giovedì 27 settembre 2007

VUOTO


" Trovare che tutto è privo di fondamento e non farla finita, non è un'incoerenza: spinta all'estremo, la percezione del vuoto coincide con la percezione del tutto, con l'ingresso nel tutto. Si comincia finalmente a vedere, non si va più a tentoni, si è più sicuri, più forti. Se c'è una possibilità di salvezza fuori dalla fede, si deve cercarla nella facoltà di arricchirsi al contatto con l'irrealtà. Anche se fosse un inganno, l'esperienza del vuoto meriterebbe sempre di essere fatta. Ciò che essa propone, ciò che tenta, è di ridurre a niente la morte e la vita, al solo scopo di rendercele tollerabili. Se qualche volta vi riesce, che possiamo desiderare d'altro? Senza di essa, nessun rimedio all'infermità di essere, nessuna speranza di poter reintegrare, non fosse che in alcuni rapidi istanti la dolcezza di prima della nascita, la luce della pura anteriorità. "
E.M. Cioran

martedì 25 settembre 2007

CHIARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE


Avevo dimenticato la grazia della gioventù. Smarrito da un’umanità rozza e volgare, non trovavo più quell’aura luminosa e gentile della poesia incarnata. Quell’armonica corrispondenza dell’essere e dell’apparire delicatamente velata da innato pudore. La fortuna mi ha concesso di ritrovare quella grazia, forse per rammentarmi che non tutto è perduto, che è ancora possibile vita e futuro per creature speciali, simili agli antichi modelli che hanno ispirato poesia e pensiero trascendente. Questa fanciulla ha un approccio delicato alla vita, la sfiora, l’annusa, la guarda con curiosa benevolenza. La sua sensibilità è arginata da una solida abnegazione, da un innato e irrinunciabile senso del dovere. L’armonica combinazione di fede negli affetti e fermezza nelle proprie convinzioni riempie di contenuto la sua giovane femminilità, dona spessore al suo essere, la fa risultare donna. Ella è dotata del raro dono dell’autodisciplina, che esercita con caparbia determinazione; ma è anche piuttosto disordinata (di quel disordine che è reazione oggettiva ad un continuo lavoro interiore di organizzazione e controllo), tendenzialmente ribelle e poco disposta ad essere giudicata (tutto quello che è sommario e superficiale è per lei irritante). Le sue ansie, le paure, le incertezze, non le vive con quel senso catastrofico tipico della sua giovane età, un po’ per pudore, un po’ per il suo senso dell’humour, un po’ per la certezza di avere nell’abbraccio materno un approdo sicuro, una comprensione senza riserve.
L’immagine che mi viene in mente, quando la osservo, è quella di un ruscello montano, di acque fresche e limpide, di un suono soave d’acqua che scorre fra i richiami dei fringuelli sugli alberi soprastanti, odore di muschio e profumo di fiori selvatici.
Grazie Simona, la tua giovane esistenza mi rende più ottimista, mi fa sperare che la poesia continuerà ad avere uno spazio in questo mondo sporco e spietato.

DOVE SEI?


