavi negli occhi quando l’hai detto, sarà vero?”. A questo punto urge il ricorso al sapere, alla logica e alla retorica “se ho detto ti amo significa che il mio sentimento non è semplice affetto amicale, ma vero e autentico trasporto dell’anima e del corpo e quindi anche passione travolgente per le tue sembianze e il tuo essere profondo. Non ti ho guardata negli occhi perché temevo di leggervi il disagio di un sentimento non corrisposto, non osavo interpretare il tuo sguardo come un rifiuto…” “Ohh, caro, ma io ti amo e aspettavo da tempo che tu me lo dicessi…””Dici davvero? Hai aspettato molto?” “Beh, a dire il vero è da un mesetto che sono cotta di te… da quando quella sera per salutarmi, invece del solito bacetto mi hai messo la lingua nell’orecchio…” “Io?? Lingua nell’orecchio? Ti sbagli di grosso… quella sera avevo in braccio Pippo, il mio barboncino, al buio..è stato lui a slinguazzarti, io non avrei osato…” “Pippo?? Dannato imbecille!! Il tuo cane è più intelligente di te!”.
sabato 8 settembre 2007
PENSIERI

Immagini vaganti.
Solitarie viandanti
per tortuosi sentieri.
Brilla la mente
di luce e colori,
voluttà e desideri.
Tristezza dolente,
come cielo notturno
incombe splendente
sulla vita avvitata
all’anima spiantata.
L’alba sarà puntuale.
Una speranza di luce
si rinnova ogni volta.
Pensieri.
Solitudine scintillante.
Cometa della mente.
mercoledì 5 settembre 2007
DIO
Una caratteristica fondamentale dell’essere umano, a tutte le latitudini del pianeta, è quella di credere nel soprannaturale, di ricercare una dimensione trascendente, di riflettere e discutere sulla metafisica. Naturalmente tutto ciò non dimostra nulla se non il desiderio dell’uomo che la propria esistenza non termini dopo la morte, che la vita, cioè, abbia un senso che va al di là dell’esistenza biologica. E’ difficilissimo credere che le leggi e le manifestazioni della natura siano solo il risultato del caso, è tragicamente disperante pensare che una persona cessi di esistere e si decomponga in molecole di elementi chimici. Solo la speranza in un essere superiore onnipotente evita di pensare all’assoluto non senso della vita, all’inutilità delle nostre esistenze e dei nostri pensieri. Dio è come un autore di un reality show: ci ha sbattuto sulla Terra per farci giocare liberamente la nostra partita basata sulla sopravvivenza. I vincitori delle varie edizioni si assicurano un posto a sedere nel salotto buono di Dio, i perdenti, invece, fanno una brutta fine: fritti nell’olio bollente, mangiati vivi da bestie mostruose, inchiodati ad un palo a guardare Porta a Porta e l’opera omnia di Maurizio Costanzo & famiglia. Quello che più sconcerta del divino è il suo modo di manifestarsi a noi mortali: Ieova, Cristo, Allah, Budda, Tao, Feticcio, Manitu, Grande Spirito, Grande Madre, eccetera. E’ stata vista gente cadere in adorazione di un cheeseburger, di una foto di Maradona, del sole nascente, dell’acqua sorgente, di Berlusconi predicante, di statuine piangenti, di polli ruspanti.
C’è una gran confusione sul pianeta Terra: fanatici assassini, schizzati creduloni, panteisti macrobiotici, e via dicendo. Anche le chiese tradizionali cercano di seguire il passo delle nuove tendenze, avete mai ascoltato attentamente i nuovi canti della liturgia cattolica? Sono talmente orripilanti da indurre a sperare nel ritorno della Santa Inquisizione: roba da Sanremo in parrocchia, da Cantagiro in confessionale, da Un Disco Per La Bizzoca. E che dire quando siete circondati, nei pressi di uno stand di Scientology, da pazzi furiosi che biascicano frasi incompresibili, o quando vi trovate a tu per tu con una famiglia al completo di Testimoni di Geova? Come è possibile sperare di convertire qualcuno quando ci si veste come un bancario degli anni ’50? Quando esordiscono dicendo:”oggi mi è venuta in mente una riflessione sulla violenza nel mondo..”, ci credo!! Con tutte le fesserie che dicono, la voglia di menarli è incontrollabile. Per non parlare delle persecuzioni via etere: cercate di sintonizzarvi su una stazione radio che allieti il vostro viaggio in macchina e cadete nella trappola delle onde di Radio Maria…la depressione vi assale violenta, la guida diventa aggressiva, dopo qualche minuto non vi resta che spegnere la radio o accontentarvi della radiocronaca dal vivo del campionato regionale di rutti di Radio Trullo.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non ha nulla a che vedere con il percorso spirituale che ognuno di noi fa durante la propria vita. Provate ad avere un percorso spirituale in un hard discount o in un ipermercato, provate a riflettere su Dio quando siete in fila alla posta schiacciato fra miss ascella assassina e mister alito paralizzante, provate a pensare all’essenza della vita davanti a vostro figlio che chiede assillante una somma esagerata per un piercing allo scroto. Certo arriva il momento in cui siete soli, ripiegati su voi stessi, ma in quel momento il vostro pensiero vola al ricordo di un amore finito (quella donna ora è miliardaria), al desiderio di una bella vacanza e soprattutto al fatto che da tre giorni non andate di corpo e che da tempo perdete i capelli. Perché tutto questo? Cos’ho fatto di male? Forse è una prova divina, Dio sta controllando i miei comportamenti e le mie reazioni alle sventure della vita, se sarò bravo mi ricompenserà. E se Dio non esistesse? Se invece ci fosse Budda ad aspettarmi al varco per rinfacciarmi tutti i ragù e gli involtini che ho trangugiato nella mia vita? O addirittura la Vacca Sacra, incazzata nera perché la costata di ieri apparteneva alla sua divina discendenza? E se non ci fosse nessuno? Il nulla, il vuoto pneumatico…solo un cartello in tutte le lingue: ritenta, sarai più fortunato.
“Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore.” Stefano Benni