Il 7 Settembre 1987 venne ratificato un accordo fra tredici paesi europei per l’adozione e lo sviluppo del sistema GSM (Global System for Mobile communications), lo standard che ha portato alla successiva immediata mondializzazione del telefono cellulare. In vent’anni il sistema di comunicazione e i modi di comunicare a distanza sono radicalmente mutati. Fino ad allora il telefono era un accessorio, un servizio dell’abitazione o del luogo di lavoro, equivalente ad altri servizi come l’energia elettrica, il gas, l’acqua, ecc. Il telefono era legato al luogo in cui era stato installato, le frasi di rito erano:”Pronto, casa Vattelapesca?”, oppure “pronto, ditta Panzana?”. Il senso profondo della comunicazione telefonica era spiegato con la metafora per cui telefonare significava recarsi virtualmente in un determinato luogo per rintracciare e comunicare con una determinata persona. Il telefono cellulare ha sovvertito questo concetto, trasferendo l’dea di telefono dal luogo alla persona. Il telefono non è più stato un servizio del luogo bensì un’appendice del corpo umano. Possedere un telefono cellulare corrisponde all’esser muniti di un orecchio e di una bocca formidabili, in grado di ascoltare e parlare con chiunque a qualsiasi distanza e in qualsiasi luogo ci si trovi. Il numero telefonico cellulare non corrisponde più ad un indirizzo stradale, esso si identifica con una persona in carne e ossa, come le macabre numerazioni sui polsi dei deportati o le nere cifre stampate sulle casacche dei detenuti: ogni volta che quel numero viene chiamato siamo obbligati a rispondere “presente!”. E poiché il nostro cervello, quando ci impegniamo in una comunicazione a distanza, ha bisogno di immaginare visivamente l’interlocutore, accade che inevitabilmente una delle prime domande sia: “dove sei?”. Mentre con un telefono fisso l’immaginazione aveva un campo piuttosto ristretto d’esercizio (al massimo si poteva immaginare l’interlocutore nudo e insaponato, colto nel bel mezzo di una doccia), ora il telefono cellulare apre i nostri orizzonti visionari. L’interlocutore potrebbe essere dappertutto, impegnato in qualsiasi tipo di attività: dalla rapina a mano armata (“Scusa sono in banca per un prelievo, ti chiamo dopo.”), al gabinetto dell’ufficio a fare la cacca (“Scusa sono in riunione, ci sentiamo più tardi.”), sul ciglio della scogliera un attimo prima di buttarsi giù (“Scusa, ho un impegno improrogabile, non preoccuparti ti chiamo io.”). I grandi vantaggi di questa tecnologia sono fuori dubbio (salvare vite umane, ordinare una pizza mentre si rientra a casa, criptare il proprio numero e fare telefonate oscene alla moglie del capufficio), ma è anche vero che si diventa dipendenti dagli altri, si è costretti a render conto di quei sacri momenti in cui si ha bisogno di un po’ di solitudine o di privacy e si spegne il cellulare. Una breve considerazione a parte la meritano i bambini provvisti di cellulare. Il problema nasce a causa di quei genitori scriteriati che pensano di legare i propri figli con una sorta di guinzaglio telematico e che finiscono, invece, con l’introdurre precocemente i propri pargoli nell’universo dell’idiozia a distanza, del cazzeggio a pagamento, dell’alfabetizzazione a un linguaggio regressivo (quello degli sms) da mentecatti.
Impossibile non citare quelle anime perse che usano il cellulare con microfono ed auricolare: li vedi camminare per strada assorti in un’animata conversazione con nessuno, ridono, gesticolano, alzano la voce, sembrano degli schizofrenici in libera uscita. Inutile ricordare che l’uso in pubblico del cellulare comporta che chi sta lì vicino per caso o per necessità ascolti la conversazione suo malgrado: ebbene nell’almeno 80% dei casi si tratta di emerite cazzate, discorsi assolutamente inutili,chiacchiere a pagamento.
Questo sinistro strumento che da una parte ha frantumato i limiti dello spazio e dall’altro ci frantuma quotidianamente i maroni è estremamente pericoloso quanto estremamente utile. Chi pensa di poterlo usare in modo equilibrato, sbaglia: ci sarà sempre un imbecille o un rompiballe che avrà il nostro numero.

venerdì 21 settembre 2007

UN LUOGO





Nei miei occhi il ricordo.
Mi ritorna l'odore
di giorni e di ore
in cui ero all'approdo
come un gozzo sfiancato
da notti di pesca fredde e salse.
L'ombra dei tamerici
riparava i cuori felici
di un mare cangiante.
Il faro bianco aspettava la notte,
come un obelisco pulsante
segnava il luogo dove scoperte
anime sole sconfiggevano la morte
con l'eterno istante di una stella cadente.

giovedì 20 settembre 2007

Ingmar Bergman - The Seventh Seal

UNA PRESENZA IMBARAZZANTE

PRESENZE


“L’unica cosa che amiamo nella vita sono le presenze che l’attraversano come messaggere d’altri mondi.” Nicolas Gomez Davila





Vite dolorose si specchiano l’una nell’altra.
Non si riconosceranno mai completamente.
Giacere accanto e sentire il respiro di un altro mondo,
guardare lo stesso cielo riflesso in un mare d’inchiostro.
Percepire un’esistenza meravigliosa e ignota.
Come udire una risposta lontana ad un messaggio d’aiuto.
Pura, tragica gioia di non sentirsi soli.
Come il suono di passi che accompagnano i nostri.
Piomberà il silenzio, l’urlo sarà muto, strozzato
dal ricordo di una voce, di un odore, di un istante.
Una piccola grande storia che non racconterà nessuno:
un sorriso affidato all’eternità, come un soffione
nel vento di Maggio.

mercoledì 19 settembre 2007

PASSAGGI SEGRETI


Esistono in noi passaggi segreti.
Come acqua sorgiva, le emozioni
risalgono questi anfratti sconosciuti alla mente.
Improvvise, ruscellano limpide e fresche
dalle fessure dell’anima spaccata dagli anni
siccitosi ed ostili, diffidenti ed avari.
Il cielo soffia eternità sul nostro stupore,
le nuvole scorrono sul nostro fisso pensare.
Siamo un blocco di pietra spaccata
in cui è sbocciato un piccolo fiore giallo,
livido e nudo grida attonito alla vita
che l’ha trafitto.

venerdì 14 settembre 2007

MICHAEL JACKSON - Smooth Criminal

SAPERSI MUOVERE NELLA VITA

UN AMICO


Un mio caro, giovane amico ha avuto un incidente stradale. Fortunatamente non gli è accaduto nulla di grave, per un pò di tempo rimarrà bloccato in casa, niente di più. Roberto, questo è il suo nome, è un ragazzo sveglio, pieno di energia, con una voglia travolgente di mordere la vita per strapparle le cose migliori, ma è anche una persona molto sensibile, molto più di quanto egli stesso non creda. Il suo problema principale consiste nel sentirsi completamente insoddisfatto della vita che conduce (cosa molto comune fra i giovani della sua età) e nel sentirsi assolutamente incompreso dalla sua famiglia. Lui si sente deluso dai genitori perché è convinto che loro non capiscano i suoi sentimenti, le sue idee, i suoi dubbi e perplessità. Essenzialmente non li sente in sintonia e, pur amandoli, spesso si pone nei loro confronti con atteggiamenti e discorsi provocatori, cercando di colpirli in quegli aspetti in cui emergono le loro contraddizioni ed i loro errori (cose che tutti i genitori fanno).
Roberto è cresciuto (come tutti i suoi coetanei) nella società dei consumi e ha fatto propria l’idea (ormai irrimediabilmente imperante) che la vita è un alternarsi di fatica e godimento e che il lavoro sia il mezzo per procurarsi i piccoli e i grandi piaceri. Ci tiene molto all’abbigliamento, pensa che l’immagine rifletta il contenuto e che se vesti alla moda e griffato sarai sicuramente benaccetto dappertutto. E’ assolutamente convinto che la bellezza sia strettamente connessa ai canoni estetici dominanti, che il possedere sia simbolo di potere, che il potere scateni il volere, che il volere sia sinonimo di libertà. Egli è convinto che la sua insoddisfazione sia causata dalla dipendenza economica dalla famiglia, che le sue frustrazioni derivino dalle regole assurde e ingiuste imposte dai genitori. Nel tempo si è convinto che l’unico effettivo elemento di crisi nella sua famiglia riguardi la propria carriera scolastica e, quindi, ha deciso di interrompere gli studi e cercarsi un lavoro. La sua grande sensibilità gli fa vivere questa determinazione come una insopportabile lacerazione interiore, lui sa di aver gettato i suoi genitori in uno stato di prostrazione, di dolorosa confusione, di tremendi sensi di colpa. Ma il suo urlo di disperata insoddisfazione, la sua lotta interiore per la ricerca di una propria identità, è troppo forte, è come un torrente in piena che spazza via tutto. In questa furia emozionale, in cui la ragione è difficile da isolare dal sentimento, egli non è capace di soffermarsi sull’unico elemento certo: l’affettività. Non ha riflettuto sul fatto che il proprio stato è in gran parte determinato da quella che lui sente e vive come una carenza affettiva. C’è stato un momento della sua vita in cui si è sentito abbandonato, un momento in cui aveva più bisogno di affetto, che è passato inosservato. Tutto ciò ha innescato un meccanismo per il quale la sua attenzione si è fermata sull’avere, sul suo credito affettivo verso i genitori che pretende assolutamente di incassare. Tutto ciò ha impedito che lui riflettesse sul proprio essere, su quello che vorrà essere negli anni a venire, sulla costruzione della propria personalità e dei valori che vorrà perseguire nella vita. Forse questo riposo forzato potrà indurlo a pensare a se stesso, a riflettere sul fatto che prima di decidere sul fare è necessario decidere sull’essere, come ha scritto Erich Fromm: il principale compito dell’uomo nella vita è dare alla luce se stesso.
Ho grande fiducia in Roberto perché è un uomo sensibile, la sua umanità è la sua forza, e sicuramente nel tempo se ne renderà conto. Lui “sente” la vita. I figli non possono fare a meno di giudicare severamente i genitori, ma perdersi nel giudizio e pretendere di eseguire la condanna è inutile e doloroso, e soprattutto impedisce di evolversi, di costruire un proprio cammino e una propria dimensione esistenziale.
“gli uomini non dovrebbero riflettere tanto su ciò che devono fare, dovrebbero piuttosto pensare a quello che devono essere.” Meister Eckhart

giovedì 13 settembre 2007

PIER PAOLO PASOLINI - Uccellacci Uccellini

PERDERE LA VITA

LUIGI PIRANDELLO - il berretto a sonagli

PERDERE LA REPUTAZIONE

PERDERE



Dov’è la vita che abbiamo persa vivendo?
Dov’è la saggezza che abbiamo persa nel sapere?
Dov’è il sapere che abbiamo perso mettendo insieme nozioni?
Thomas Stearns Eliot


Pare che la vita umana sia un susseguirsi di perdite, si perde l’innocenza, la verginità, la fiducia nel prossimo, l’efficienza psico-fisica, le persone, gli affetti, le chiavi di casa e, a volte, anche il portafoglio. A fronte di tutto ciò si guadagna l’esperienza, la disillusione, le rughe, l’artrosi, i ricordi e la certezza che il nostro tempo è limitato. Non è un gran guadagno in confronto a ciò che si è irrimediabilmente perduto. Arrivati ad una certa età si ha la sensazione di essere come la bottiglia di una bibita vuota per tre quarti: si è persa molta effervescenza, molta freschezza e soprattutto ci si accorge di essere un vuoto a perdere. La tanto decantata saggezza si rivela per quella che è: la paura di perdere la vita e la conseguente reazione di cercare di viverla con maggiore consapevolezza e profondità. Il paradosso tragico dell’esistenza sta proprio nell’accorgersi dell’importanza delle cose dopo che le si è perse definitivamente. Il ricordo, la rabbia, il rimpianto, diventano sempre di più compagni inseparabili della nostra esistenza, condizionandola molto di più di quanto non si possa pensare. La vita assume le sembianze di una tavola riccamente imbandita di cibi prelibati di ogni genere, noi commensali non riusciremo mai ad assaggiarli tutti perché mentre ne gustiamo uno arriva il cameriere a portar via un piatto, e poi un altro, finchè non ci ritroviamo solo con quello che abbiamo davanti, se sarà pasta in bianco o sartù di riso dipenderà da noi, dalle nostre scelte. In ogni caso sarà bene non eccedere, crepare di indigestione fulminante non è bello né decoroso.
Gli ottimisti e i credenti sostengono che la vita è un dono che bisogna saper apprezzare fino in fondo, altri invece dicono che è una fregatura colossale in quanto finisce proprio quando incominci a prenderci gusto, altri ancora riconoscono che si tratta di un dono ma che spesso è riciclato, in origine non era destinato a te, di questo parere sono, ad esempio, i transessuali, i commercialisti, i mendicanti e gli artisti incompresi. Di fronte a questa esistenza che si configura come uno scippo continuo senza speranza è inutile tentare di difendersi, ostinarsi a combattere contro un destino che è ineluttabile, è molto più proficuo adattarsi alla situazione e coltivare la certezza che anche se ci blindiamo in casa, arriverà il momento in cui ci taglieranno il gas e la corrente elettrica. Dobbiamo convincerci che siamo destinati a perdere e che l’unica cosa da fare è fare di tutto per non perderci, evitare cioè che insieme a quello che lasceremo per strada non rimangano parti essenziali di noi stessi. Certo non è cosa semplice, quando si perdono le persone e gli affetti è impossibile non cedere una parte di noi stessi ed è impossibile pretendere di continuare a vivere senza un senso di vuoto incolmabile. Ma questo capita a tutti, prima o poi, senza eccezioni. Ci consoliamo sapendo che ciò accade anche fra gli animali: le balene, i delfini, le tortore, i primati, i mafiosi, e lasciamo spazio a quell’istinto di sopravvivenza che è comune a tutte le specie viventi, persino agli assicuratori. Perdere (che deriva da per e dare) è una dimensione passiva dell’aver avuto, è una condizione esclusiva solo di chi ha; quando perdiamo qualcosa è perché abbiamo qualcosa da perdere e quindi possiamo provare a vedere la vita come un processo di, più o meno, lenta sottrazione di parti di noi stessi per giungere ad uno stato di essenzialità: uno stato in cui saremo soli con noi stessi di fronte all’ enigma eterno. Sarà puramente casuale se arriveremo a quel momento vecchi e malati o a causa di un piatto di funghi con Amanita Phalloides, c’è solo da sperare che non accada il giorno dopo aver pagato un abbonamento annuale a teatro.

martedì 11 settembre 2007

lunedì 10 settembre 2007

STING - Fragile

NONOSTANTE TUTTO

IL TORMENTO DEL SAPERE


“Anche il filosofo che crede di guidare il mondo non guida che il vento. Il paradosso della sapienza è che la sapienza suprema consiste nel sapere che la sapienza è vento quando pretende di essere suprema.” Daniel Lys
Questa profonda, tragica consapevolezza viene da lontano, ne troviamo testimonianza nella Bibbia, nei discorsi di Socrate, nelle disperate riflessioni di Seneca, nel Trionfo della Morte di Petrarca, e via via scendendo fino ai giorni nostri in cui la filosofia si cimenta nella riflessione sulla complessità della società contemporanea che sfuggendo ad ogni schematizzazione teorica mette in crisi i modelli di interpretazione, le scale dei valori, il sapere in generale.
Ci troviamo di fronte all’eterna antinomia che vede da una parte il sapiente tormentato e pessimista, dall’altra l’ignorante ilare ed ottimista. Il pessimismo del primo si fonda sulla consapevolezza che il sapere comporta interrogativi senza risposta, il sentirsi pellegrini in un percorso labirintico che durerà per tutta la vita; l’ottimismo del secondo è dato dal vivere cogliendo le piccole gioie e le momentanee soddisfazioni nella certezza che chi sa provvederà anche per lui. Per il sapiente la morte è una violenza culturale, una vessazione che impedisce di dare un senso compiuto all’esistenza e di rispondere in modo definitivo alle domande cruciali dell’umanità; per l’ignorante la morte è un accidente, un accadimento ineluttabile che interrompe il flusso vitale del patimento/godimento. Ma se “Chi aumenta sapienza, aumenta dolore”, come scrisse Giordano Bruno, perché dovremmo immergerci nella ricerca, nello studio e nell’approfondimento? Forse che il sapere è una forma di perversione masochista? Sebbene la domanda sia più che pertinente, essa non ha risposta. Poiché il sapere risponde alla curiosità dell’uomo, al desiderio invincibile di indagare, di congetturare, di soddisfare l’interrogativo: perché? Il sapere è una sorta di furore intellettuale che non ha fine, è una fame insaziabile di conoscenza che spinge a fagocitare qualsiasi cosa, è un furore che si autoalimenta diventando, nel tempo, sempre più avido e vorace. E’ scritto nell’Ecclesiaste (1,18) “Quanto più cresce la sapienza, altrettanto crescono gli affanni”, il monito biblico è chiaro: il sapere porta a cogliere la complessità, l’estrema contraddizione della condizione umana, e inevitabilmente porta a maturare un senso di tragica inutilità sul quale ci si interroga e al quale non si può fare a meno di cercare disperatamente una risposta. Indipendentemente dalle circostanze e dalle situazioni, la domanda è sempre la stessa: perché?
Se siamo davanti a un cielo stellato o sbigottiti davanti alla nostra auto in panne, dopo aver pagato trecento euro per il tagliando, il nostro pensiero vaga lontano… nei misteriosi spazi siderali o nella misteriosa progenie mercenaria del nostro meccanico. Quando contempliamo gli occhi innocenti e luminosi di un bambino potremmo anche ammettere che siamo ad immagine e somiglianza divina, ma come la mettiamo con l’impiegato allo sportello con lo sguardo spento di un lobotomizzato? Forse potrebbe aver ragione Sant’Ignazio di Loyola quando scrive che “non la dovizia del sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente”, ma allora, se così fosse, perché non ci fermiamo ad un approccio affettivo, emozionale, della realtà? Perché quando pronunciamo, con l’aria di una sentenza da ergastolo, la parola “ti amo”, lei, con la grazia e la dolcezza di un poliziotto impegnato nel terzo grado, risponde “mi ami o, semplicemente, mi vuoi bene?” e continua “ma la tua è passione o amore?”, concludendo “non mi guardavi negli occhi quando l’hai detto, sarà vero?”. A questo punto urge il ricorso al sapere, alla logica e alla retorica “se ho detto ti amo significa che il mio sentimento non è semplice affetto amicale, ma vero e autentico trasporto dell’anima e del corpo e quindi anche passione travolgente per le tue sembianze e il tuo essere profondo. Non ti ho guardata negli occhi perché temevo di leggervi il disagio di un sentimento non corrisposto, non osavo interpretare il tuo sguardo come un rifiuto…” “Ohh, caro, ma io ti amo e aspettavo da tempo che tu me lo dicessi…””Dici davvero? Hai aspettato molto?” “Beh, a dire il vero è da un mesetto che sono cotta di te… da quando quella sera per salutarmi, invece del solito bacetto mi hai messo la lingua nell’orecchio…” “Io?? Lingua nell’orecchio? Ti sbagli di grosso… quella sera avevo in braccio Pippo, il mio barboncino, al buio..è stato lui a slinguazzarti, io non avrei osato…” “Pippo?? Dannato imbecille!! Il tuo cane è più intelligente di te!”.
Ecco come il peso della cultura si rivela insopportabile e inutile, ecco perché il sapiente sceglie sempre e solo la compagnia di pesci rossi.

sabato 8 settembre 2007

STING - Still My Beating Heart

IL MIO CUORE BATTE,DUNQUE ESISTO.

PENSIERI


Pensieri.
Immagini vaganti.
Solitarie viandanti
per tortuosi sentieri.
Brilla la mente
di luce e colori,
voluttà e desideri.
Tristezza dolente,
come cielo notturno
incombe splendente
sulla vita avvitata
all’anima spiantata.
L’alba sarà puntuale.
Una speranza di luce
si rinnova ogni volta.
Pensieri.
Solitudine scintillante.
Cometa della mente.

mercoledì 5 settembre 2007

FRANCESCO GUCCINI - l'uomo

IL MISTERO DELLA MORTE.

MONTY PYTHON - brian di nazareth

SCAMBIO DI PERSONA.

DIO


“Io non so se Dio esiste. Ma se esiste, spero che abbia una buona scusa.” Woody Allen
Una caratteristica fondamentale dell’essere umano, a tutte le latitudini del pianeta, è quella di credere nel soprannaturale, di ricercare una dimensione trascendente, di riflettere e discutere sulla metafisica. Naturalmente tutto ciò non dimostra nulla se non il desiderio dell’uomo che la propria esistenza non termini dopo la morte, che la vita, cioè, abbia un senso che va al di là dell’esistenza biologica. E’ difficilissimo credere che le leggi e le manifestazioni della natura siano solo il risultato del caso, è tragicamente disperante pensare che una persona cessi di esistere e si decomponga in molecole di elementi chimici. Solo la speranza in un essere superiore onnipotente evita di pensare all’assoluto non senso della vita, all’inutilità delle nostre esistenze e dei nostri pensieri. Dio è come un autore di un reality show: ci ha sbattuto sulla Terra per farci giocare liberamente la nostra partita basata sulla sopravvivenza. I vincitori delle varie edizioni si assicurano un posto a sedere nel salotto buono di Dio, i perdenti, invece, fanno una brutta fine: fritti nell’olio bollente, mangiati vivi da bestie mostruose, inchiodati ad un palo a guardare Porta a Porta e l’opera omnia di Maurizio Costanzo & famiglia. Quello che più sconcerta del divino è il suo modo di manifestarsi a noi mortali: Ieova, Cristo, Allah, Budda, Tao, Feticcio, Manitu, Grande Spirito, Grande Madre, eccetera. E’ stata vista gente cadere in adorazione di un cheeseburger, di una foto di Maradona, del sole nascente, dell’acqua sorgente, di Berlusconi predicante, di statuine piangenti, di polli ruspanti.
C’è una gran confusione sul pianeta Terra: fanatici assassini, schizzati creduloni, panteisti macrobiotici, e via dicendo. Anche le chiese tradizionali cercano di seguire il passo delle nuove tendenze, avete mai ascoltato attentamente i nuovi canti della liturgia cattolica? Sono talmente orripilanti da indurre a sperare nel ritorno della Santa Inquisizione: roba da Sanremo in parrocchia, da Cantagiro in confessionale, da Un Disco Per La Bizzoca. E che dire quando siete circondati, nei pressi di uno stand di Scientology, da pazzi furiosi che biascicano frasi incompresibili, o quando vi trovate a tu per tu con una famiglia al completo di Testimoni di Geova? Come è possibile sperare di convertire qualcuno quando ci si veste come un bancario degli anni ’50? Quando esordiscono dicendo:”oggi mi è venuta in mente una riflessione sulla violenza nel mondo..”, ci credo!! Con tutte le fesserie che dicono, la voglia di menarli è incontrollabile. Per non parlare delle persecuzioni via etere: cercate di sintonizzarvi su una stazione radio che allieti il vostro viaggio in macchina e cadete nella trappola delle onde di Radio Maria…la depressione vi assale violenta, la guida diventa aggressiva, dopo qualche minuto non vi resta che spegnere la radio o accontentarvi della radiocronaca dal vivo del campionato regionale di rutti di Radio Trullo.
Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non ha nulla a che vedere con il percorso spirituale che ognuno di noi fa durante la propria vita. Provate ad avere un percorso spirituale in un hard discount o in un ipermercato, provate a riflettere su Dio quando siete in fila alla posta schiacciato fra miss ascella assassina e mister alito paralizzante, provate a pensare all’essenza della vita davanti a vostro figlio che chiede assillante una somma esagerata per un piercing allo scroto. Certo arriva il momento in cui siete soli, ripiegati su voi stessi, ma in quel momento il vostro pensiero vola al ricordo di un amore finito (quella donna ora è miliardaria), al desiderio di una bella vacanza e soprattutto al fatto che da tre giorni non andate di corpo e che da tempo perdete i capelli. Perché tutto questo? Cos’ho fatto di male? Forse è una prova divina, Dio sta controllando i miei comportamenti e le mie reazioni alle sventure della vita, se sarò bravo mi ricompenserà. E se Dio non esistesse? Se invece ci fosse Budda ad aspettarmi al varco per rinfacciarmi tutti i ragù e gli involtini che ho trangugiato nella mia vita? O addirittura la Vacca Sacra, incazzata nera perché la costata di ieri apparteneva alla sua divina discendenza? E se non ci fosse nessuno? Il nulla, il vuoto pneumatico…solo un cartello in tutte le lingue: ritenta, sarai più fortunato.
“Io non so se Dio esiste, ma se non esiste ci fa una figura migliore.” Stefano Benni